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22 Novembre 2024 11:58

Che strano…alla Gazzetta del Mezzogiorno si ricordano di parlare delle vicende giudiziarie del loro ex-editore

Secondo la pubblica accusa bisogna restituire 17 società a Mario Ciancio Sanfilippo, e confermare invece il provvedimento per altre 21, comprese quelle editoriali fra cui le società editrici dei quotidiani LA SICILIA e la GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO . Per l'accusa "l'intero percorso esistenziale di Ciancio è collegato all'associazione mafiosa".

ROMA – Lo confessiamo. Non credevamo ai nostri occhi quando il sistema Google Alert ci ha segnato un articolo pubblicato sull’ home page della GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO , con cui viene data notizia (utilizzando la breve notizia data dall’ ANSA) della richiesta della Pg Miriam Cantone e del Pm Antonino Fanara a conclusione della loro requisitoria nel processo in Corte d’appello a Catania,  a seguito dal ricorso della difesa  dell’editore siciliano costituita dagli avvocati Carmelo Peluso, Francesco Colotti e Nerio Giuseppe Diodà contro il sequestro e la confisca dei beni di  Mario Ciancio Sanfilippo, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, disposti dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania, a seguito delle indagini ed accertamenti condotti dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dei Carabinieri del ROS di Catania.

Quello che La Gazzetta del Mezzogiorno non racconta….

Nella precedente udienza del 12 marzo scorso, non raccontata da LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO vi era stata la  requisitoria della procuratrice generale Miriam Cantone durata quasi quattro ore, al termine della quale la richiesta non ammette equivoci. Mario Ciancio Sanfilippo imputato per “concorso esterno in associazione mafiosa”  ha “intrattenuto per decenni stretti rapporti con la mafia”, un periodo lunghissimo in cui la linea editoriale del giornale La Sicilia sarebbe stata “piegata ai suoi interessi“. Sono questi alcuni dei passaggi chiave dell’udienza che ha avuto come “protagonista” l’imprenditore ex monopolista dell’informazione siciliana che nel settembre 2018, ha subito il sequestro e la relativa confisca di beni per un valore non inferiore a 150 milioni di euro.

“Abbiamo 12 collabori di giustizia tutti credibili e coerenti. Oltre a essere provenienti da diverse province della Sicilia“, ha spiegato la pg  Miriam Cantone alla Corte presieduta dalla giudice Dorotea Quartararo, affiancata da Antongiulio Maggiore Antonino Marcello. L’ultimo dei pentiti a parlare di Ciancio è stato Francesco Squillac. con un passato da killer di Cosa nostra e un presente da collaboratore di giustizia. In mezzo alcune dichiarazioni, già messe a verbale nel 2014 quando non si era ancora pentito, in cui raccontava di un falso attentato organizzato all’interno di una villa di Ciancio, nel quartiere Canalicchio. “Tutti fatti riscontrati – ricorda la Cantone -. Come si può vedere dagli accertamenti tecnici fatti all’epoca dei fatti“.

Un capitolo a parte è quello che ha riguarda la linea editoriale del giornale La Sicilia. del quale Ciancio è stato ininterrottamente editore-direttore dal 1976 al 2018. Quarantadue anni di potere in cui è stato trattato l’argomento mafia a Catania. “Non è stato dato risalto ad alcune cose“, ha continuato la Cantone, riferendosi alla mancata pubblicazione del necrologio per la morte del commissario Beppe Montana e al messaggio in cui si rinnovava “ogni disprezzo alla mafia e ai suoi anonimi sostenitori“.

