di MARCO GINANNESCHI
Il gioco di parole, derivante da questi giorni di “festa vigilata”, offre spunto per riflessioni, spesso solo individuali e anonime (come nella memorabile satira politica del personaggio storico di Pasquino), sulla condizione di frustrazione che stiamo vivendo per la limitazione delle più elementari libertà personali per l’emergenza Coronavirus. Cosa ci aspetterà dopo? Quale sarà la fase 2?
A livello economico cosa succederà?
I problemi risultano direttamente proporzionali all’angoscia percepita, tanto più si manifesta l’incapacità della politica di prendere posizione su scelte di indirizzo economico a livello europeo che saranno determinanti per il futuro del nostro Paese. In passato i dibattiti che precedentemente consideravano riservati ad una élite di economisti, prevalentemente “radical chic”, risulta oggi un diffuso dibattito dove abbiamo soltanto proclami e risposte confuse tra maggioranza e opposizione dove lo scontro esiste solo su arroccamenti di posizione nelle parole “MES” ed “Eurobond”.
Questo è il vero terreno di scontro? Solo la scelta della tipologia di debito da contrarre è determinante? Probabilmente occorre fare un po’ di ordine, facendo un paragone molto elementare ma efficace: se considerassimo come unità di misura l’economia domestica, alla quale possiamo fare sempre un riferimento immediato, è come se scegliessimo la forma di indebitamento più conveniente (prestito della zia, finanziamento della banca, ricorso a mutui) per la sopravvivenza, nella consapevolezza che comunque abbiamo tempo per cercare un lavoro che ci consenta prima o poi di ripagare i nostri debiti, nella speranza che potranno farlo un domani i nostri figli, che sappiamo essere poco probabile, perché non abbiamo “investito” su una istruzione adeguata, avendo preferito guadagnare la loro stima (consenso elettorale) con piccoli regali, come lo smartphone o lo scooter (paragonabili al reddito di cittadinanza o agli 80 euro in busta paga).
In realtà quindi l’Italia, in questo momento di emergenza, sta perdendo la visione strategica di posizionamento che deve riguardare gli investimenti in infrastrutture tecnologiche, dalla comunicazione alla logistica, per una ripartenza convincente che possa dare credibilità, sia per gli effetti sull’economia reale creando nuova occupazione con lo svecchiamento di servizi e sistemi produttivi obsoleti, sia per gli effetti sui mercati finanziari che cercano appigli dopo uno tsunami di speculazioni effettuate dalle economie forti di livello internazionale.
Sarebbe troppo semplicistico affidare tutte le colpe al rigore della Germania o all’intransigenza dell’Olanda, accusate di non voler allentare i cordoni della borsa per concedere credito all’Italia che sta continuando negli anni ad avere una forte instabilità politica, che crea incertezze sui meccanismi di restituzione del prestito, senza creare ipotesi di investimenti convincenti.
Prima di pretendere di indirizzare politiche europee efficaci a tutela dei nostri interessi, sarebbe opportuno adottare delle linee economiche strategiche che ci permettano di tornare a giocare un ruolo da protagonisti tra i grandi paesi industrializzati nel mondo, dove non esiste solo l’egoncentrismo dell’Unione Europea.
Altrettanto ridicolo paragonare finanziariamente “il piano Marshal Europeo” con gli aiuti ricevuti dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, quando esisteva un preciso piano di ricostruzione pur nella non indiretta consapevolezza di pagare un prezzo di “appartenenza” alle future logiche di alleanze sovranazionali.