di LUCIANO VIOLANTE
Le linee di fondo delle riforme della giustizia appaiono convincenti. Ma per poter esprimere valutazioni approfondite occorrerà leggere le proposte specifiche, specie per le questioni più complesse. Tra queste rientra l’attribuzione al Parlamento del potere di decidere le priorità nell’esercizio dell’azione penale. Le Camere, se non l’hanno già fatto, potrebbero consultare il sito della Procura generale della Cassazione. Alla voce “Orientamenti per gli Uffici di Procura” sono pubblicati gli indirizzi per le singole procure, proposti dalla Procura generale dopo molteplici confronti.
Si tratta di criteri non vincolanti, ma dotati di un significativo potere di influenza per materie delicate, come le intercettazioni telefoniche o l’iscrizione delle notizie di reato. Quando i criteri non siano stati osservati, il Parlamento potrebbe chiederne ragione ai titolari dei poteri ispettivi, ministro della Giustizia e Csm.
L’obbiettivo è dare maggiore certezza a cittadini e imprese. Nella stessa prospettiva, anche per tranquillizzare gli investitori esteri, la competenza penale per le questioni societarie dovrebbe essere attribuita ai tribunali delle imprese, particolarmente specializzati in materia societaria, ma oggi competenti solo per i profili civili.
Le difficoltà del Csm vanno affrontate con efficacia. Dagli anni Settanta la politica cede alla magistratura quote sempre più rilevanti della propria sovranità; il diritto è sempre meno legislativo e sempre più giurisprudenziale; la magistratura, non per sua scelta, è diventata una componente del sistema di governo del Paese. Ma alla espansione dei poteri non ha corrisposto l’adeguamento delle responsabilità. La crisi morale della magistratura nasce dal divario tra poteri e responsabilità. Occorrerebbe applicare l’articolo 54 della Costituzione: i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore. In molte vicende, comprese quelle attuali, sono stati assenti tanto la disciplina quanto l’onore.
Lo statuto del Csm è calibrato non su questa magistratura, ma su quella della fine degli anni Quaranta, rigidamente gerarchica e collocata alla periferia del sistema politico costituzionale. Perciò Palazzo dei Marescialli fa fatica ad adempiere alle sue funzioni. Privo di una riforma, il Csm è stato costretto ad adeguarsi con interpretazioni estensive, chilometriche circolari e procedure ingarbugliate. Bisogna ricostruire la fiducia. Ma é illusorio confidare in una nuova legge elettorale; dopo la prima, del 1958, ne sono state approvate altre sette, ma i mali si sono aggravati perché non dipendono dalla legge elettorale. Se il vicepresidente del Csm venisse nominato dal presidente della Repubblica, che ne è presidente, i patti preliminari tra candidati e correnti dell’Anm, che condizionano l’intera vita del Csm e ne frenano l’autorevolezza, non avrebbero più ragion d’essere.
Se si costituisse un’Alta Corte, composta con gli stessi criteri della Corte Costituzionale, che decida sulle impugnazioni contro le decisioni disciplinari e amministrative del Csm avremmo un sistema di “governo” della magistratura adeguato al nuovo ruolo. Sono riforme costituzionali, in partenza divisive, e sappiamo che la maggioranza non intende affrontare riforme la cui discussione potrebbe nuocere al governo. Tuttavia non affrontare riforme indispensabili, come in questi casi, potrebbe nuocere al Paese e vanificare molti degli sforzi che si stanno facendo in altri settori.