ROMA – Più di 200 uomini della Squadra Mobile di Palermo, del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e dell’ F.B.I. (Federal Bureau of Investigation) di New York hanno eseguito arresti e fermi, disposti dalla Dda del capoluogo siciliano, di boss e gregari del mandamento mafioso di Passo di Rigano nella zona a sud di Palermo. Il blitz, denominato “New connection“, ha svelato il forte legame tra Cosa Nostra palermitana e la criminalità organizzata statunitense, in particolare il potente “Gambino Crime Family” di New York.
Nel quartiere di Passo di Rigano avevano ricostituito la loro roccaforte importanti esponenti della famiglia mafiosa degli Inzerillo, una storica cellula criminale palermitana decimata dal capomafia Totò Riina negli anni ’80, durante la seconda guerra di mafia. Gli esponenti della famiglia Inzerillo, costretti a rifugiarsi negli Usa, rientrati in Italia nei primi anni 2000, avevano ricostituito le fila della ‘famiglia’, anche grazie al ritrovato equilibrio con i vecchi nemici.
Un messaggio di WhatsApp è transitato da Palermo a New York : il segnale che gli operanti della Squadra Mobile di Palermo ed i colleghi dell’Fbi stavano aspettando. Le operazioni di polizia sono partite in simultanea fra i vicoli e le stradine di Passo di Rigano, di Boccadifalco, di Torretta e nello stesso momento fra le ville di Brooklyn, di Staten Island, del New Jersey. Sono scattati diciannove arresti a Palermo fra gli Inzerillo e i Gambino, decine di perquisizioni negli Stati Uniti.
Gli Inzerillo e i Gambino erano stati messi sotto controllo giorno e notte dalla sezione Criminalità organizzata della Squadra Mobile palermitana diretta da Gianfranco Minissale. Un’operazione complicata, perché gli eredi di Totuccio Inzerillo e di John Gambino si muovevano tenendo un basso profilo, senza alcun clamore, pensavano soltanto a fare tanti affari, comportavandosi tutto l’opposto dei “Corleonesi” di Totò Riina e Bernardo Provenzano .
Dalla Sicilia agli Stati Uniti la vecchia mafia degli Inzerillo e dei Gambino era tornata ad essere forte. E’ la mafia su cui avevano indagato negli anni ‘70 prima il capo della Mobile Boris Giuliano e poi il giudice Giovanni Falcone. Oggi inchiesta condotta dal pool di Palermo coordinato dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Salvatore De Luca ha scoperchiato un drammatico ritorno al passato.
Francesco e Tommaso Inzerillo, u truttaturi e u muscuni, il fratello e il cugino di Totuccio, il “re” del traffico internazionale di droga ucciso nel 1981 per volere di Riina, erano rientrati in Italia, espulsi dagli Stati Uniti in quanto ritenuti “indesiderabili ” dal Governo americano.
I loro nomi comparivano già nell’ordinanza sentenza del processo Spatola firmata nel 1980 dall’allora giudice istruttore Giovanni Falcone appena arrivato dalla sezione Fallimentare. Falcone in quel processo diventò il nemico “numero uno” della mafia applicando e perfezionando il suo metodo che poi ha fatto scuola: “Bisogna seguire i soldi“, diceva sempre ai suoi collaboratori
Un insegnamento quello di Falcone, seguito dai pm Amelia Luise e Roberto Tartaglia attualmente consulente della commissione antimafia, che tre anni fa hanno avviato questa indagine, ; le richieste di arresti (che hanno portato a un fermo per 15 persone e a un’ordinanza del gip per 4, fra cui il sindaco) portano anche le firme dei pm Francesco Gualtieri e Giuseppe Antoci. Anche se non siamo più nel 1980, sembra di rileggere le carte del giudice Falcone,
Fra gli arrestati compare Alessandro Mannino, il nipote prediletto che Totuccio prima aveva fatto studiare, e poi gli aveva regalato un elegante guardaroba, incaricandolo di tenere i rapporti con le banche. In manette è finito anche Rosario Gambino, uno dei trafficanti di droga che Falcone aveva seguito nei suoi continui viaggi fra Palermo e gli Stati Uniti.
Nella nuova commissione provinciale mafiosa si era seduto Giovanni Buscemi, anch’egli arrestato questa notte, che negli anni Ottanta faceva il killer, successivamente era finito in galera, ma nei mesi scorsi l’ergastolo gli era stato commutato in 25 anni, ed era stato scarcerato. Il giorno dopo, la famiglia l’ha promosso per meriti straordinari, in tanti anni di carcere duro non ha mai detto una sola parola a un giudice.
Oggi come anni fa i cugini Inzerillo curavano l’aspetto finanziario della famiglia. Negli ultimi tempi, a Palermo, erano addirittura corteggiati per fare parte della nuova Cupola da Settimo Mineo ritenuto un “fedelissimo” di Riina . Ancora una volta, però gli erano Inzerillo voluti restare nell’ombra. Anche perché non si fidavano degli altri mafiosi: “Appena li arrestano, parlano” . E non caso così è accaduto con due capimafia.
Francesco Inzerillo se ne stava nel negozio di famiglia, un ingrosso di prodotti per la casa la “Karton Plastik” di via Castellana 81 . Nel dicembre scorso, dopo il blitz dei Carabinieri che svelò le visite di Mineo, erano andati a cercarlo. Ma rispondeva sempre: “Non lo conosco. Non so nulla”. Invece sapeva tutto.
Il boss Benedetto Gabriele Militello, uno degli arrestati nel blitz di questa notte, minacciava propositi di vendetta contro il nostro collega Salvo Palazzolo della redazione del quotidiano La Repubblica a Palermo il quale si era recato nel negozio di Francesco Inzerillo, con tanto di telecamera, per chiedergli del perché dei suoi incontri con l’anziano della Cupola Settimo Mineo, come emergeva dalle carte dell’operazione “Cupola 2.0” di inizio dicembre 2018.
Lo scorso 6 dicembre 2018 alle 21.10, la Squadra Mobile di Palermo ha intercettato una conversazione di Militello con Tommaso Inzerillo, nella quale i due mafiosi commentavano il video uscito su Repubblica.it realizzato da Palazzolo nel quartiere dove Mineo gestiva una gioielleria.
Francesco Inzerillo, che è il fratello di Salvatore, il “capomafia” ucciso nel 1981, aveva negato di conoscere il boss Mineo, mentendo consapevolmente di mentire, infatti l’operazione della Dda di Palermo ha portato alla luce che l’anziano della “Cupola” era andato a Passo di Rigano per chiedere agli Inzerillo di fare parte della commissione provinciale di Cosa nostra. “Non so nulla”, aveva detto Inzerillo al giornalista, che aveva continuato a incalzarlo con le sue domande. E questo per Militello era uno “sgarbo” motivo per cui diceva: “Due colpi di mazzuolo gli avrei dato … due colpi di legno glieli avrei dato. Tanto che mi può fare? Che ci possono fare? … due colpi di legno. Ma per l’azione”. I boss commentavano pure un altro video di Palazzolo che quel giorno era andato .
(notizia in aggiornamento)