ROMA– Ancora una volta i ricorsi alle magistrature superiori si rivelano una cocente ennesima sconfitta personale per Michele Emiliano il presidente della Regione Puglia – che prima di entrare in politica faceva il pubblico ministero – finito sotto processo disciplinare davanti al Csm per aver violato il divieto per i magistrati di iscriversi a partiti politici.
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale eccepite da Emiliano, riguardanti l’illecito disciplinare che vieta l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa dei magistrati a partiti politici.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dal Consiglio superiore della magistratura. Nel luglio 2017, la “disciplinare” di Palazzo dei Marescialli aveva sospeso il procedimento a carico del governatore pugliese e trasmesso gli atti alla Consulta. Secondo il Csm la norma dell’ordinamento giudiziario riguardante le sanzioni disciplinari per le toghe che, durante il periodo di fuori ruolo, svolgono attività in un partito politico, poteva violare alcuni articoli della Costituzione.
La disposizione era stata censurata dalla Sezione disciplinare del CSM il Consiglio superiore della magistratura nella “vicenda-Emiliano” ed è contenuta nell’articolo 3, comma 1, lettera h, del decreto legislativo 109/2006 di riforma del sistema disciplinare dei magistrati. La Sezione disciplinare lamentava, in particolare, la violazione degli articoli 2, 3, 18, 49 e 98 della Costituzione.
La motivazione della sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
Adesso il Governatore della Regione Puglia Michele Emiliano, candidatosi alle ultime “primarie” alla guida segreteria del Pd, dovrà comparire davanti alla Sezione disciplinare del Csm per difendersi dall’accusa della Procura Generale della Suprema Corte di aver violato la norma dell’ordinamento giudiziario, che non consentirebbe a chi indossa la toga, anche se in aspettativa o fuori ruolo, di essere iscritto e di fare vita partitica attiva.
Emiliano si è sempre dichiarato convinto che un giudice in aspettativa, quindi temporaneamente fuori dalle funzioni strettamente giudiziarie, possa sentirsi libero al punto da fare politica attivamente. Ma in realtà così non è.
La Procura Generale della Cassazione non contesta dinnanzi al Csm ad Emiliano i suoi gli incarichi elettivi ricoperti in tutto questo arco di tempo di sindaco di Bari dal 2004 al 2014, assessore al Comune di San Severo e l’attuale ruolo di presidente della Regione Puglia, dal giugno 2015 a ad oggi, ma i ruoli ricoperti di segretario e presidente del Pd in Puglia, che hanno comportato non soltanto la sua iscrizione al Partito Democratico ma sopratutto la sua partecipazione “in forma sistematica e continuativa” alle attività politiche di partito, come ad esempio la successiva candidatura alle primarie per la segreteria nazionale del Partito Democratico.
Il collegio legale che difendeva Michele Emiliano dinnanzi alla Corte Costituzionale, composto da Aldo Loiodice, Vincenzo Tondi della Mura e Isabella Loiodice, precisa in una nota che “dal comunicato non è dunque possibile dedurre contenuti e conseguenze processuali e sostanziali della sentenza, se da intendersi o meno come applicabile in senso lineare a tutti i magistrati collocati fuori ruolo per lo svolgimento di un mandato elettivo“.
Parole al vento e quindi inutili dopo la decisione inappellabile adottata dalla Consulta.
Comunicato Consulta