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23 Dicembre 2024 07:31

LA STAGIONE DEI VELENI DELLA MAGISTRATURA ITALIANA

Ieri sera in tv a Piazza Pulita su La7 quattro magistrati Ardita, Davigo, Palamara e Robledo si prendono a pesci in faccia. Una magistratura in crisi, veleni, esposti, denunce, scambi di accuse, attacchi fra magistrati neanche troppo nascosti. Ed è solo l'inizio...

di REDAZIONE POLITICA

A PiazzaPulita su La7, è andato in onda l’ennesimo atto di una squallida guerra interna alla magistratura che di mese in mese si allarga con nuovi protagonisti. L’ennesima dimostrazione che c’è una magistratura in crisi, veleni, esposti, denunce, scambi di accuse, attacchi neanche troppo nascosti. Una crisi che a tratti sembra irrisolvibile con un potere dello stato, quello delle toghe, in una crisi che di ora in ora sembra sempre più irriversibile. I magistrati presenti in trasmissione o nominati son o quattro.

Il primo è Piercamillo Davigo in passato pm del pool Mani Pulite della procura di Milano, fino a pochi mesi fa consigliere del Csm . Il secondo è Paolo Storari, sostituto procuratore di Milano, che si rivolge a Davigo consegnandogli degli atti giudiziari coperti da segreto istruttori, che contenevano delle dichiarazioni (o farneticazioni ?) dell’avvocato Piero Amara che è stato consulente esterno dell’Eni, il cui nome è legato anche al “caso Palamara” e al “sistema Siracusa” .

Amara ha dei patteggiamenti alle spalle, privo di alcuna credibilità, ha iniziato a parlare da qualche tempo con le procure. Storari consegna questi atti a Davigo, a suo dire, in “autotutela” questo perché la sua procura non voleva approfondire le dichiarazioni dell’ avvocato siciliano. Ma cose sosteneva questo avvocato-facilitatore, che compare sistematicamente nei procedimenti più importanti che riguardano magistratura e politica? L’esistenza di una loggia, definita Ungheria, della quale farebbero parte alti magistrati e uomini delle istituzioni. Tra i quali Sebastiano Ardita – il quale ha telefonato alla trasmissione per controbattere all’intervista del Davigo.

L’ex-consigliere del CSM attualmente in pensione, ha infatti riaffermato che dopo aver ricevuto questi verbali dal pm milanese Storari, sostenendo di non aver rispettato le vie formali soltanto perché “non si poteva”. Affermazione questa secondo Ardita, del tutto falsa e contraria al vero . Fra i magistrati ospiti della trasmissione anche Luca Palamara, l’ex-magistrato radiato dal CSM, protagonista dell’inchiesta sulle nomine nella magistratura, e l’ ex- procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo, ma ad un certo punto fra questi i due è avvnuto uno scambio di battute leggermente acceso. Questi alcuni passaggi delle rispettive affermazioni polemiche.

Intervista a Davigo: “Non era possibile agire per vie formali”

Viene trasmessa in onda un’intervista del giornalista Salvatore Gulisano a Piercamillo Davigo, magistrato in pensione, il quale si sofferma a parlare sulla vicenda dei verbali e, nonostante le solite banali affermazioni di comodo come “di questo preferisco non parlare” e “non si poteva agire per vie formali” ha dato la sua versione dei fatti:

Il giornalista Gulisano gli domanda se non si senta sul banco degli imputati. Davigo risponde: “Sono assolutamente abituato. Quando mi occupavo dell’indagine cosiddetta Mani Pulite venivo denunciato una volta a settimana. Ero arrivato ad avere 36 procedimenti a mio carico aperti in simultanea davanti alla procura di Brescia, quindi non mi fa nessuna impressione”. 

Quando l’intervistatore gli chiede dei verbali. Davigo risponde: “non erano verbali, erano copie Word di atti per supporto alla memoria. Io gli atti originali non li ho mai visti. Storari mi ha segnalato una situazione critica e mi ha dato gli il materiale necessario per farmi un’opinione, dopo essersi accertato che fosse  lecito. Io ho già spiegato che il segreto investigativo non è opponibile al Csm. aggiungendo “…. Mi sembrava incomprensibile la mancata iscrizione (…) quelle cose (cioè le dichiarazioni di Piero Amara, ndr) richiedevano indagini tempestive“. E su Amara dice: “Mai incontrato, non ho idea”. sostenendo “quale che sia l’ipotesi bisognava investigare”.

