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22 Novembre 2024 12:02

Arrestati in Puglia due magistrati ed un poliziotto

A finire carcere Antonio Savasta e Michele Nardi, all'epoca dei fatti in servizio alla Procura di Trani e poi trasferiti a Roma, e l'ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro.

“Pilotavano” processi e indagini in cambio di denaro. Tanto denaro. E tra le inchieste “sistemate” c’era anche quella a carico di Luigi D’Agostino, imprenditore che per un periodo fu vicino a Tiziano Renzi, padre dell’ex premier Matteo Renzi.

L’inchiesta condotta dai Carabinieri  è stata coordinata dal procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone de Castris e dalla pm Roberta Lucci  L’ordinanza  è stata firmata dal gip del Tribunale di Lecce dr. Giovanni Gallo.

I fatti contestati vanno dal 2014 al 2018, ma per i pm ce ne sono altri documentati fino a dieci anni fa, ormai prescritti. I due magistrati erano in servizio a Trani in quel periodo. Ora Savasta è giudice del Tribunale di Roma, mentre Nardi è pm a Roma ed in precedenza gip a Trani e magistrato all’ispettorato del Ministero della Giustizia.

Sulla base di queste accuse sono finiti in carcere su disposizione della magistratura salentina Antonio Savasta e Michele Nardi, magistrati che sono stati in sevizio  (il primo come pm ed il secondo come Gip) alla Procura di Trani eddd attualmente lavorano a Roma, il primo come giudice e il secondo come sostituto procuratore, ma anche un ispettore di polizia Vincenzo Di Chiaro,  in servizio al commissariato di P.S. di Corato in provincia di Bari

Secondo quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare il magistrato Nardi , ha ricevuto un viaggio a Dubai da 10mila euro dall’imprenditore indagato Flavio D’Introno , quindi la ristrutturazione di una casa a Roma costata  circa 120/130mila euro tra pavimentazione e pitturazione.

Il tutto, ricostruiscono i pm, “sia quale prezzo della propria mediazione che con il pretesto di dover comprare il favore dei giudici” in un processo presso il Tribunale di Trani in cui D’Introno era imputato e al termine del quale venne comunque condannato. Nardi ricevette successivamente da D’Introno anche somme di denaro e un orologio Rolex Daytona, per cercare di aggiustare il successivo processo d’Appello.

Consegnati anche due diamanti da un carato ciascuno dal valore di 27mila euro per intervenire sul giudizio di Cassazione dopo che la Corte di secondo grado di Bari aveva comunque condannato D’Introno a cinque anni e nove mesi.

Per gli avvocati Simona Cuomo (Foro di Bari) e Ruggiero Sfrecola (rispettivamente del Foro di  Trani) è stata disposta l’interdizione dall’esercizio della professione per un anno mentre all’imprenditore barlettano D’Agostino è stato notificato un divieto di esercizio dell’attività imprenditoriale e degli uffici direttivi delle imprese per un anno.

Di Chiaro l’ispettore di polizia arrestato, secondo le accusa si sarebbe messo “al servizio dell’imprenditore coratino Flavio D’Introno (tra gli indagati) – a quanto viene riferito – quale momento indispensabile di collegamento con il magistrato Savasta per il complessivo inquinamento dell’attività investigativa e processuale da quest’ultimo posta in essere“.

La Procura di Lecce ha anche chiesto e ottenuto il sequestro di beni e conti corrente per un valore proporzionale a quello oggetto della corruzione. Nello specifico 489mila euro per Savasta; 672mila per Nardi, a cui sono stati posti sotto sequestro anche diamanti e un Daytona d’oro; 436mila per Di Chiaro ed analoga  cifra per Cuomo e  Di Chiaro; 53mila per D’Agostino e Sfrecola.  Il valore dei beni sequestrati supera complessivamente i due milioni di euro.

Nell’inchiesta con un ruolo seppure più marginale, è coinvolto anche l’imprenditore Dagostino, socio di Tiziano Renzi e della moglie nella società Party Srl, chiusa dopo due anni a causa – secondo quanto affermato in una nota dai diretti interessati – “di una campagna di stampa avversa”. Dagostino era stato arrestato nel giugno scorso a Firenze e la Procura toscana ha poi trasferito una parte del fascicolo a Lecce, competente sui magistrati del distretto di Corte d’Appello di Bari.

L’imprenditore, di origini barlettane, era stato indagato a Trani da Savasta per false fatturazioni relative alle sue imprese.. L’allora pm, secondo l’accusa dei magistrati salentini, lo avrebbe favorito evitando di fare “i dovuti approfondimenti sul suo conto” in cambio di denaro: tangenti, scrive il gip nell’ordinanza, da 20mila 25mila euro. Per Dagostino, per cui i pm avevano chiesto i domiciliari, è stato disposto il divieto temporaneo di esercizio dell’attività imprenditoriale e di esercizio degli uffici direttivi per un anno.

nella foto la Presidenza del Consiglio

Per far ottenere un incarico a Roma al magistrato tranese Antonio Savasta, all’epoca dei fatti sottoposto a diversi procedimenti penali e alla richiesta di trasferimento d’ufficio, l’imprenditore fiorentino Luigi D’Agostino – secondo la Procura di Lecce – procurò a Savasta un incontro a Palazzo Chigi, con l’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti. Questo incontro, che Savasta sollecitò a Dagostino tramite l’avvocato Ruggiero Sfrecola, avvenne il 17 giugno 2015.

È quanto scritto nel provvedimento cautelare che ha portato all’arresto dei magistrati Antonio Savasta e Michele Nardi. All’epoca Savasta indagava su Dagostino per un giro di presunte fatture false. Per questo fatto, Savasta , Sfrecola e D’Agostino sono indagati per corruzione in atti giudiziari. Tutti e tre parteciparono all’incontro con Lotti.

Secondo l’accusa i magistrati avrebbero garantito esiti processuali positivi in diverse vicende giudiziarie e tributarie in favore degli imprenditori coinvolti in cambio di ingenti somme di danaro e, in alcuni casi, di gioielli e diamanti. Gli imprenditori avrebbero pagato per i favori ricevuti e gli avvocati avrebbero svolto il ruolo di intermediari e facilitatori.

In una nota il procuratore di Lecce Leone de Castris ha spiegato che “Il ricorso alla misura cautelare si è reso indispensabile tenuto conto del concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose e del gravissimo, documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio“. La Procura salentina ha indagato sulla vicenda in base all’articolo 11 del Codice di procedura penale poiché si tratta di reati commessi da magistrati in servizio nel distretto della Corte d’appello di Bari, su cui è competente la magistratura salentina.

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