di Antonello de Gennaro
Potrei iniziare questo articolo scrivendo: “io questo lo conosco bene…” ma in realtà personalmente non lo conosco affatto, ma conosco e so molto bene quante ne ha combinate, conosco i suoi “adepti” e protetti, conosco le sue avventure sentimentali, e so quante ne ho dovute subire dinnanzi al suo breve (per fortuna della giustizia ) periodo a Taranto di procuratore facente funzione, allorquando ha “pilotato” (o meglio sostenuto) spericolate iniziative di alcuni magistrati a lui molto vicini, e del suo giornalista “ventriloquo” di fiducia, con una vera e propria persecuzione accusatoria da me subita che è stata smentita dall’ufficio di ben tre Gip del Tribunale di Taranto, del Tribunale del Riesame di Taranto che ha visto prevalere le mie ragioni e l’insussistenza delle accuse nei miei confronti.
Per non parlare poi della richiesta di arresto formulata nei miei confronti con primo firmatario Pietro Argentino, finita nel tritacarte delle follie giudiziarie, non venendo accolta dal Gip del Tribunale di Taranto dr. Tommasino, in quanto era chiaro e lampante che il vero ed unico obiettivo di alcuni magistrati in servizio a Taranto, era unicamente quello di mettermi a tacere ed impedirmi di fare sino in fondo il mio lavoro di giornalista.
Per non parlare poi del vano tentativo di “comprarmi” proponendomi consulenze a pagamento (puntualmente rifiutate !) facendomi contattare da un avvocatessa di Martina Franca, la quale per un periodo è stata “pubblicamente” la sua compagna convivente, a seguito di una temporanea separazione di Argentino con sua moglie, le cui liti urlate sono ancora oggetto di gossip nel palazzo in cui vivevano. Tutte miserie umane.
Non contento a suo tempo Argentino e le sue due colleghe tarantine proposero ricorso in Cassazione, ottenendo la pessima figura che meritavano. Infatti il procuratore generale della Cassazione chiese il rigetto del ricorso per “inammissibilità“, che il collegio della 5a sezione della Suprema Corte condivise, rigettando i teoremi della Procura di Taranto (sotto la gestione pro-tempore) di Argentino ritenendolo “inammissibile” . Una figura peggiore, un magistrato nel corso della carriera, non la può fare. Ma invece toccò ad Argentino, insieme alle colleghe Giovanna Cannarile (successivamente trasferita dal Csm a Lecce) e Rosalba Lopalco che con lui avevano controfirmato il ricorso, rivelatosi sterile ed insussistente. Per non definirlo ridicolo !
Ha ragione chi ha scritto che “Parlare di guerra tra toghe è decisamente troppo“, ma assistere alla “guerriglia” giudiziaria che il magistrato Argentino sta cercando di scatenare in Basilicata è veramente troppo. Pietro Argentino nato a Lizzano il 28 settembre 1952, è procuratore capo della Procura di Matera dal luglio del 2017 , dopo aver fatto il procuratore aggiunto a Taranto dal maggio 2013 sino alla sua attuale nomina che potrebbe essere l ‘ultima prima del suo pensionamento che dovrebbe decorrere dal 1 ottobre 2022, cioè fra tre anni al compimento dei suoi 70 anni. Una nomina peraltro ottenuta con il minimo dei voti necessari (undici) dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura.
Argentino adesso chiede di processare Laura Triassi, di fatto il “numero due” della Procura di Potenza, Amerigo Palma Gip dello stesso Tribunale e tre componenti giudicanti del Collegio penale del capoluogo di regione, Aldo Gubitosi, Francesco Rossini e Natalia Catena quest’ultima trasferitasi nel Lazio, con un’azione che rappresenta una situazione incresciosa.
E’ stato proprio Argentino con un proprio esposto, a chiedere ai giudici calabresi di valutare l’operato dei colleghi potentini in relazione a un procedimento che lo aveva visto prima “testimone“ e subito dopo indagato per falsa testimonianza nel 2014 quando era Procuratore aggiunto a Taranto e quindi sottoposto alla giurisdizione del Tribunale di Potenza. Tutto ha origine da un procedimento che noi del CORRIERE DEL GIORNO conosciamo molto bene…cioè quello a carico dell’ex-pm Matteo Paolo Di Giorgio condannato in via definitiva dalla Suprema Corte di Cassazione a 8 anni di carcere con la grave e pesante l’accusa di aver abusato della sua toga per interferire nella vita politica di Castellaneta Marina ed in particolare del Sen. Rocco Loreto. Nel febbraio del 2014 Argentino venne ascoltato dal collegio penale come testimone , ma quando nel successivo aprile il tribunale pronunciò la sentenza di primo grado, venne disposta la trasmissione degli atti alla procura per un’ipotesi di reato di “falsa testimonianza” a carico di Argentino e dell’ex procuratore capo di Taranto .
