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22 Novembre 2024 09:18

Il presidente Mattarella vigilerà sulla scelta dei quattro ministeri “chiave” del Governo Conte

Chi  ha sperato e  fin qui tifato per il voto invece che per l’accordo, è ancora sempre di più convinto che le urne sarebbero state un passaggio migliore per creare una svolta in Italia. I partiti avrebbero potuto contare le loro reali forze, e avrebbero soprattutto condiviso con i cittadini italiani il peso di una trasformazione di fase così incerta. E avremmo avuto un premier "vero", invece di un Avvocato arrivato al bis senza mai essere stato votato dagli italiani. 

ROMA – Ieri più di qualcuno si aspettava e prevedeva che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarebbe uscito dalla sala delle consultazioni e facesse una dichiarazione anche lui nella loggia alla Vetrata , dopo il discorso d’investitura pronunciato dal premier incaricato Giuseppe Conte . In realtà è più probabile, secondo fonti ufficiose del Quirinale che il capo dello Stato potrebbe concedersi una dichiarazione pubblica agli italiani  per spiegare quanto è successo,  martedì o mercoledì, cioè quando si prevede che Conte sciolga la riserva, se riuscirà a mettere d”accordo i turbolenti esponenti politici della nuova maggioranza,  consegnandoli la lista dei ministri.

Parlare prima di questo passaggio avrebbe potuto alimentare l’equivoco , e c’era già qualcuno pronto a strumentalizzare le sue parole, sostenendo che il governo che si cerca di mettere in piedi,  sarebbe un governo del presidente, mentre si tratta di un governo politico. Del quale “l’Elevato” (cioè Conte) come l’ha raffigurato Beppe Grillo, ha piena responsabilità, e questa volta senza doverla condividere con due vicepremier rissosi, assumendo le vesti di un notaio che si limitava a fare il garante di un contratto (altra anomalia della politica italiana) stipulato da altri.

Ora tocca te, cammina sulle tue gambe cerca di costruire un progetto alto e convincente… non sarà facile, ma puoi farcela, È questa la chiave di lettura necessaria per interpretare l’incitamento dopo un’ora di colloquio fatto dal presidente  Mattarella al premier dimissionario-incaricato Conte, Un saluto antiemotivo e  laconico e, com’è ormai consolidato nello stile presidenziale.

Incitamento e parole questa che il premier ha interpretato con orgoglio, con un manifesto programmatico di Governo molto apprezzato dal capo dello Stato, che l’ha seguito e condiviso in diretta tv nel suo studio al Quirinale. A partire dall’autodefinizione finita nei titoli di tutti i siti, in cui mutuava un concetto caro al Quirinale: “Il mio non sarà un governo contro, ma un governo per“», ricordando che questo “è il momento del coraggio“, sopratutto il suo, seguendo quindi sino in fondo il senso dell’augurio del presidente Mattarella . Nel discorso di Conte rincorrevano parecchi altri concetti del capo dello Stato, come che fossero stati dei di suggerimenti dall’alto:  l’atlantismo da confermare, il rapporto con l’Europa da riannodare  e l’emergenza sui conti pubblici. Così come anche il passaggio su alcuni temi divisivi come l’ immigrazione, le grandi opere e le autonomie differenziate, sembrava provenire dai consigli di prudenza di chi ha lunga esperienza.

Riferimenti e omissis di un programma di Governo che il premier incaricato Conte ha già cominciato ad approfondire con il Movimento 5 Stelle ed il  Partito Democratico, “con la consapevolezza  delle difficoltà ma determinato“, come l’hanno descritto sul Colle. I veti contrapposti, le pretese e richieste e le compensazioni fra i du partiti emergeranno dalla composizione finale della compagine ministeriale, sulla quale vi sarà una ferrea sorveglianza da parte di Mattarella, al quale spetta  la decisione finale secondo i poteri conferitigli dalla Costituzione  . In questo momento delicato i ministeri di peso e quindi “critici”, sui quali Mattarella è pronto e disponibile ad offrire pareri anche preventivi, sono  la Difesa, l’Economia, gli Esteri,  e l’Interno.

L’ “avvocato del popolo” Conte dovrà invece risolvere da solo il problema del vicepremier, sul quale circola una doppia versione (cioè com’era nel governo Lega-M5S ), un solo vice o addirittura senza vicepremier. In questo caso, una certa responsabilità è nelle mani  capo politico grillino Luigi Di Maio, sopratutto per la gestione delle possibile conseguenza del referendum sulla piattaforma Rousseau (che a sua volta dipende molto da come verranno posti i quesiti alla base grillina) , tutto è appeso alle smanie del  e alle capacità negoziali del premier incaricato.

