ROMA – Cara Italia, Godt Nytt År! In norvegese significa Buon Natale! Sì, lo so, la lingua è piuttosto ostica. E infatti ciò che mi manca più dell’Italia è proprio l’italiano, la vocalità, i colori della nostra bella parlata. Ma vi assicuro che ci sono problemi ben peggiori: avete idea del freddo che fa quassù?
Vivo a Oslo e sono una ricercatrice al Centro di Eccellenza PluriCourts, dove mi occupo di diritto internazionale in materia ambientale e cambiamenti climatici. Cerco nuove forme di cooperazione per fronteggiare l’urgente danno umano e ambientale provocato dal cambiamento climatico. Probabilmente ho scelto questa strada perché ho trascorso gran parte della mia vita a Taranto, all’ombra dell’Ilva, e so bene cosa significhi scegliere tra lavoro e salute. Come la penso?
L’ambiente va protetto non solo come valore in sé, ma anche per l’importanza che svolge nel processo di formazione della identità personale. Per esperienza personale, posso affermare che al degrado ambientale segue necessariamente un degrado sociale e morale. Sono proprio le mie origini ad avermi dato la tenacia di continuare questo percorso lavorativo, che mi ha spinta lontana da casa. La speranza di tornare c’è sempre.
Nei miei sogni c’è il progetto di potermi occupare di politiche ambientali e climatiche per rendere il nostro Paese sempre più verde e pulito e mostrare al mondo che siamo in gamba. Nel mio piccolo e stando a centinaia di chilometri di distanza, sono diventata responsabile di un progetto per i giovani italiani in Norvegia, che è appena partito.
È il nodo di una più vasta rete mondiale che intende mettere in connessione le competenze degli italiani nel mondo. Il mio sogno, poi, sarebbe portare la mia esperienza accademica in Italia, anche solo come visiting lecturer, cioè frequentare le università italiane per raccontare agli studenti quello che sto sviluppando qui in Norvegia, lavorare con loro potrebbe aiutarli a comprendere il mondo della politica internazionale. Realisticamente, però, resto a Oslo, perché ci sono evidenti difficoltà di svolgere dignitosamente attività di ricerca accademica in Italia.
Sono partita nel 2013 e ho viaggiato parecchio, fra la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti. E nonostante siano passati molti anni, essere così lontana da casa mi costa moltissima sofferenza, perché spesso si dimentica che noi giovani all’estero siamo costretti ad allontanarci dai nostri genitori proprio quando loro avvertono maggiormente la solitudine e si palesano i primi acciacchi.
Cerco di affrontare tutto questo con fiducia nel futuro, perché chi è ottimista contribuisce positivamente all’ambiente circostante.