Confartigianato Trasporti e le altre associazioni dell’autotrasporto si sono rivolti al premier Giuseppe Conte, al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli e alla ministra dei Trasporti Paola De Micheli inviando loro una lettera, a firma dei presidenti nazionali, denunciando ancora una volta “un forte ritardo nei pagamenti che può compromettere la sopravvivenza di molte imprese” mettendo in seria difficoltà economico-finanziaria dell’indotto di ArcelorMittal a Taranto.
“Il trasporto ed in particolare l’autotrasporto rappresentano un fattore imprendiscibile per garantire la continuità operativa della acciaierie gestite da Arcelor Mittal Italia, – recita la nota di Confartigiano Trasporti – indispensabili per approvvigionare il ciclo produttivo delle necessarie materie prime e per garantire l’ìmmissione sul mercato dei prodotti finiti e semilavorati”.
“La fornitura dei servizi di trasporto è sempre stata garantita dalle nostre imprese pur dovendo sopportare oneri economici non dovuti che però oggi in piena crisi, sono divenuti insopportabili”
Le associazione di categoria denunciano nuovamente “reiterate criticità che la categoria sta affrontando nell’operare con la multinazionale” che gestisce lo stabilimento siderurgico ex- Ilva di Taranto, chiedendo l’apertura di un tavolo di confronto tra Governo, azienda e associazioni. Gli autotrasportatori registrano ora “una revisione delle condizioni contrattuali peggiorative che di fatto erode la già bassissima remunerazione delle nostre imprese e che comporta una assegnazione dei servizi oggettivamente fuori mercato, dobbiamo subire un forte ritardo nei pagamenti. Appare evidente come in questo modo la liquidità necessaria alle aziende venga a mancare. La preoccupazione, poi , che i ritardi nei pagamenti si trasformino in mancati pagamenti e grandissima. Si profila all’orizzonte un incubo che i trasportatori hanno già vissuto con ILVA e la successiva gestione commissariale: fornire servizi caricandosi dei relativi costi e vedersi riconoscere, se va bene, solo minima parte di quanto a loro dovuto”.
Viene rivolto un appello “al Governo affinché si faccia portavoce nei confronti di ArcelorMittal delle esigenze sopra richiamate non potendo escludere, in caso contrario, che le imprese assumano iniziative di protesta che possano portare alla sospensione dei servizi offerti. Ed ancora, abbiamo l’impellente necessità di ricreare un quadro di certezze minimo anche, come detto, per il futuro, con particolare riferimento ai crediti fino ad oggi accumulati dalle imprese che erogano servizi di trasporto“.
ArcelorMittal, nel frattempo continua a fare affari gravando sulle tasche dei contribuenti. Attualmente infatti è in corso la cassa integrazione partita peraltro soltanto dal 3 luglio scorso) con la causale del calo di lavoro post Covid a Taranto per un numero massimo di 8150 dipendenti, annunciando una successiva nuova fase di cassa integrazione ordinaria dal 3 agosto prossimo per “un periodo presumibile di 13 settimane”, per 8152 dipendenti tra quadri, impiegati e operai.
Il gruppo franco indiano guidato in Italia da Lucia Morselli, in una lettera inviata ai sindacati ha giustificato la propria richiesta di cassa integrazione “a causa dell’emergenza epidemiologica Covid 19 ancora in atto in tutto il territorio nazionale ed internazionale, i cui effetti continuano ad avere riflessi in termini di calo di commesse e ritiro di ordini prodotti”, sostenendo che l’azienda “si trova nelle condizioni di dover procedere ad una riduzione della propria attività produttiva”.
Nella lettera ArcelorMittal parla di “parziale blocco delle attività produttive, manifatturiere distributive e commerciali che hanno reso difficilissimo, per altro, anche la chiusura degli ordini e delle fatturazioni visto il drastico calo registrato in questi mesi dei volumi e di conseguenza delle attività produttive”.