di Francesca Lauri
Il ragazzo Pietro Genovese, figlio del noto regista, la notte del 22 dicembre scorso stava utilizzando lo smartphone quando alla guida del suo Suv investì in corso Francia le due ragazze 16enni buttandole all’aria con un impatto mortale . Era mezzanotte e 27 minuti precise, l’ora esatta in cui le due ragazze sono state travolte e sbalzate per oltre 30 metri su corso Francia, mentre Genovese non solo aveva bevuto oltre i limiti e probabilmente assunto della droga, ma stava anche utilizzando WhatsApp, l’applicazione di messaggistica istantanea, con la quale Ha selezionato quattro immagini e un video e li aveva inviati a uno o più destinatari. Un’ azione questa mentre era alla guida, che si è protratta per diversi secondi.
Ad accertarlo e confermarlo sono i stati i tecnici della Polizia Postale di Roma, con la propria informativa all’ Autorità Giudiziaria che ha ricostruito per filo e per segno l’attività del cellulare nei minuti a ridosso del momento in cui è avvenuto l’incidente, allegandola agli atti del fascicolo d’indagine, . La Procura di Roma conseguentemente ha contestato anche l’articolo 173 del codice della strada, ovvero il divieto di usare il telefono durante la marcia, nei confronti di Pietro Genovese, per il quale è stata fatta richiesta di giudizio immediato .
Secondo a quanto è stato ricostruito dalla Polizia Postale, Genovese stava usando lo smartphone proprio nel momento preciso quando ha investito Camilla e Gaia. Inizialmente a mezzanotte, 27 minuti e 30 secondi aveva selezionato le quattro fotografie e il video, che poi ha inviato attraverso WhatsApp, a mezzanotte, 27 minuti e 49 secondi. Un’operazione, orologio e timer alla mano, durata in totale 19 secondi.
A questo punto la posizione del 21enne, figlio del regista Paolo Genovese, si aggrava ulteriormente, dunque. L’accusa mossa dal pm Roberto Felici è di duplice omicidio stradale aggravato. Pietro Genovese viaggiava oltre il limite dei 50 chilometri orari (la consulenza scrive 90 km/h ), ed aveva un tasso alcolemico nel sangue di 1,4 grammi per litro , quando il limite di legge per tutti è di 0,5 e deve essere pari a 0 per i neopatentati come era appunto Genovese, ed ancora peggio guidava utilizzando in mano il proprio smartphone.
Tra le contestazioni aggiuntive intentate dalla Procura c’è anche un aggravante e cioè quella di non essersi fermato subito . Il suv Renault Koleos guidato da Pietro Genovese dopo l’impatto con le due giovani ragazze ha proseguito la sua marcia per 180 metri dopo l’investimento e si è bloccata sulla rampa della Tangenziale ( in direzione Salaria), perché non più marciante. Soltanto a quel punto il giovane è ritornato indietro sul punto dell’incidente, insieme ai due amici che erano nell’auto, avvisando telefonicamente il padre dell’incidente causato. Dopodichè ha atteso l’arrivo della Polizia Municipale di Roma Capitale, per sottoporsi agli esami di rito. Motivo, questo, per cui gli viene contestata solo una violazione specifica del codice della strada e non l’omissione di soccorso .
Il consulente incaricato dal pm, l’ ingegnere Mario Scipione, ha appurato in merito alla dinamica del tragico incidente stradale, che il semaforo nei pressi del quale le due 16enni Gaia e Camilla stavano attraversando Corso Francia era funzionante. Così Genovese è passato con la luce verde e che il punto in cui le Camilla e Gaia sono state prese dista dalle strisce pedonali 18 e 14 metri ( a seconda che lo si calcoli dall’inizio o dalla fine delle zebre).
I collegi difensivi di Genovese e quelle di Camilla e Gaia ( l’avvocato Cesare Piraino per i Romagnoli e gli avvocati Franco Moretti e Giulia Bongiorno per i Von Freymann) hanno incaricato a loro volta dei consulenti per ricostruire la dinamica. Una cosa è certa: il processo sarà una vera e propria battaglia legale