Matteo Renzi l’altro giorno ha detto che «i politici sono come lo yogurt, a un certo punto scadono: per me è iniziato il conto alla rovescia». È una teoria che sostiene da sempre: il rottamatore si auto-rottamerà, ha garantito varie volte. Più poi che prima, però. Ha un sacco di cose da fare, se non vuole che proprio quella sia l’unica promessa che onorerà, o che gli italiani gli faranno onorare suo malgrado alle prossime elezioni. Per ora, sul calcio della pistola ha pochissime tacche: gli 80 euro, che finora non hanno funzionato, e una serie di riforme soltanto avviate, con l’aggravante che quelle concrete e urgenti (sull’economia) sono in coda, mentre quelle meno impellenti (sul Senato e la legge elettorale) sembrano questioni di vita o di morte. Mah. Non faccio che leggere commenti catastrofisti o sentire gente che dice: e allora, visto che Renzi è un bluff? Ci voleva tanto per capirlo? Tutto chiacchiere e distintivo, frasi a effetto, battutine, inciuci con Berlusconi e impegni non mantenuti. Che figura ci fa fare in Europa! Bacchettati pure da Mario Draghi, e per fortuna che il capo della Bce è italiano!
E il Pil, vogliamo parlare del Pil? (Improvvisamente sono diventati tutti esperti di Pil, ma non come lo intende Cetto Laqualunque). Signora mia, dia retta a me: questo premier è un di-sa-stro! E lei, caro direttore, mi scrivono, che cosa aspetta ad aggredirlo come un cane rabbioso? Be’, io voglio aspettare ancora un po’. La penso esattamente come Maria De Filippi, che non è una politica né una politologa, non è un’editorialista né un’economista, ma una persona che fiuta il sentire popolare come nessuno, una donna pratica che fa ricorso a una dote ormai passata di moda: il buon senso. Dice la De Filippi: «Diamogli tempo, non sopporto questa mania tutta italiana di demolire il lavoro altrui a prescindere». Non la sopporto neppure io, questa mania.
Prendete il caso della ridicola campagna contro «la deriva autoritaria» lanciata dal Fatto Quotidiano. Ora, io capisco le ragioni editoriali degli amici e colleghi del Fatto: non si può fare un giornale di battaglia senza cercarsi un nemico, e visto che quello precedente è in totale disarmo, eccone pronto uno nuovo da attaccare un giorno sì e l’altro pure. Capisco meno, però, le menti teoricamente libere e illuminate che a questa campagna si sono accodate. Ma perché? Ma dove? Quale deriva autoritaria? Da quando cercare di decidere è diventato peccato? È forse meglio la palude dei veti e controveti, delle minoranze che ricattano, dei compromessi infiniti e dei rinvii alle calende greche? E poi, avete presenti i Paesi in cui la deriva autoritaria c’è davvero, tipo la Turchia?
Sempre sul Fatto Quotidiano, domenica scorsa, ho però trovato una bella e struggente intervista di Carlo Tecce a Roberto Calderoli. Il leghista con i bermuda verdi, l’autore della legge elettorale da lui stesso definita «una porcata», il titolare di fragorose provocazioni sui gay e su Cécile Kyenge paragonata a un orango… Bene, Calderoli parla a cuore aperto e annuncia: «Sono stanco, tra un po’ smetto e apro un ristorante». Gli è morta la mamma da poco, ha subito sei interventi chirurgici ed è stato due volte in rianimazione: «Sono stordito, devastato. Ho capito quanto vale la vita e quanto tempo sprechiamo». E fa pesantemente autocritica su se stesso e non solo.
Ascoltiamolo: «Ho detto e fatto tante cose sbagliate. Era anche un modo per finire sui giornali e in televisione. Le ultime campagne elettorali sono state vergognose, e ci metto dentro tutti i partiti, inclusa la Lega. Ci sta per travolgere un ciclone, e noi ci siamo comportati come tanti comandanti Schettino». È un (auto)ritratto impietoso della classe politica italiana. Finalmente, onore a lui, uno dei protagonisti dello sfacelo del Paese ammette le proprie responsabilità. Calderoli era ministro della Semplificazione quando diede fuoco a «375 mila leggi e regolamenti abrogati». Una sceneggiata. Proprio mentre il governo e i governi continuavano a complicare la vita dei cittadini e delle imprese. «Era un modo per finire sui giornali».
Capito come funzionava? Io spero e prego che non funzioni più così. Mi auguro che Renzi e i suoi, prima di autorottamarsi, finiscano sui giornali per le cose fatte e non per quelle annunciate o per l’abilità nello spararle grosse allo scopo di regalare un titolo ai giornalisti. Ci vuole più civiltà, più senso di responsabilità, più moderazione nel linguaggio. Più buon senso. Intanto, confido che il Calderoli ridiventato “umano”, almeno lui, almeno qualcuno che cominci, dia seguito a ciò che ha proclamato, e si ritiri. Apra il ristorante. Una cosa è sicura: lui è scaduto. Come lo yogurt.
di Umberto Brindani, direttore del settimanale OGGI