di Tommaso Ciriaco
Chi vince, chi perde, chi bluffa? Bisogna scarnificare all’osso la propaganda dei mastini forgiati dalla Casaleggio associati. Scacciare gli illusionismi. E aggrapparsi all’unico dato certo: i bandi per la Tav partiranno, identici a come sarebbero partiti se in queste settimane Giuseppe Conte e Luigi Di Maio si fossero occupati solo della recessione anziché della Torino-Lione. E allora, di nuovo: chi ride per non piangere? Perdono i Cinquestelle. Nonostante lo spin di Palazzo Chigi, non c’è alcun rinvio dei bandi.
Il vicepremier deve ingoiarli, anche se con la promessa scritta di “rivedere integralmente l’opera“. Chissà quando, chissà come, chissà perché non subito per decreto. Ottiene quanto richiesto Matteo Salvini, ma esce comunque con le ossa rotte, presentando all’elettorato del Nord una grande opera come fosse un progetto semi-clandestino. Vince Giuseppe Conte, lui sì, se può dirsi vittoria aver stracciato una promessa storica del Movimento, “No Tav o morte!“, senza crisi di governo. E incassando pure il sentito ringraziamento degli sconfitti.
C’è del talento in chi gestisce da Palazzo Chigi gli assalti a vuoto di Luigi Di Maio. Lo dimostra il retroscena delle ultime ore. Nella notte di venerdì, sul tavolo del premier finiscono le relazioni dei suoi esperti legali e i focus di marketing politico dello staff di Rocco Casalino . La stella polare del team è il “capolavoro di dicembre” – lo chiamano ancora così – quel tocco di genio che trasformò il deficit in manovra dal 2,4% al 2,04%, per nascondere la sconfitta con l’Europa. Il risultato è la “soluzione tecnica“, un cavillo di cartone che risolve lo stallo. Nient’altro che un escamotage linguistico per camuffare il via libera ai bandi.
Avis de marchés, ecco il jolly di Conte. Da avvocato, il premier chiede ai suoi di rispondere a una domanda: come far partire i bandi senza ammettere di averlo fatto? Non chiamandoli bandi, ecco tutto. Aggrappandosi al sinonimo in francese, avis de marchés appunto, “avvisi di gare“. Né più, né meno di quanto Telt aveva già indicato come soluzione per non perdere i trecento milioni di finanziamenti europei. Compra sei mesi di tempo – anche questo, tutto già previsto nella tabella di marcia tracciata dalla società il 18 dicembre scorso – rimandando le decisioni finali a dopo le Europee.
Nelle stesse ore, e siamo a ieri mattina, Di Maio si attrezza per la ritirata. Appena Conte rende nota la missiva, il grillino plaude. Ha drammatizzato al massimo la battaglia per tenere buoni gli ortodossi, adesso è l’ora di piegarsi alla realtà. Anche lui compra tempo, sapendo che pure una buona parte degli elettori 5S del Nord Ovest, assicura un ultimo sondaggio Swg, sono favorevoli alla mini Tav: 35% contro 34%. Non può ancora dirlo, ma è l’orizzonte finale dell’opera, tunnel di base compreso.
Ora è però il tempo di esaltare una vittoria che non c’è. L’unica arma proposta per giorni da Di Maio a Conte, un decreto per fermare la Torino-Lione, resta un triste foglio bianco. Soltanto il Pd, con Graziano Delrio e Sergio Chiamparino, interpreta la novità come un trionfo a cinquestelle. “La lettera è chiara, il governo blocca le opere“. Il dem Michele Anzaldi dice il contrario. Tutto ruota attorno alla voglia di mirare contro il vero competitor dei prossimi mesi, Salvini, piuttosto che colpire un Movimento in crisi.
Salvini, si diceva. Si proclama vincitore. Difficile però sostenerlo di fronte al proprio elettorato e all’immenso buco nero sul futuro tracciato da Conte. Il gelo con Di Maio è polare. Ma la scelta del vicepremier leghista è comunque quella di non infierire sull’alleato. Nel sabato del suo compleanno, sveste la divisa della Polizia e mette su quella dello statista per un giorno: “Nessuno vince o perde, la Lega governa perché vincano gli italiani”. Da lunedì, però, rivendicherà il via libera ai bandi e una certezza granitica: “La Torino-Lione si farà“. Ripartirà un balletto tra gialli e verdi – “Tav sì, no, boh” – fino al 26 maggio.
Dal giorno dopo le Europee si aprirà il secondo tempo della sfida. Con “equilibri diversi”, è il ragionamento di Salvini, come potrà Conte fermare l’opera? O anche solo “ridiscuterla integralmente“, se i francesi accetteranno di limare al massimo i dettagli? Secondo il premier, la svolta arriverà dopo un bilaterale con Macron, già contattato ieri assieme a Juncker. In caso contrario, i 5S giurano che si faranno “valere in Parlamento”. Sempre domani, sempre chissà. La verità è che non potranno rivedere per legge il trattato che regola il progetto, perché manca una maggioranza favorevole allo strappo. Servirà un altro illusionismo, a quel punto. In linea con la profezia che Conte confidava venerdì sera al suo staff nel pieno della bufera: “Tranquilli, tutto si risolverà. C’è molto teatro in queste ore…”.
*editoriale tratto dal quotidiano La Repubblica