ROMA– La vicenda giudiziaria che ha travolto la procura ed il Tribunale di Trani sembra ampliarsi a macchia d’olio, grazie all’inchiesta condotta dal pubblico ministero Roberta Licci della Procura di Lecce, con l’iscrizione nel registro degli indagati di un altro magistrato. Infatti, nell’elenco dei 12 indagati indicati nella richiesta di incidente probatorio depositata dalla Procura leccese per “blindare” le confessioni di Antonio Savasta, dimessosi dalla magistratura, ma anche del poliziotto Vincenzo Di Chiaro e dell’imprenditore Flavio D’Introno, è stato inserito anche il nome dell’ ex pubblico ministero della Procura di Trani Luigi Scimè (ora in servizio presso la Corte d’appello di Salerno) indagato per corruzioni in atti giudiziari, e di altri tre altri nuovi indagati: l’avvocato Giacomo Ragno, 62 anni, di Molfetta, il cognato di Savasta, il barlettano Savino Zagaria, 55 anni, ed il molfettese Martino Marancia, 54 anni.
Il magistrato Scimè viene incluso e coinvolto in episodi di corruzione ed elargizioni di tangenti messo in piedi e gestito da Michele Nardi suo ex- collega a Trani, che è venuto alla luce a seguito dell’inchiesta condotta dalla Procura di Lecce con l’ausilio investigativo dei Carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia di Barletta.
Scimè risponde delle accuse a suo carico di avere ricevuto 75mila euro: 30mila per i procedimenti penali che riguardavano D’Introno , 30mila per aver richiesto al Gip l’archiviazione degli attentati incendiari alle due ville della moglie di D’Introno ed infine 15mila euro per il “processo Frualdo“. Per questo la Procura di Lecce ha contesta al magistrato il reato di “corruzione in concorso” con i suoi colleghi Antonio Savasta che dopo l’arresto si è dimesso alla magistratura e Michele Nardi attualmente detenuto, con l’imprenditore D’Introno, con il poliziotto Vincenzo Di Chiaro e con l’avvocato Simona Cuomo.
All’interno delle 25 pagine di richiesta di incidente probatorio depositata dal pubblico ministero Roberta Licci al giudice per le indagini preliminari, Giovanni Gallo, si sostiene che il magistrato Scimè si sarebbe prestato a favorire l’imprenditore Flavio D’Introno, che nelle intercettazione viene definito “la gallina dalle uova d’ora“, in processo a suo carico di primo grado chiamato “Fenerator” , in cui rispondeva del reato di usura, processo del quale il magistrato indagato era titolare del fascicolo.
Secondo il capo di imputazione Scimè avrebbe preparato la requisitoria insieme a Savasta su richiesta del Nardi per chiedere poi l’assoluzione parziale in quanto per le accuse restanti a carico di D’Introno, si sarebbero avvalsi , per non destare sospetti, della successiva prescrizione che sarebbe intervenuta nei successivi gradi di giudizio. Sempre Scimè si sarebbe attivato a chiedere il rinvio a giudizio di due persone, in realtà risultate vittime nel processo Fenerator, per fare poi confluire tutti gli atti nel dibattimento in corso con il fine preordinato di agevolare la posizione processuale a carico di D’Introno.
Scimè avrebbe chiesto l’archiviazione di due procedimenti relativi all’incendio di due ville di proprietà della moglie dell’imprenditore D’Introno e al danneggiamento di una delle due ville (in cambio di 30 mila euro complessivi) scrive la pm Licci “sì da favorire D’Introno il quale aveva interesse ad una rapida liquidazione dell’indennizzo da parte dell’assicurazione” , sarebbero state chieste ed ottenute le archiviazioni in quanto i procedimenti restarono contro ignoti, non venendo accolte e prese in considerazione le richieste della polizia giudiziaria di intercettare i telefoni di D’Introno e di installare una microspia nella sua autovettura.
Sempre a Scimé inoltre viene contestato di avere apposto la sua firma al posto di quella del procuratore capo Capristo , su una richiesta di sequestro presentata da Savasta di circa 9 milioni e 200mila euro, allo scopo di favorire D’Introno. Tutto ciò per evitare il controllo del procuratore aggiunto Giannella.
Nella richiesta di incidente probatorio vi sono anche altre nuove contestazioni , come l’accusa di millantato credito contestata a Michele Nardi che voleva far credere di potere incidere sulle decisioni dei giudici della Corte d’Appello e della Cassazione nel processo Fenerator, contestata nello stesso ed in altri procedimenti.
Tutto ciò ha indotto il pm Roberta Licci titolare dell’inchiesta sulla giustizia “corrotta” di Trani a garantirsi le confessioni di Savasta, Di Chiaro e D’Introno, che hanno consentito l’applicazione di quanto previsto dal codice di procedura penale, sui requisiti di Legge necessari per poter richiedere l’incidente probatorio e cioè che la persona sia esposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso.
Condizioni queste che nella vicenda in questione sono presenti e concrete, come scrive il pubblico ministero Licci: “Che peraltro nel caso di specie appare fuori di dubbio la sussistenza proprio di quest’ultima condizione, alla luce di quanto ampiamente documentato nella fase delle indagini circa le plurime condotte poste in essere dagli indagati, finalizzate all’inquinamento delle fonti dichiarative. Tra cui, offerte e dazioni di denaro come anche pressioni e minacce volte ad assicurarsi il silenzio di Flavio D’Introno. Sino a fornirgli i mezzi economici per riparare all’estero“.