Poi Davigo parla della sua procedura inusuale utilizzata in relazione agli atti. alla domanda perché non siano state seguite le vie formali, risponde: “Nel caso di specie non si potevano seguire le vie formali. La via più semplice sarebbe stata rivolgersi al procuratore generale (di Milano, ndr) ma la sede era vacante.  Seguire vie formali avrebbe portato al disvelamento di tutta la vicenda. (…) C’era necessità di informare il comitato di precedenza in maniera diretta e sicura“. Il giornalista gli chiede se sapeva se fosse stata informata anche la presidenza della Repubblica. E Davigo risponde: “Di questo preferisco non parlare” e quando gli viene chiesto se avesse parlato della vicenda con qualche suo collega al Csm risponde allo stesso modo: “Preferisco non rispondere” e aggiunge: “Ho fatto cenno a qualcuno per esigenze connesse alle indicazioni che derivavano dai quei fatti. C’era un problema di spiegare per quale ragioni io avevo interrotto i rapporti con una persona”. Il riferimento di Davigo è chiaramente al consigliere Sebastiano Ardita, un tempo a lui molto vicino. Ed a domanda specifica del giornalista risponde: “Preferisco non fare nomi. Io posso anche essere convinto che sia estraneo, ma se in un verbale viene accusato di qualcosa, io non glielo posso dire. (…)” dimenticando di non essere più in magistrato e tantomeno un consigliere del CSM.

Davigo parlando della sua segretaria Marcella Contrafatto, che è indagata per calunnia per aver inviato quei verbali ai giornali dice: “Posso solo dire che nel caso sia stata lei mi ha sorpreso non poco perché l’avevo sempre considerata una persona affidabile”. Il giornalista di Piazza Pulita a quel punto gli chiede: “Teme di poter essere indagato?” e Davigo risponde: “Assolutamente no”. Sulla sua procedura anomala utilizzata per informare l’ufficio di presidenza del Csm, l’ex-magistrato cerca di auto-assolversi: “Non capisco cosa avrei dovuto fare. Io ho ritenuto che formalizzando avrei fatto guai, ma se mi fosse stato chiesto l’avrei fatto” e conclude l’intervista facendo un riferimento a se stesso ed a quello che si è sempre detto di lui: “La parola giustizialista non significa un bel niente, ho sempre cercato di fare il mio dovere conformemente alla legge. Ho sempre detto che le regole di questo Paese non sono sempre le più adatte a ricostruire la verità storica


Robledo: “La ricostruzione non mi convince”. Davigo ? “Pieranguillo”

Dopo l’intervista a Davigo interviene l’ ex- procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo. Questi i passaggi salienti del suo intervento:

″(La ricostruzione di Davigo) non mi convince per niente in realtà. Piercamillo Davigo ha sempre avuto qualche soprannome scherzosamente, da Piercavillo ad altri. A me sembra di poterlo chiamare Pieranguillo, perché sfugge ai problemi veri. Non è vero affatto che se avesse seguito le vie formali avrebbe disvelato (gli atti, ndr). (…) La questione era semplicissima (Robledo legge una circolare del Csm, ndr): Davigo avrebbe dovuto consigliare a Storari (io l’ho avuto come uditore, è un ragazzo molto intelligente, preparatissimo, grandissimo lavoratore, un po’ ingenuo): “Caro Storari – è quello che secondo Robledo avrebbe dovuto dire Davigo – non me li dare questi documenti, mettili in una busta, sali un piano (del palazzo del Csm, ndr) e dalli all’ufficio di presidenza. Non avrebbe avuto nessun disvelamento, perché il plico era riservato”.

