di ROBERTA MORLEO
C’è un ricordo che ho custodito per anni.Era il 2001, lavoravo per il Corriere del Mezzogiorno, era una delle tante conferenze a Palazzo di Città. Rossana Di Bello era brillante, muscolare, decisionista e all’occorrenza anche ruvida. Niente sconti a nessuno, stampa inclusa. Anche a me era capitato di litigarci, per un articolo che non aveva gradito perché, sia pure indirettamente, avrebbe potuto offuscare il suo operato da primo cittadino.Ci chiarimmo anche abbastanza animatamente, ma rimase fra noi quel “non detto” che assomiglia tanto ai malintesi di coppia, che poi generano lunghi e inutili silenzi. Anche perché intuiva, da donna intelligente qual era, quanto fossi abbastanza distante dal suo credo politico.
Erano passati mesi da quell’episodio.Al termine della conferenza stampa, venne verso di me e mi fece cenno di seguirla.Ci sedemmo nella sala antistante quella degli Specchi.Poi, la sua domanda.“Come stai, in questo periodo…c’è qualcosa che non va?… A casa…?”La guardai un po’ interdetta, quello era un periodo professionalmente faticoso ma stimolante, ero free lance ed il mio ufficio era un club privato generosamente messomi a disposizione dal proprietario mio amico, dove di giorno lavoravo e di sera incontravo gli amici. I lutti della mia famiglia sarebbero arrivati di lì a qualche anno.In quanto a me, fra le birre e i concerti e il PC sempre acceso e il fumo ancora free nei luoghi chiusi, la mia esistenza si poteva dire felicemente frenetica.
“Rossana…tutto bene direi. Perché…?”.Mi rispose guardandomi negli occhi, come era solita fare, ma con una luce diversa.”Ho fatto un sogno. Ho sognato mio padre, era davanti a me, mi guardava senza parlare e accarezzava la testa di una donna seduta. E quella donna eri tu.Ho pensato che dovevo chiedertelo”.Non ricordo cosa le dissi, oltre che ringraziarla. So però che vidi per la prima volta quella donna forte e risoluta nella sua essenza più umanamente fragile, quasi materna, sensibile e vulnerabile. Da allora capii meglio tutto quello che faceva, e perché lo faceva. Colsi purtroppo anche i suoi e altrui errori, quelli per i quali pagò lei il prezzo più alto, quello della città che avrebbe voluto ancora al suo fianco e che invece le si rivoltò contro.
Certo non tutti, i tarantini, ma sicuramente quella parte da sempre animosa, quella benpensante senza macchia e senza paura col dito perennemente puntato contro qualcosa o qualcuno. Quando sparì dalla scena politica mi dispiacque ma ritenni avesse fatto la scelta più giusta, mostrando quella dignità che molti altri non avevano avuto e ancora non hanno.Molti anni più tardi, dopo che era sparita, feci letteralmente irruzione nel suo negozio. Era sola. Sempre bella e dall’eleganza estrosa, tradiva nello sguardo una sottile malinconia.Fu sorpresa. E capi’ subito che non era la visita di una cliente, ma di chi voleva dirle qualcosa che va detto alle persone quando sono ancora in vita, perché possano gioirne. Quelle cose da non rimandare mai, in nome del tempo che non si ha. Perché il tempo c’è sempre, quando c’è.
L’ho rivista l’ultima volta credo a febbraio, io fuori che passavo davanti al suo negozio, lei dentro. Sono rimasta pochi secondi lí affinché mi vedesse. Mi ha fatto cenno di fermarmi, è corsa verso l’ingresso, ha aperto e mi ha detto, portando la mano verso la mascherina: “Bellaaa…! Un bacio al volo!“. Poi un brivido, un presentimento. Fino a ieri. Un bacio al volo, Rossa’…