Incredibilmente fu lo stesso Argentino a sollecitare alla Procura di Potenza l’avvio di un fascicolo che si chiuse con una richiesta di archiviazione formulata dal Pm Laura Triassi, accolta dal Gip dr. Amerigo Palma, ritenendo non veritiere alcune sue dichiarazioni, basandosi sul fatto che Argentino qualora avesse agito diversamente avrebbe dovuto fare una “pacifica ammissione di aver, sia pur nel lontano 2006, ingiustamente accusato” una persona, e venne ritenuto “non è punibile per il delitto di falsa testimonianza, in forza dell’esimente di cui all’art. 384 comma primo del codice penale, il testimone che, come nella specie, abbia reso false dichiarazioni al fine di sottrarsi al pericolo di essere incriminato per un reato commesso in precedenza e in ordine al quale, al momento in cui è stato ascoltato, non vi erano indizi di colpevolezza a suo carico”.
L’ attuale Procuratore di Matera si è sentito leso dalla decisione del Tribunale di Potenza trasmettere gli atti alla Procura senza approfondire alcuni fatti, lamentando un’ipotesi di abuso d’ufficio e calunnia. Non contento…è arrivato addirittura a censurare sia la richiesta di archiviazione in suo favore, che secondo lui, sarebbe stata strumentalmente basata sull’esimente dell’art. 384, ma anche il successivo dispositivo del Gip che avallava integralmente la richiesta del Pm, fatti per i quali Argentino sostiene di aver subito un abuso d’ufficio da parte dei colleghi di Potenza. Non si comprende quale…
Secondo le motivazioni di archiviazione dei Pm calabresi l’esito delle indagini non avrebbe consentito di riscontrare alcuna sussistenza di eventuali reati, sia sotto il profilo materiale quanto per gli insufficienti riscontri in ordine alla ricorrenza dell’elemento psicologicamente normativamente richiesto. Mancherebbero gli elementi anche solo minimamente sintomatici di una volontà o intento di orientare la decisione in danno di Argentino. La vicenda sarebbe stata molto complessa mentre è necessaria una piena consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato per poter integrare e ravvedere il reato di calunnia , che non sarebbe stato ravvisato nella condotta dei giudici potentini, così come nella condotta della Pm Triassi la quale, pur condividendo la ricostruzione di “non credibilità” di Argentino, aveva ritenuto applicabile nei suoi confronti l’esimente prevista dall’art. 384 comma primo del codice penale, basandosi su un convincimento fattuale e giuridico, seppure ritenuto non condivisibile .
Una decisione per la quale anche i Pm calabresi non ravvedono elementi tali da far ritenere una volontarietà nel fare un danno ingiusto al collega all’epoca in servizio a Taranto o un vantaggio patrimoniale a terzi. Ed altresì non ci sarebbe stata nessuna volontà di arrecare danno ad Argentino nella decisione con cui il dr. Palma Gip del Tribunale diPotenza ha disposto l’archiviazione definitiva .
Il procuratore di Matera, originario di Lizzano (Taranto) ed il suo legale, il prof. Luigi Fornari, a seguito della richiesta di archiviazione firmata dai Pm calabresi Vincenzo Capomolla e Vito Valerio, hanno depositato una lunga memoria presentando ricorso al Gip del Tribunale di Catanzaro richiedendo di formulare l’imputazione coattiva o, eventualmente di effettuare altri accertamenti. ed hanno con cui chiedono la formulazione dell’imputazione o di imporre ai Pm nuove indagini affinchè il fascicolo non finisca in archivio . Argentino lamenta per quanto riguarda il collegio giudicante, come non abbia ricevuto il previsto avviso al testimone (cioè se stesso) sulla presunta contraddittorietà delle sue dichiarazioni poi giudicate in sentenza che sono state giudicate dal Tribunale di Potenza in “stridente contrasto” con quelle di un altro testimone. Aggiungendo una serie di elementi per sostenere la propria verità di quanto affermato, per accusare il Collegio del Tribunale penale potentino di aver dolosamente voluto ignorare, arrivando a giudicar alcuni passaggi difficilmente comprensibili “se non tenendo presente la malafede dei componenti del Collegio”.
