ROMA – Luigi di Maio risponde a La Repubblica sulla vicenda del condono della casa di famiglia a Pomigliano d’Arco. “Ho chiamato mio padre e gli ho chiesto cosa avesse combinato, mi ha spiegato che nel 1966 mio nonno, che ora non c’è più, costruì la casa dove vive tuttora la mia famiglia. Nel 1966 mio padre aveva sedici anni – ricorda Di Maio – e la casa fu costruita in base ad un decreto regio del 1942, ancora vigente nel 1966. Nel 1985, quando mio nonno non c’era più, mio padre venne a conoscenza di una legge per regolarizzare qualsiasi manufatto costruito in precedenza, e chiese di regolarizzare la casa“. Solo che dimentica quanto aveva svelato un precedente servizio de “Le Iene“
Di Maio, che si lamenta di come “non sia bello vedere la propria famiglia sbattuta a pagina 10 come i ‘furbetti del condono edilizio“, prosegue ricordando che il padre “presentò una domanda ad aprile 1986, io nasco tre mesi dopo, spero che mi si riconosceranno le attenuanti dell’incapacità di intendere e volere. Mio padre presenta la domanda ad aprile ’86, io nasco a luglio ’86. Nel 2006 mio padre riceve la risposta del comune che gli dice di pagare duemila euro e regolarizzare così la casa costruita nel 1966. Questo sarebbe il grande scoop di Repubblica, io condonista… Peccato però che non abbia mai titolato per gli scudi fiscali sotto i governi Renzi, Letta e Gentiloni“.
Ed aggiunge: “Mi perdonerete se oggi ho comprato Repubblica non lo farò spesso, lo farò solo quando serve“.
La risposta del quotidiano La Repubblica
I fatti non si piegano alle convenienze. È una delle regole attraverso cui passa la credibilità e la trasparenza di un leader politico. Prendiamo atto che il vicepremier e capo del M5S Luigi Di Maio lo abbia appena sperimentato, confermando in una diretta Fb tutto quello che Repubblica – rigorosamente attenendosi a dati pubblici e incontestabili – aveva scritto, relativamente alla sanatoria concessa a suo padre, dal Comune di Pomigliano d’Arco, nel 2006, avente per oggetto il palazzetto in cui risulta residente il leader del Movimento.
Di Maio, tuttavia, anche stavolta incorre in qualche imprecisione. E in alcune omissioni.
Sfrondando l’intera vicenda di meta-messaggi e sarcasmo sulla libertà di stampa – che appesantiscono la verità come un abuso su uno scheletro d’immobile – per estrema chiarezza, ripercorriamo alcune evidenze.
Primo punto, tecnico. Suo padre, il geometra ed imprenditore edile, Antonio Di Maio, ha effettivamente chiesto ed ottenuto un condono per manufatti ed ampliamenti abusivi, eseguiti al secondo e terzo piano, richieste che sono state depositate in Comune a partire dal post-terremoto esattamente come abbiamo rilevato e raccontato? Sí. Invece qui cominciano i ‘ma‘ dell’onorevole Di Maio.
“Ho letto Repubblica (…), ho chiesto a mio padre cosa hai combinato. Mio padre presentó una domanda ad aprile 1986. Ma la casa fu costruita nel 1966, realizzata da mio nonno in base al Regio decreto del 1942“.
Una genealogia interessante, ma c’è una prima imprecisione. Due terzi della casa, ovvero secondo piano e terzo piano sono connotati da abusi che, secondo quanto registrato negli atti, sono stati realizzati almeno dieci anni dopo. Ciò non toglie che si sia trattato di ampliamenti per complessivi 150 metri quadri.
Secondo punto. Tecnico. Suo padre ha effettivamente definito tutta la pratica nel 2006, col pagamento di 2mila euro a fronte di quel volume, tra nuove camere da letto, tinello e studiolo con lucernai ed altro? Sí. “Mio padre riceve la risposta del Comune che gli chiede di pagare 2mila euro”, spiega ancora Di Maio.
Anche qui c’è una omissione. A quanto pare, il papà geometra – nonostante la sua esperienza e la competenza tale da esaminare pratiche altrui per il Comune – aveva sbagliato a proprio favore il calcolo di alcuni – pochi – metri quadri. Una dimenticanza certamente non voluta.
È vero o no che fu costretto a tornare a Palazzo e a saldare quella differenza?
Terzo ed ultimo punto. Politico. “Questo sarebbe il grande scoop di Repubblica. Mi perdonerete oggi ho comprato Repubblica, non lo farò spesso”, dice Di Maio che addirittura consiglia di mettere “più amore” nella cronaca politica; riecheggiando anche qui antichi slogan berlusconiani.
Il vicepremier Di Maio, se leggesse di più e meglio, saprebbe cose che evidentemente in casa, gli erano sfuggite, almeno da 12 anni. E soprattutto dica cosa pensa del condono e di come possa ora vietare a Ischia ciò che in casa sua era stato concesso. I fatti, come lui stesso ha dimostrato spiegando, non si piegano alle convenienze.
Conchita Sannino