ROMA – Il monologo sanremese di Rula Jebreal, la 47enne giornalista e scrittrice, nata ad Haifa, in Israele, figlia dell’Imam della moschea di Al-Aqsa, la più grande di Gerusalemme, che ha scritto a 4 mani con Selvaggia Lucarelli ha portato sul palco del Festival della Musica al Teatro Ariston di Sanremo il tema della violenza sulle donne. “Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e le donne, ma sono qui per parlare delle cose di cui è necessario parlare. Certo ho messo un bel vestito. Domani chiedetevi pure al bar “Com’era vestita Rula?“. Che non si chieda mai più, però, a una donna che è stata stuprata: “Com’era vestita, lei, quella notte?”. Parole toccanti che recita con le lacrime agli occhi.
La sua storia in l’Italia comincia con la borsa di studio che le permette di completare l’Università a Bologna nei primi anni Novanta, per poi cominciare a collaborare con varie testate giornalistiche televisive del nostro Paese, prima a La7, poi con Michele Santoro su Rai 2 ad Annozero.
Sono stati in molti a non perdonarle le sue alte frequentazioni: già compagna per un breve periodo del fondatore dei Pink Floyd (dichiaratamente pro Palestina) Roger Waters, poi del regista e gallerista Julian Schnabel che ha diretto il film “Miral” prodotto da Harvey Weinstein – proprio lui – tratto dal libro della Jebreal (accolto da un vespaio di polemiche in Israele che le ha chiesto invano di rinunciare alla cittadinanza), quindi moglie poi divorziata di Arthur Altschul, figlio di un manager partner di Goldman Sachs. Quindi non siamo parlando di una povera migrante sbarcata da qualche gommone sulle coste italiane.
“Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste, madonne e puttane, lasciateci fare quello che vogliamo del nostro corpo e ribellatevi insieme a noi, quando qualcuno ci dice cosa dobbiamo farne” ha detto la Jebreal dimenticando però di parlare dei bambini vittime di violenza domestica causati da madri disgraziate.
Va riconosciuto che il passaggio del monologo della Jebreal in cui porta la propria esperienza di orfana, il racconto della violenza subita dalla madre, morta suicida in seguito al trauma dello stupro è toccante: “Mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare. Le ferite sanguinano di più quando non si è creduti”.
Le statistiche dei femminicidi in Italia sono impressionanti: “Ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise la scorsa settimana. E nell’85% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa”.
Bisogna denunciare, vincere la paura, fare il famoso “passo avanti” su cui si è tanto parlato senza aver timore di essere testimoni di sopraffazione. Cioè quello che non fece Rula Jebreal con il noto produttore Harvey Weinstein, l’”orco” del #metoo, il molestatore seriale della attrici di Hollywood molte delle quali, da quelle molestie, hanno ricevuto grande profitto economico e delle carriere sfolgoranti, tacendo finché fece loro comodo. A posteriori, a scandalo scoppiato, abbiamo scoperto che tutti sapevano, ma tutte tacevano, perché Weinstein aveva lanciato parecchie persone “signorine” nell’orbita del successo hollywoodiano dai cachet stellari .
Harvey Weinstein, anni fa , produsse un film “La strada dei fiori di Miral” tratto dal libro “Miral”, scritto proprio da Rula Jebreal. La stessa giornalista aveva raccontato di aver frequentato per un certo periodo l’ambiente del produttore, e di aver notato le sue inclinazioni violente contro il gentil sesso: «(…)una volta l’ho visto maltrattare una sua assistente, le urlava addosso e lei è scappata via piangendo. Gli ho detto: sei molto fortunato, io ti avrei malmenato, tu saresti finito all’ospedale e io in carcere. Ho provato un disprezzo totale. Donne come me, che hanno avuto in famiglia dei casi di abuso…”.
Solo che Rula, quel “passo avanti” contro Weinstein non lo fece mai. Non denunciò, non portò allo scoperto il comportamento del produttore che le aveva acquistato i diritti del libro, semplicemente fece come hanno fatto tutti e tutte: preferì tacere, salvo poi puntare il dito a scandalo #metoo esploso.
Tutto questo però non si è sentito dalla voce della giornalista sul palco di Sanremo. Chissà se la Jebreal l’aveva raccontato alla Lucarelli , alla RAI prima di stendere il testo del suo monologo? Come mai questo silenzio assordante ? Forse perchè “Pecunia non olet“…