di Lucia Annunziata
La prima fase di quella che è stata, forse troppo frettolosamente, battezzata “Terza Repubblica“, è finita. La Giustizia, terreno di scontro che ha condizionato i venti anni della Seconda Repubblica, si è ripresentata sulla scena, come il fantasma del Don Giovanni, e come nel Don Giovanni ha cambiato il corso degli eventi.
Il voto dei Cinque Stelle per sottrarre Matteo Salvini al giudizio di un tribunale – voto confermato dalla Giunta del Senato – e gli arresti dei genitori di Matteo Renzi, sono, è vero, due vicende non correlate e molto diverse (avvenute nello stesso giorno e alla stessa ora – per un caso, per malizia, o per destino che sia), ma si uniscono alla fine in un unico tratto: una identica fede nella superiorità della politica, o, forse sarebbe meglio dire, una assoluta fede nella intangibilità della politica. Con Di Maio e Salvini in difesa della supremazia del governo, e con Renzi convinto che l’arresto dei suoi genitori sia un attacco politico alla sua persona.
Sono certa che sia il Governo che l’ex premier respingano anche solo l’idea che i due casi abbiano un filo che li lega. Ma è difficile non vedere il nesso: le due posizioni hanno in comune l’opinione che la politica dovrebbe essere lasciata in pace a fare il proprio corso, incluso dalla giustizia. Il risultato finale è una inedita armonia fra parti, percorsi e convinzioni diverse, mai prima verificatasi nel pur complesso percorso della vita pubblica Italiana. Giulio Andreotti si presentò dopotutto a Palermo, riconoscendo il valore di un’aula di tribunale . E persino nei momenti più alti dello scontro intorno a Silvio Berlusconi solo i pasdaran del presidente osarono dire che bisognava difendersi dal processo e non nel processo.
Come e perché la domanda di Giustizia che ha alimentato e forgiato l’inizio della Terza Repubblica, come del resto la Seconda, si sia così malamente arenata, è tutto da comprendere.
Le conseguenze che produce sono però molto chiare già ora.
La battaglia contro l’immunità, ogni forma di impunità, è stata il perno intorno a cui il Movimento 5 Stelle ha costruito la sua dirompente affermazione. Per cui è facile prevedere che sarà il soggetto che pagherà maggiore prezzo da questo cambiamento di percorso.
Una scissione è una seria possibilità . Ma il salvataggio del governo nelle modalità con cui è avvenuto, porta a trasformazioni più serie fin da ora. Detto brutalmente: i pentastellati non hanno salvato il leghista, hanno affermato con il loro voto la scelta di rimanere al Governo senza se e senza ma. Convinti del proprio ruolo, o solo opportunisti, non è il punto. Il punto è che una volta esercitato l’opzione che governare è la priorità, perdono ogni potere di trattativa. Non ci sono limiti alle cose che potranno accettare da Salvini. Va bene, una qualche “prova di gratitudine” la incasseranno ora – la Tav, forse? Boh – ma nel lungo periodo si sono consegnati mani e piedi a una sola piattaforma e a un alleato-padrone.
Insomma, il Salvini che vince sui pentastellati allontana un’eventuale crisi di governo perché il leader leghista non ne ha più bisogno. Al contrario, gli fa comodo: un pezzo di pentastellati addomesticati in un partitino avrà bisogno di concessioni minori, e torneranno utili nell’assicurare alla Lega il consenso di una parte di elettorato, rendendolo più libero da alleanze a destra, soprattutto con Silvio Berlusconi.
Grazie a una sorta di eterogenesi dei fini, dunque, il Governo oggi è non solo salvo, ma più stabile: un addomesticamento dei Cinque Stelle a favore dei leghisti è una soluzione gradita a quelle che si chiamano “elite”.
Il caso aperto dall’arresto dei genitori di Renzi ha un forte impatto anche nel Pd. Nella settimana prima delle votazioni delle primarie, la vicenda è destinata a far salire la pressione interna e a rimettere in giro veleno. Veleno spicciolo, come le voci che attribuiscono a una manovra “interna” al Pd scenari complottisti: “alla fine è una soluzione perfetta per fare fuori un personaggio scomodo” si ascolta. E basterebbe questa quota di veleno, sia pur spicciolo, a dare l’idea dell’impatto di questa storia. Ma c’è di più, perché la rabbia dei renziani, la rivolta del leader alla decisione dei magistrati, rimette in moto una situazione da tempo stagnante: quello che viene visto come un attacco “a orologeria” può mettere in crisi definitiva Renzi o può galvanizzare gli elettori renziani, i suoi supporter. I quali, come è possibile vedere dall’entusiasmo con cui seguono il tour di presentazione del suo libro, hanno ripreso voce ed entusiasmo.
Per altra eterogenesi dei fini, l’arresto dei genitori di Renzi potrebbe dunque essere l’avvio, la scintilla, per far partire il lancio del nuovo partito su cui l’ex segretario rimugina da tempo. Si tratterebbe di una ennesima scissione, ma anche di un ulteriore chiarimento a sinistra.
Siamo insomma già immersi in un panorama che non somiglia più, nella forma e nella sostanza, a quello che era, solo in giugno: la più potente delle forze in campo, il M5s, è in rapida decomposizione, il contratto di governo stracciato ( a proposito: che fine farà la legge anticorrotti?), l’area di sinistra divisa in parti sempre più piccole.
Certo la Terza Repubblica non finisce qui. Ma il primo tempo è concluso.
*editoriale del Direttore del quotidiano online Huffington Post