Quindi come emerge chiaramente la scommessa di Conte è piena di ostacoli ed incognite. Senza escludere un rischio davvero pericoloso, e cioè  che alla prova del voto di fiducia in Aula , che il Quirinale ha ipotizzato per per venerdì prossimo, ed il giorno precedente il giuramento dei ministri,  ci sia chi possa conquistare o condizionare il voto contrario di qualche dissidente. Che non sono pochi.  In una pazza crisi nella quale Matteo Salvini lancia minacce con un “non vi libererete di me”, convocando una manifestazione di piazza a Roma, allora come sempre in politica tutto è possibile.

Come in tutti i casi misteriosi, è dal finale che si capisce realmente la trama. In questo caso, il finale è rappresentato dal crescendo di “endorsement”, cioè dichiarazioni pubbliche di favore, che hanno sostenuto Conte nella sua risalita al Quirinale. Quelle di Donald Trump  aggiuntesi a quelle più scontate europee di Angela Merkel e di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, hanno ampiamente contribuito a scrivere il finale glorioso del nuovo premier descritto come “uomo circondato dal rispetto internazionale”. Ma quanto valgono realmente queste lodi?

Un tweet che loda con un errore di spelling un “Giuseppi Conte”, la dice lunga sul grado di conoscenza fra i due leader, in realtà non è granché come riconoscimento. E’ uno strumento per altro su cui Trump si sfoga personalmente e spesso casualmente, contraddicendosi come capita, anche su temi serissimi, come la Corea del Nord e la guerra dei dazi con la Cina. Le lodi andrebbero in realtà alla bravura del nostro ambasciatore Varricchio a Washington e al diplomatico Eisenberg, che rappresenta gli Usa a Roma. Ma è un nostro sospetto. L’Italia e Conte vengono citate insieme a Germania e Commissione Ue. Ed anche in questo caso vanno fatti complimenti ai comunicatori di Palazzo Chigi, e  bisogna riconoscere merito al sempre bistrattato Rocco Casalino, che allo stato dei fatti è l’unico autore del Conte bis. Come si vede quello di Trump  si tratta di un vero e proprio make-up per il premier in pectore.

La “piccola” Italietta in politica ha sempre cercato e sfruttato il “riconoscimento” dei leader stranieri. Un riflesso condizionato, senso mai curato di nostra inferiorità nell’Occidente del dopoguerra, che ci accompagna dai comunisti dei tempi d’oro, che nonostante il riconoscimento di Berlinguer dell’ “ombrello Nato” in una intervista rilasciata nel 1976  a Giampaolo Pansa, dovette sudarsi il rapporto con Washington, passando per Andreotti, Craxi. Passione per i riconoscimenti condivisa da due super nemici – Enrico Letta e Matteo Renzi – che non hanno mai smesso di lavorare a questo consenso.

Il consenso internazionale oggi intorno a Conte non è quindi esattamente un abbraccio che ci impressiona. Emerge in tutte queste lodi, la prova di un disegno politico, che parte dall’Europa. Nella nuova Europa post elezioni, Merkel e von der Leyen, eletta presidente grazie  ai voti di M5s e Pd, guidano un diverso approccio, una operazione a trazione tedesca, costruita a tavolino, per arginare il fronte sovranista tanto caro a Salvini ; una strategia internazionale mirata a favorire l’affermazione in Italia di un Governo moderato, e a maggiore ispirazione sociale.

Conte, col suo carisma di provincia, e la sua estrema adattabilità politica e psicologica, la sua mancanza di ideologia  tutte attitudini queste che lo hanno portato a navigare da “garante” della Lega a simpatizzante della sinistra dell’ultima ora.  Il suo discorso in Senato contro Salvini è il perfetto strumento per il nuovo passaggio politico che l’Europa e le classi dirigenti euronazionali vogliono per l’Italia.  La sua gloriosa salita al Quirinale di ieri mattina dell’ormai ex “Avvocato del popolo” , ed il favore dello spread che l’ ha accompagnata, è solo la conclusione, il sigillo di questo percorso.

Chi  ha sperato e  fin qui tifato per il voto invece che per l’accordo, è ancora sempre di più convinto che le urne sarebbero state un passaggio migliore per creare una svolta in Italia. I partiti avrebbero potuto contare le loro reali forze, e avrebbero soprattutto condiviso con i cittadini italiani il peso di una trasformazione di fase così incerta. E avremmo avuto un premier “vero”, invece di un Avvocato arrivato al bis senza mai essere stato votato dagli italiani.

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