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22 Novembre 2024 10:29

Il Tribunale di Bari finisce nel palazzo di un imprenditore che prestava soldi ai “clan” baresi

Dopo lo sgombero del Palazzo di Giustizia per i crolli, il Ministero di Giustizia ha reperito una nuova sede per gli uffici giudiziari barese. Ma scopre in ritardo che l’immobile è di un amico dei "clan" malavitosi

ROMA – Il  nuovo ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (M5S, ha un problema. Un problema serio. Il Ministero di Giustizia ha infatti disposto il trasferimento presso quello che sarà il prossimo Palazzo di Giustizia di Bari  in uno stabile di proprietà di Giuseppe Settanni, che altro non è che l'”unico amico” di cui il “Giampi” di Berlusconi, all’anagrafe Gianpaolo Tarantini si poteva fidare, ma anche l’uomo che ha prestato “centinaia di migliaia di euro” al cassiere del noto clan mafioso barese di Savinuccio Parisi. A rivelarlo oggi un’ottimo scoop dei colleghi Giuliano Foschini e Francesca Russi della redazione pugliese del quotidiano LA REPUBBLICA. 

L’immobile del nuovo tribunale di Bari è stato scelto, al termine di una ricerca di mercato, indetta dal ministero della Giustizia per collocarvi gli uffici giudiziari penali di Bari, è di proprietà della Sopraf srl partecipata al 50 per cento della famiglia Settanni,  con l’imprenditore Roberto Patano. E Giuseppe Settanni è l’ amministratore della Sopraf srl, società di cui la sua famiglia è proprietaria.

Settanni deve essere un imprenditore di razza, uno di quelli che riesce a vedere nel futuro. Ha acquistato da un fondo pubblico, soltanto pochi mesi,  fa il palazzo che era sfitto da parecchio tempo. Acquisto che incredibilmente si è trasformato in un grande affare: il ministero dovrà infatti versargli  1milione e 200 mila euro all’anno per i prossimi sei anni, auspicando che non il Ministero non trovi una soluzione definitiva in tempi più ristretti.

Delle capacità affaristiche di Settanni era ben consapevole il suo grande amico Gianpaolo “Gianpi” Tarantini, l’imprenditore barese che nel 2011 balzò agli onori delle cronache mondane, e successivamente giudiziarie, introducendo escort e prostitute spacciate come “care amiche” a Silvio Berlusconi all’epoca dei fatti  Presidente del Consiglio in carica. Tarantini ai magistrati che lo interrogavano  così verbalizzava: “Io ho solo un amico di cui potermi fidare: Pino Settanni” che all’epoca operava nel settore  di rifiuti, ed attraverso Walter LavitolaGianpi cercò di procurare un contatto a Settanni  per ottenere un appalto con l’ ENI guidato da Paolo Scaroni.

Tarantini aggiungeva e chiariva ai magistrati che lo interrogavano sui suoi rapporti con Settanni che “Pino  è così straricco che non ha bisogno. Mi diceva: Se ti danno quello te la gestisci tu, ti faccio un contratto di direttore commerciale, ti prendi il compenso più alto e tu diventi completamente autonomo. Parliamo che potevo gestire cifre – almeno per quello che diceva lui – di 30, 40, 50 mila euro al mese. E finalmente potevo svoltare“. Ma come frequentemente accadeva le parole di Lavitola erano di fatto soltanto al vento: “Mi ripeteva sempre: “Sì, sì ho parlato con Scaroni, lo stiamo facendo“. Ma Pino Settanni , che era uomo di mondo gli diceva: “Gianpaolo, vedi che ti stanno prendendo in giro“. Ed  infatti, così è stato per l’aspirante faccendiere barese.

Ma c’è anche un’altra indagine della Procura di Bari, molto delicata, dove uscì il nome di Settanni nonostante non sia stato indagato. Settanni compare citato fra le migliaia di pagine dell'”inchiesta Domino”, il maxi processo che ha svelato documentalmente i collegamenti e gli affari intercorrenti tra la criminalità organizzata e i colletti bianchi della città. Il suo ruolo lo ha raccontato in qualità di testimone Settanni stesso il 28 settembre del 2015, in un’aula di quel palazzo che già allora cadeva a pezzi. “Ero molto amico di Michele Labellarte, l’imprenditore considerato il “cassiere” del clan più temibile di Bari, quello guidato da Savinuccio Parisi.

Nel fascicolo in questione risultava indagata (le accuse a suo carico finirono in prescrizione) per intestazione fittizia di beni, anche la sua fidanzata all’epoca dei fatti che venne era accusata di essersi intestato un conto corrente che in realtà utilizzava Labellarte.il cassiere del clan Parisi. Quella fidanzata si chiamava Elvira Savino, riconfermata parlamentare nelle liste pugliesi di Forza Italia.

La Savino venne  indagata per aver agevolato l’attività di riciclaggio del denaro proveniente dalla bancarotta della società “New Memotech srl” per la quale l’imprenditore barese Michele Labellarte era stato condannato per bancarotta fraudolentaSecondo l’accusa, la Savino aveva agevolato l’attività illecita consentendo la fittizia intestazione di un conto corrente bancario. In cambio avrebbe ottenuto – sempre secondo l’accusa “numerosi favori e regali” fra i quali la concessione di una carta di credito collegata alla promozione di un vettore aereo con addebito sul conto di Labellarte (giugno 2007); il cambio di un assegno di 3.000 euro datole dal fratello Gianni (ottobre 2007); tre aiuti finanziari per complessivi 3.500 euro (nel 2008); il pagamento di un biglietto aereo Roma-Bari nel 2008; due ricariche telefoniche (nel 2008).

E’ stato proprio l’imprenditore Settanni a spiegare ai magistrati in che cosa consistesse la sua amicizia con Labellarte :  “Gli prestai tanti soldi, quando andai a trovarlo in ospedale, c’era il boss Savino Parisi o almeno così mi dissero dopo“. “Mi veniva a chiedere soldi. Gli ho dato 100, 200 mila euro. Eravamo amici. Una sera fui contattato dalla sua compagna che mi chiese un appuntamento e che si presentò con Nicola Settanni”  – (un suo omonimo) che viene considerato luogotenente del clan – ” Credevano che io fossi debitore di Labellarte. Così non è e l’ho spiegato loro“.

Giuseppe Settanni di fatto conosceva anche le dinamiche interne al clan Parisi , raccontando tra le varie dichiarazioni verbalizzate di aver appreso da un esponente del clan Parisi che il  Labellarte aveva ricevuto una “grossissima somma di denaro” da Michelangelo Stramaglia. Un altro boss.

Chissà se a questo punto saranno tutti contenti insieme al ministro Bonafede ed all’ On. Savino, che con questa nuova sede del tribunale di Bari la questione giudiziaria a Bari si sia risolta …. rapidamente.

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