“Ciancio piegava la linea del giornale ai suoi interessi e quello è stato un caso di vera e propria censura”  ha aggiunto l’accusa. Secondo la procura generale sul giornale  La Sicilia la linea sarebbe stata ben diversa invece quando di mezzo ci sarebbero stati alcuni esponenti della famiglia mafiosa etnea dei Santapaola-Ercolano. Riferendosi a una missiva del boss Nitto Santapaola, “in cui perdonava chi aveva ucciso sua moglie Carmela Minniti“, ed a quella del figlio Vincenzo, responsabile di essere stato in grado di farsi pubblicare una lettera, senza nessuna autorizzazione del tribunale, mentre si trovava sottoposto al regime del carcere duro !.

Il secondo atto della vicenda processuale si è celebrato ieri sempre davanti alla  Corte del Tribunale misure di Prevenzione: “Sono onorato di essere stato applicato a discutere questo processo“, con queste parole ha esordito nel suo intervento il magistrato Antonino Fanara  impegnato da anni  nel caso e per l’occasione “prestato” al primo piano del palazzo di giustizia, in cui affianca la sostituta procuratrice generale Miriam Cantone. “Voglio farvi riflettere sui principi che ispirano le misure di prevenzione, evitando di avere in mente un risultato da raggiungere“, ha aggiunto.

Ampio risalto è stato dato proprio all’interpretazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa e la sua trattazione in numerose sentenze, compresa quella di Gaetana Bernabò Distefano. Giudice etnea che, tra non poche polemiche, aveva fatto cadere l’accusa all’editore durante la fase preliminare del processo. “Noi  siamo convinti che in questa vicenda ci sia stato un patto riservato tra Ciancio e alcuni esponenti di Cosa nostra. Un patto serio e specifico” ha aggiunto Fanara. Legittimo chiedersi la ragione per cui il potente editore siciliano  sarebbe dovuto scendere a patti con i boss Nitto Santapaola e Pippo Ercolano? “A loro consentiva di presentarsi con maggiore forza, disponendo di contatti con le istituzioni, cioè politici, imprenditori e magistrati. Lo stesso consentiva a imprenditori che facevano parte del club di Cosa nostra di entrare in determinati affari“.

Un’ argomentazione a parte è quello che ha riguardato i tempi di questo presunto accordo. Sul fronte del processo penale le contestazioni cominciano dal 1982, anno dell’introduzione della legge Rognoni-La Torre. Il filone dei beni, invece, scava nel successo imprenditoriale di Ciancio, ricostruibile a partire dal 1976. “Secondo l’accusa – ha aggiunto il pm Fanara l’intero percorso esistenziale di Ciancio è collegato all’associazione mafiosa”.

Il passaggio più complesso ma più importante della requisitoria è quello che riguarda l’andamento di entrate e uscite nel patrimonio di Ciancio. Analisi anno per anno che la procura ha messo sotto la lente d’ingrandimento grazie a una consulenza affidata al colosso mondiale della revisione societaria, la multinazionale americana PricewaterhouseCoopers.

Secondo la pubblica accusa bisogna restituire 17 società ed in particolare la Sim società immobiliare meridionale srl, società agricola Fiumara srl, Messapia srl, azienda agricola S. Giuseppe La Rena srl mentre è stato richiesto di confermare invece il provvedimento della confisca di tutto il gruppo editoriale, televisivo, radiofonico e pubblicitario,  fra cui le società editrici dei quotidiani LA SICILIA e la GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO .

Il colpo di scena dell’udienza è arrivato al termine dell’ultima udienza, è stato quando Fanara ha annunciato il deposito di una memoria di 39 pagine, con alcuni allegati, che riassume i motivi della richiesta di confisca. Un documento in cui però si allarga l’analisi al biennio 1974-1975, lo stesso che nei mesi scorsi proprio in questo processo era stato oggetto di una domanda d’integrazione da parte dell’accusa.

Il processo continuerà con le arringhe del collegio di difesa, previste per il 21 maggio e il 18 giugno prossimi. Per i beni sequestrati il Tribunale ha nominato amministratori giudiziari Angelo Bonomo e Luciano Modica per garantire la continuazione dell’attività del gruppo, nonostante sia gravato da imponenti debiti.

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