A questo punto Corrado Formigli fa un riferimento alla procura di Milano. E Robledo, che anni fa fu protagonista di un aspro scontro con l’allora suo capo Edmondo Bruti Liberati, risponde: “Che il problema sia la procura di Milano è pacifico, Greco è il continuatore esatto di Bruti Liberati, in tutto e per tutto. (…) (In questa vicenda) Davigo fa il divulgatore, di fatto. Mi meraviglio che abbia avuto tutta questa preoccupazione (leggendo il contenuto dei verbali di Amarandr).  Avendo un po’ di mestiere, io sono d’accordo con Massari (giornalista del Fatto Quotidiano a cui questi verbali sono arrivati da un anonimo) che Amara è un avvelenatore di pozzi. Mi lasci dire una roba avventata: la storia della loggia Ungheria è ridicola. La prima volta è tragedia, ma la seconda è una farsa, questa è una farsa. Ma quale Ungheria e Ungheria, per carità. Qui c’è un faccendiere che cerca di trarre un profitto personale“.

il magistrato Sebastiano Ardita, consigliere del CSM

Ardita: “Basito da quello che ho sentito. Invito Davigo a un confronto

Subito dopo l’intervento di Davigo, arriva in studio una telefonata. È Sebastiano Ardita che in sostanza, cosa ha detto: “Al netto di quella che è una bufala clamorosa, davvero una cosa che non si può sentire, sono veramente basito da quello che ho sentito in questa trasmissione. Ho sentito dire che non si potevano seguire le vie formali, è una cosa gravissima. Stiamo parlando di un organo di autogoverno (il Csm, ndr) che svolge un ruolo fondamentale perché la giustizia funzioni in modo regolare e dobbiamo sentirci dire che non si possono seguire vie formali. Davigo riceve delle carte da un collega di Milano, che conosce e che svolge delle indagini in cui compare il nome di un consigliere con cui non si parla, addirittura c’è grave inimicizia (si riferisce a se stesso, poiché ha da tempo troncato i rapporti con Davigo). Lui prende queste carte e ne parla con i vertici (del Csm) che ovviamente nulla possono fare, in assenza di qualunque tipo di interlocuzione formale e in presenza di atti che provengono da un reato, vale a dire rivelazione di segreto per cui è indagato Storari (che domani dovrebbe comparire davanti alla procura di Roma, ndr). Si fa un utilizzo informale di un atto che riguarda una persona con cui c’è grave inimicizia che siede nello stesso organo di autogoverno. È un fatto di gravità inaudita”. 

Corrado Formigli, conduttore di Piazzapulita, a questo punto gli dice che Davigo ha fatto intendere che quando negli atti ha letto il suo nome si è preoccupato. Questa la risposta di Ardita: “Io non so se ridere o piangere (….) Davigo aveva tutti gli elementi per capire che questa era una bufala. Quindi di cosa doveva preoccuparsi? Questa cosa mi lascia di stucco”. Poi l’invito al confronto: “Sarei molto disponibile a guardarlo negli occhi e a dirgli moltissime cose (,.) visto che lui da quei giorni immotivatamente non mi parla più. (…)”

Palamaravirus: botta e risposta tra l’ex pm romano e Robledo

Alla fine il botta e risposta tra Palamara e Robledo. Quest’ultimo ha coniato un nuovo termine, che però al diretto interessato non piace.

Robledo: “Io penso che l’unico comportamento veramente trasparente, serio, è stato tenuto ancora una volta da Nino Di Matteo, che non ha niente da spartire con il Palamaravirus, come lo chiamo io”. 

Palamara: “Io parlerei di virus  senza Palamara, visto che c’erano tutti. Diciamola tutta, forse è meglio parlare del virus delle correnti”.

Robledo: “Il Palamaravirus è stata un’infezione della magistratura. E devo correggere l’espressione che ha usato Palamara. ‘Così fan tutti’, mica  vero, io non l’ho fatto così come tanti altri. Lo fanno tanti, non tutti”.

Palamara: “Ma io l’ho detto”.

Robledo: “No, non l’ha detto. Vada a raccontarle a un altro, le racconti a un altro. Il mediatore, il mediatore dell’accidente, andiamo avanti”.

Palamara: “Sa che non posso entrare nella vicenda che la riguarda”

Dopo questo diverbio fra Palamara e Robledo si torna a parlare di Amara e dopo pochi minuti la trasmissione cambia argomento. Sul teatrino della malagiustizia per il momento cala il sipario. Ma è solo la prima parte di questo scandalo.

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