ROMA – Gli uomini della D.I.A. di Genova agli ordini del colonnello Mario Mettifogo, hanno eseguito in Liguria e in Campania, due ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip del Tribunale, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Genova, nei confronti di Ferdinando Varlese amministratore di fatto (ritenuto contiguo ad elementi inseriti in organizzazioni camorriste) della TECNODEM S.r.l. di Napoli – società già impegnata nella demolizione del “ponte Morandi” – e di una donna considerata prestanome nell’ambito della medesima compagine societaria. Sono state effettuate anche perquisizioni con esecuzione di sequestri preventivi. L’esecuzione delle misure cautelari personali e patrimoniali è avvenuta d’intesa con la D.D.A. della Procura di Napoli.
Varlese aveva avuto accesso nel cantiere di ponte Morandi due volte, l’11 e il 12 aprile scorsi. In entrambi i casi, pur risultando sulla carta un semplice dipendente della Tecnodem, ha superato i tornelli con un badge da visitatore. Accreditandosi però come il reale amministratore dell’azienda.
I provvedimenti traggono origine da una articolata indagine, diretta e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Genova e condotta dalla D.I.A., che aveva già comportato, sulla base dei primi accertamenti di carattere amministrativo, l’emissione nello scorso mese di maggio di un’informazione interdittiva a carico dell’ azienda che era stata così estromessa da un subappalto di centomila euro, relativo appunto alla demolizione del “ponte Morandi” di Genova, crollato la scorsa estate.
Il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi commentando gli arresti nell’indagine sulla presenza della camorra nei cantieri ha spiegato che “L’operazione di oggi completa il quadro di attenzione degli investigatori sui cantieri del ponte Morandi, sia in fase preventiva che in quella successiva di infiltrazioni delle organizzazioni mafiose. Si tratta di un cantiere ipercontrollato i controlli vengono fatti durante e dopo l’assegnazione dei lavori, in una fase successiva dunque, e il meccanismo funziona benissimo”.
I due arrestati sono l’amministratrice e socio unico della TECNODEM , Consiglia Marigliano, consuocera di Varlese e formalmente amministratrice della società, donna priva di titoli ed esperienze professionali di settore, e l’effettivo amministratore della società, Ferdinando Varlese 65enne di Napoli residente a Rapallo (GE), già condannato per associazione a delinquere (in un procedimento nel quale erano coinvolti affiliati al clan “MISSO-MAZZARELLA-SARNO”, appartenenti all’organizzazione camorrista “Nuova Famiglia”) e per estorsione tentata in concorso, con l’aggravante di aver commesso il fatto con modalità “mafiose” (in un altro procedimento da cui emergevano circostanziati rapporti dell’uomo con il sodalizio camorristico “D’AMICO”, cui risulta legato da stretti rapporti di parentela).
Come previsto dal Protocollo sottoscritto dal Commissario per la Ricostruzione Marco Bucci e il Prefetto di Genova Fiamma Spena, dato il provvedimento interdittivo adottato dalla Prefettura nei confronti dell’impresa TECNODEM , “la Struttura Commissariale ha provveduto a chiedere l’immediata risoluzione del contratto in essere con l’affidataria all’Ati di demolizione, di cui la stessa azienda era un subappalto” come si legge in una nota del commissario.
Le investigazioni, delegate dalla D.D.A. della Procura di Genova al locale Centro Operativo D.I.A., procedendo sin dall’inizio dei lavori di demolizione parallelamente agli accertamenti amministrativi, hanno consentito di raccogliere prove sull’operato dei due arrestati che, agendo in concorso tra loro e previo accordo, al fine di eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali, hanno attribuito fittiziamente alla donna la titolarità formale della “TECNODEM ”, quale unica socia, amministratrice e rappresentante, mantenendo invece in capo all’uomo la titolarità effettiva della stessa, integrandosi così il delitto di cui all’art. 512 bis del c.p. (trasferimento fraudolento di valori); è stata contestata dalla Procura Distrettuale di Genova e riconosciuta dal Gip la circostanza aggravante di aver commesso il fatto per agevolare il clan camorristico “D’AMICO” del Rione Villa di Napoli.
Dalle indagini condotte dalla D.I.A. è emerso chiaramente il disegno criminoso studiato dai due nella circostanza che prevedeva, quindi, la donna come “cosciente schermo” delle attività dell’uomo, il quale, dopo che la società era stata estromessa dal sub appalto inerente i lavori di demolizione del “ponte Morandi”, si era già attivato per formare, quanto prima, una nuova compagine sociale composta da congiunti e/o persone fidate per continuare a “proporsi” nello stesso settore.
“Intorno alla demolizione del ponte Morandi – ha spiegato il colonnello della Dia di Genova Mario Mettifogo – ballano cifre consistenti e quindi è evidente che ci sia un interesse da parte della criminalità organizzata. Ma si tratta di un cantiere così pubblicizzato e controllato che non dovrebbero nemmeno provarci“. Dalle indagini è emerso come Varlese abbia costruito diversi schermi per poter partecipare agli appalti. Identico sistema sarebbe stato usato per partecipare alla dismissione della centrale nucleare di Caorso. Ma con la D.I.A. non ha funzionato.