di MARCO GINANNESCHI
Proviamo a credere che non sia stato necessario il coronavirus per far aggiustare il tiro sulle politiche di incentivazione per lo sviluppo di innovazione in azienda, visto che dal primo gennaio 2020 il credito di imposta per le attività di Ricerca e Sviluppo è drasticamente sceso al 12% rispetto al 50% previsto fino alla fine dello scorso anno.
Nonostante le forti proteste dei consorzi di ricerca, delle università e di tutte le altre imprese che hanno preventivato e stanziato importanti risorse in Ricerca e Sviluppo con piani pluriennali, dal mese di gennaio si trovano improvvisamente ad avere un decremento del 38% nel piano finanziario per una fondamentale agevolazione economica drasticamente ridotta.
Se l’Italia punta effettivamente a rimanere tra i grandi paesi industrializzati, occorrono manovre di sviluppo per il sostegno alla modernizzazione dei servizi, a telecomunicazioni efficienti, ad infrastrutture adeguate con l’immediata necessità di mettere a terra nuove soluzioni ad un irreversibile processo di cambiamento che il COVID19 ha soltanto evidenziato in tutta la sua urgenza.
Basta vedere le conferenze stampa del premier Conte, quando i collegamenti con i giornalisti esterni sono di pessima qualità, per avere l’immediata percezione che non abbiamo una “banda larga” efficiente (nonostante siano stati annunciati interventi già da diversi anni), probabilmente perché la privatizzazione delle telecomunicazioni non è stata concepita allo stesso modo delle infrastrutture energetiche, dove la società pubblica Terna detiene saldamente in mano la rete, nonostante le continue richieste di potenziamento.
La centralità del ruolo della ricerca e dell’istruzione, spesso sottovalutata nel nostro Paese relegato all’ultimo posto nell’UE per lo stanziamento dei fondi di bilancio, è essenziale per lo sviluppo di nuove tecnologie e il rilancio del mercato del lavoro.La corsa ai ripari è solo parzialmente avvenuta con l’art. 244 del DL Rilancio che prevede, solo per le regioni del Sud, il credito di imposta al 45% per le piccole imprese, al 35% per le medie imprese (con almeno 50 dipendenti e fatturato oltre i 10 milioni di euro) e al 25% per le grandi imprese (con almeno 250 dipendenti e fatturato oltre i 50 milioni di euro).
Rimangono quindi ancora molte incertezze per le aziende italiane che hanno una eccellente qualità nella tecnologie, ma che troppo spesso sono costrette a ricorrere a fondi di investimento esteri che stanno investendo sulle nostre buone idee a partite dalle start-up. Il coraggio di una nuova politica economica che abbia prospettive di medio-lungo termine potrebbe rappresentare la vera occasione per valorizzare il talento degli imprenditori di successo di oggi.