Nella sentenza n. 839 del 20 gennaio 2015, intervenuta sul delicato tema del bilanciamento fra libertà di espressione e attitudine diffamatoria dell’attività giornalistica, i giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno sostanzialmente ribadito l’orientamento già consolidato (vedi sentenza nn. 2257/2006, 17180/2007, 4325/2010), secondo cui il diritto di critica politica legittima di fatto l’esercizio dell’attività di cronaca giornalistica, a meno che detta critica non sconfini “in attacchi e aggressioni personali dirette a colpire sul piano individuale la figura morale del soggetto”.
Il casus belli che ha condotto a tale pronunciamento è stata la richiesta di risarcimento danni presentata da Mediaset nei confronti dell’editore di un inserto di politica allegato settimanalmente ad un noto quotidiano nazionale. Secondo la parte attrice, infatti, tale pubblicazione, che narrava in tono suggestivo e sospettoso alcune delle operazioni societarie poste in essere dalla azienda durante gli anni ‘90, manipolava e deformava la natura degli accadimenti storici, finendo per mescolare “i piani dell’ironia e della critica” con quelli della vera e propria delazione. Vistasi rigettare la richiesta dai giudici territoriali, Mediaset ha deciso così di ricorrere alla Suprema Corte di Cassazione, presso la quale tuttavia ancora una volta non ha trovato accoglimento delle proprie istanze. I giudici, infatti, pur sottolineando che il diritto di critica debba comunque attenersi al dovere di esporre i fatti nella maniera più precisa e accurata possibile, stabiliscono che la libera espressione da parte del giornalista del proprio punto di vista relativamente a fatti e circostanze non può subire compressioni, a meno che non si trasformi in un aperto attacco individuale e personale.