di Giuliano Cazzolla*
A noi ragazzi della scuola media quella storia veniva raccontata così: il valoroso Francesco Ferrucci giaceva a terra agonizzante per le ferite ricevute in combattimento. A lui si accostava Maramaldo che lo finiva a coltellate. Ma l’eroe, prima di spirare, infamava il suo assassino con parole destinate a sopravvivergli per secoli: “Vile, tu uccidi un uomo morto”.
Ignoro quali pensieri abbiamo attraversato la mente dei lavoratori dell’ex ILVA (ora anche ex Arcelor Mittal) quando hanno saputo che il Tribunale di Taranto aveva respinto la richiesta di proroga, avanzata (sic!) dalla procura, della chiusura dell’altoforno n.2 (che una precedente ordinanza aveva fissato per il 13 dicembre se nel frattempo non fosse stato automatizzato). “Il termine richiesto – ha stabilito il giudice – risulta troppo ampio, in palese contrasto con tutte le indicazioni giurisprudenziali e normative, e dunque tale da comprimere eccessivamente l’interesse alla salvaguardia dell’integrità psico-fisica dei lavoratori”.
L’ordinanza si è abbattuta come un violento starnuto su di un precario castello di carte, proprio nel momento in cui è in corso il tentativo di cercare una soluzione – sempre più difficile – per mantenere in vita lo stabilimento. La società franco-indiana aveva motivato la sua intenzione di ritirarsi dall’operazione-acciaio ritenendo impossibile realizzare gli obiettivi produttivi e di risanamento ambientale a cui era impegnata, se costretta a chiudere l’altoforno come imposto dalla magistratura tarantina. La vertenza era poi finita nella morsa di un paradosso giudiziario, dopo l’intervento della Procura di Milano, la “madre” di tutte le procure d’Italia.
Alla società era stato ordinato di spegnere e contemporaneamente di lasciare in funzione l’altoforno più importante dello stabilimento. In sostanza, con la minaccia di rispondere penalmente (ecco dove sta la necessità di un usbergo contro l’accanimento giudiziario) sia della continuità del funzionamento che della chiusura degli impianti. Questa contraddizione era apparsa talmente evidente a tutti che si era riaperto un negoziato avente per oggetto le dure condizioni dettate da Arcelor Mittal per rimanere.
A prescindere da come si pronuncerà il Tribunale del Riesame non si può negare la persistenza di un clima di ostilità da parte della magistratura ionica nei confronti di quello stabilimento. L’ex ILVA vive da sette anni sotto assedio, senza una guida e priva di una visione per il futuro. Sostanzialmente in apnea, in una condizione cioè in cui è quasi impossibile gestire un’unità produttiva. Ma il caso dello stabilimento tarantino pone problemi più seri e inquietanti che riguardano la tenuta dello Stato di diritto.
A questo proposito è interessante leggere il saggio “Il diritto penale totale: punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi” (Il Mulino) un lepidus libellus di Filippo Sgubbi, già professore di Diritto penale in importanti Atenei italiani. Sgubbi non si limita a sottolineare il predominio assunto dalla magistratura sulle altre funzioni dello Stato, ma denuncia una vera e propria trasformazione sia del giudizio che dello stesso diritto penale, coinvolto in un’inquietante prospettiva in cui la giurisprudenza non diventa, soltanto e impropriamente, fonte del diritto, ma persino creatrice della norma, al posto e in sostituzione del potere legislativo.
“L’apparato penale costruito per definire l’area dell’illecito e per legittimare l’applicazione delle sanzioni – spiega Sgubba – diventa il supporto per l’adozione di scelte decisionali di governo economico-sociali”. La “distorsione istituzionale” viene così spiegata: “la decisione giurisprudenziale diventa – secondo l’autore – una decisione non soltanto di natura legislativa, quale regola di comportamento, ma anche di governo economico-sociale imperniato sull’opportunità contingente”.
Ma la critica (“le norme penali così assumono un ruolo inedito. Sono fattori non di punizione, ma di governo”) non si ferma qui. “Il sequestro di aree, di immobili, di un’azienda o di un suo ramo, il sequestro di un impianto industriale e simili incide direttamente sui diritti dei terzi. Con tali provvedimenti cautelari reali – prosegue Sgubba – la magistratura entra con frequenza nel merito delle scelte e delle attività imprenditoriali, censurandone la correttezza sulla base di parametri ampiamente discrezionali della pubblica amministrazione e talvolta del tutto arbitrari”.
Filippo Sgubbi non cita degli esempi concreti. Ma le sue considerazioni, ad avviso di chi scrive, non si discostano dal profilo del caso ex ILVA.