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22 Novembre 2024 08:10

Missione compiuta. Parlamento umiliato

L'annullamento del processo democratico è quasi peggio della manovra stessa che passa nella notte con 167 sì e 78 no

di Alessandro De Angelis*

Missione compiuta: 167 sì, 78 no, 3 astenuti. Parlamento umiliato, o, se preferite, sfregiato, violentato, chiuso come una scatola di tonno, altro che trasparenza. Chiamato a votare la manovra in tarda notte, senza neanche il tempo di leggerla. Un “marchettificio del cambiamento”, degno di Gava e Pomicino, con soldi sparsi qua e là, tra una mancia a Crotone, una a Reggio Calabria e un bel condono di Natale, su misura per i finti poveri che frodano il fisco, altra tomba dell'”onestà, onestà”. Cifre coperte fino all’ultimo minuto utile, come in un gioco delle tre carte in cui con l’indebitamento futuro si pagano quota cento e reddito di cittadinanza, misure buone per mietere voti alle Europee, anche se sforbiciate di quattro miliardi, dopo la grande sottomissione a Bruxelles.

È l’arroganza di un potere che si sente onnipotente, comprimendo tempi, discussione, diritti delle minoranze, con lo strafottente pressappochismo di conti che arrivano tardi e pure scritti con sciatteria. La scena è surreale, quando a metà pomeriggio, in commissione bilancio, arriva finalmente il maxi- emendamento e si scopre la manovra “nascosta”, con quattro commi sbagliati nei numeri, altri ripetuti tre volte, come una brutta copia scritta in fretta. Surreale come il governo che scompare per un’ora, per la bella copia e qualche fotocopia, con i parlamentari del Pd che urlano fuori dalla porta della presidenza, “fuori il testo”, “ma la trasparenza dov’è?”. A un certo punto viene stralciato il comma sugli Ncc, la cui variazione è affidata a un consiglio dei ministri notturno, il che può apparire un dettaglio ma un dettaglio non è, anzi è una clamorosa violazione delle regole, perché non si può togliere un comma, se già c’è stata la bollinatura della ragioneria. Scelta politica, giustificata come regolamentare, come politico era il rogo delle bandiere pentastallate bruciate dai lavoratori degli Ncc.

 

Dateci un testo, vergogna, siete dei buffoni”, urlano i senatori delle opposizioni davanti all’ufficio del presidente della Commissione Bilancio Daniele Pesco poco prima che riprenda l’esame del maxiemendamento.

Il sottosegretario Garavaglia – spiega il capogruppo Pd in commissione Antonio Misianici ha detto un’ora e mezzo e fa che ci sono delle correzioni formali, di drafting, ma ancora non sappiamo niente

 

 

Ma, in fondo, chissenefrega: è il cambiamento bellezza. Chissenefrega se questo lavoro di riscrittura il 22 dicembre – ripetiamo: il 22 dicembre – si protrae fino a alle sette di sera. E il testo arriva in Aula solo in tarda sera, in un clima da bolgia: “C’è vita, c’è vita”, dice Alberto Bagnai, uno dei pochi parlamentari che si vede in giro. Mentre alcuni dei suoi colleghi della Lega sono in sala Cadorna a brindare sul finanziamento della metro Milano-Brescia, comunque una soddisfazione nella Caporetto di una manovra dettata da Bruxelles. Aula sospesa, più volte, rissa quasi sfiorata, più volte, parlamentari dalla maggioranza che non intervengono in discussione, perché il loro compito non è intervenire, ma ratificare, obbedire, eseguire. Dettaglio che dice tutto. Matteo Renzi lo coglie, provocando: “Voi siete stati trattati come il pubblico dei talk show, capaci di applaudire, non di dire alcunché”.

La forma è sostanza. E l’annullamento del processo democratico è quasi peggio della manovra stessa. Istituzioni vissute come un impiccio da cui liberarsi, luogo da cui tenersi lontano, perché la politica populista è altrove, affidata alla comunicazione del “fatto, fatto, fatto” di Luigi Di Maio che, nell’ansia da social, posta anche la tabella sbagliata e viene criticato dai suoi su facebook, perché il grafico pubblicato dimostra che l’occupazione era salita ai tempi in cui Renzi aveva dato gli sgravi fiscali alle imprese. Affidata alla superficialità dello spin per cui anche i pastrocchi odierni sono colpa dei soliti tecnici, capri espiatori della politica dell’improvvisazione, che comunica tanto ma governa poco. È il leitmotiv pentastellato di questi mesi, le perfide burocrazie che ostacolano il cambiamento, eccessivo anche per la Lega. Davanti a un bianchino, Roberto Calderoli, uno che le cose le sa e le sa fare, dice a un collega: “Non farmi parlare. Quando non tornano i conti, è la politica che lo deve dire ai tecnici, mica il ragioniere generale dello Stato. Quello ti dice ciò che è fuori bilancio, ma le scelte le devi fare tu politico“. Parole che, fino a qualche tempo fa, sarebbero state ovvie, banali. Quando il processo di governo era istituzionale, non extra-istituzionale, tutto proiettato solo “fuori” e rivolto all’opinione pubblica da conquistare.

Le foto, si sa, rendono talvolta più delle analisi. Danno il senso degli eventi. Come l’immagine dei banchi del governo vuoti, quando inizia la discussione sulla manovra, col solo ministro Tria seduto ad ascoltare. I due grandi dioscuri del governo, sono altrove, perché concepiscono questo altrove come il luogo della politica, sia essa una curva o un talk show, che parli al paese più delle fastidiose istituzioni. L’imbarazzo dei pentastellati è palpabile, in una giornata che certifica ciò che non sono più. Alla buvette Nicola Morra è avvicinato da qualche collega: “Certo che a parti invertite… Cosa avremmo fatto?”. Morra fa il vago, visibilmente imbarazzato: “Faccio a tutti gli auguri di Natale”. Andrea Cioffi, attualmente sottosegretario, gli sussurra: “A parti invertite stavamo già sui banchi del governo. In fondo dove stiamo adesso” (vuole essere una battuta, ndr).

Perché la storia di un testo votato al buio, di notte, con una diretta tv che fa concorrenza a Marzullo, non certo un’ora di punta, è la storia di una clamorosa smentita si sé dell’M5s, che solo qualche anno fa invocava l’apertura della scatola di tonno e la sacralità del Parlamento profanata da canguri ed emendamenti killer. A un certo punto nel Pd qualcuno suggerisce un gesto ad effetto: “Chiediamo di essere ricevuti da Mattarella, perché quel che sta accadendo è inaudito”. Dopo attenta riflessione i più saggi valutano che è inutile, visto che il suo appello al pluralismo, al rispetto delle regole e delle istituzioni, è stato baldanzosamente ignorato. E poi, in fondo, quel che sta accadendo lo vede da solo, senza bisogno che venga chiamato in causa. Se ha deciso di rimanere in silenzio, magari affidando al discorso di Capodanno qualche considerazione a bocce ferme, sarebbe stato inutile. Magari ha realisticamente valutato che Parigi val bene una messa, e cioè la resa all’Europa sulla manovra giustifica l’indulgenza sull’odierno sfregio delle istituzioni. E comunque avrebbe compromesso quel ruolo di “angelo custode” che Di Maio gli ha riconosciuto, utile in futuro per mantenere un’interlocuzione. Perché una presa di posizione in una giornata che segna uno spartiacque nella vita democratica segna un discrimine, come segna un discrimine la chiusura sostanziale del Parlamento. Perché poi è difficile riaprirlo.

*vicedirettore del quotidiano online HuffingtonPost

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