Argentino chiede nello stesso modo la loro imputazione coattiva e, in subordine, delle nuove ulteriori indagini nei confronti della Pm Laura Triassi e del Gip Amerigo Palma, cioè di coloro che l’avevano prosciolto ed archiviato ! A sostegno delle accuse nei loro confronti, oltre alla ricostruzione degli elementi del procedimento “madre” (che peraltro si è concluso definitivamente) , fa riferimento ad una registrazione di un colloqui tra due persone interessate dal procedimento principale. Persone che a aprile del 2015 già sarebbero stati a conoscenza dell’esistenza del decreto di archiviazione nei confronti di Argentino, e che aggiungono di sapere che “doveva essere fatto subito” e che parlano di un ufficiale minacciato dal Pm, che a giugno conoscono il contenuto del decreto di archiviazione e che addirittura ad agosto ne saranno in possesso, sapendo che la richiesta di non archiviare presentata da Argentino è stata rigettata e che così l’allora procuratore aggiunto di Taranto sarebbe stato fregato ed escluso dalla corsa a Procuratore capo di Matera (dopo essersi candidato anche per quella di Lecce !) in quanto sottoposto a procedimento disciplinare dal quale si è salvato grazie a “pressioni” politiche in suo favore, con lo zampino del pm romano Luca Palamara, come evidenziato nei giorni scorsi dai quotidiani La Repubblica ed il Fatto Quotidiano.
Non a caso come racconta il Fatto Quotidiano, era stata proprio la corrente di Luca Palamara a consentire ad Argentino di diventare procuratore capo a Matera, eletto con il minimo necessario dei voti (11 per la precisione). Un risultato sicuramente non eccellente, contrariamente a quanto aveva scritto il suo “biografo” …. sulla Gazzetta del Mezzogiorno in occasione della sua nomina.
L’azione di Argentino nasconde un altro obiettivo: quello di danneggiare la pm Triassi nella sua corsa a procuratore aggiunto di Potenza. Un incarico assegnato a Raffaello Falcone, oggi coordinatore della sezione «fasce deboli» — contro il quale la Triassi hanno vinto il ricorso al Tar: i giudici amministrativi hanno ritenuto che entrambi avessero i titoli per coprire quell’incarico. Laura Triassi, che all’epoca di “Mani pulite” era uno dei gip più impegnati, ha vinto però anche altri due ricorsi: quelli contro Francesco Curcio, a lungo a Napoli e oggi procuratore di Potenza, e quello contro Anna Maria Lucchetta, ex pm della Dda e oggi procuratore a Nola. Rispetto a Curcio, per esempio, la Triassi può vantare l’esperienza di procuratore facente funzioni: la maturò a Potenza subito dopo la nomina di Giovanni Colangelo a capo dei pm di Napoli.
Il Csm ha impugnato tutte queste sentenze davanti al Consiglio di Stato: la linea è quella di attendere il secondo grado di giudizio e poi, dopo avere letto le motivazioni, decidere se confermare le stesse nomine, magari con motivazioni diverse, o modificarle: in qualche circostanza è già accaduto, ma è molto difficile immaginare quale ruolo andrebbero a ricoprire i magistrati che dovessero lasciare l’incarico attuale. Intanto i tempi si allungano, mentre le esigenze di giustizia, richiederebbero un organico al completo. Tutti questi ricorsi vinti, inoltre, evidenziano lo scollamento tra la linea della giustizia amministrativa e l’operato del Csm, da molti criticato per i criteri troppo autoreferenziali con i quali procede alle nomine. E questo ormai è sotto gli occhi di tutti.
Una vera e propria “guerra” tra magistrati tra le province di Potenza e Matera che ricadono sotto lo stesso distretto di Corte d’Appello e che senza alcun dubbio non rasserena le turbolenze provenienti dagli scandali al Csm con il “caso Palamara”. E infatti proprio il Consiglio Supremo della Magistratura, che ha già un fascicolo disciplinare aperto nei confronti di Argentino per un’altra vicenda legata alla sua permanenza a Taranto, e potrebbe quindi interessarsi anche questo inedito scontro a distanza, perché da un punto di vista “ambientale” tra le toghe dello stesso distretto di Corte d’Appello, la vicenda che affonda le radici nel passato e che si trascina fino ad oggi, appare sempre di più difficilmente componibile. Una vicenda che sembra aver messo la parola “fine” alla carriera di Pietro Argentino.