di ANTONELLO de GENNARO
La linea difensiva dell’avvocato Piero Amara con il Gip ed i pubblici ministeri che lo hanno fatto arrestare, nell’interrogatorio di ieri mattina durato due ore si è confrontato con il magistrato, è stato quello di ricondurre la propria attività a “lobbying” professionale ed imprenditoriale negando ogni presunto favore ricevuto da Capristo, che peraltro allo stato degli atti d’indagine non risulta comprovato, in quanto prove e riscontri oggettivi allo stato attuale sono assolutamente assenti . L’avvocato siciliano, diventato famoso per le sue rivelazioni sulla fantomatica “loggia Ungheria”, ha escluso di aver avuto un “interesse personale alla nomina a Taranto di Capristo” ed un attenta lettura dell’ ordinanza, per chi conosce la storia dell’ ILVA, del processo Ambiente Svenduto, sembrerebbe dargli ragione.
Il poliziotto Filippo Paradiso attualmente detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, si è avvalso della facoltà di non rispondere “non essendo nelle condizioni fisiche per farlo e non conoscendo ancora gli atti”, ed attraverso il suo difensore l’ avv. Michele Laforgia del Foro di Bari, ha negato di avere fatto quanto gli viene contestato “Che ci fosse una relazione con Amara risulta agli atti, che fosse illecita è un altro problema” ed ha assicurato che anche lui “spiegherà le proprie ragioni ” riservandosi di chiedere di essere ascoltato nei prossimi giorni .
Il “teorema” della Procura di Potenza per quanto riguarda Amara e Paradiso, è stato condiviso dal gip Antonello Amodeo sarebbe quello di aver fatto attività di lobbyng per agevolare la carriera di Capristo , ma di fatto non vengono identificate ed indicate nell’ordinanza le persone che concretamente lo avrebbero favorito, nè tantomeno provato come lo avrebbero fatto. Questa mattina viene ascoltato l’ex procuratore di Trani e Taranto, Carlo Maria Capristo, destinatario di un obbligo di dimora nella sua abitazione di Bari. Secondo la difesa dell’ex-procuratore le contestazioni della Procura di Potenza altro non sarebbero che “frutto di congetture, supposizioni e millanterie di faccendieri” .
Seguirà l’interrogatorio dell’avvocato Giacomo Ragno e dell’ex consulente Ilva Nicola Nicoletti, entrambi agli arresti domiciliari dallo scorso 8 giugno. Costoro insieme agli ex magistrati tranesi Michele Nardi ed Antonio Savasta, vengono ritenuti dalla procura lucana “il cerchio magico di Capristo”. Nell’ipotesi investigativa delle pm Valeria Farina e Annagloria Piccinni coordinate dal procuratore Francesco Curcio , vengono contestati reati di abuso d’ufficio, concussione, corruzione in atti giudiziari, favoreggiamento. Ma qualcuno dimentica, giornalisti locali compresi, che nelle lunghe approfondite indagini sul “sistema Trani” della Procura di Lecce (che coinvolgeva i magistrati Nardi, Scimè, Savasta) competente per territorio sugli uffici giudiziari di Trani, e sugli approfondimenti della sezione disciplinare e del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, nei confronti di Capristo non è mai emersa alcuna responsabilità.
Amara assistito dagli avvocati Salvino Mondello e Francesco Montali, non ha minimamente condiviso l’impianto accusatorio della procura di Potenza , pressochè quasi integralmente riportato nell’ordinanza di custodia cautelare del Gip , precisando alcuni fatti e fornendo una diversa ricostruzione di altre contestazioni a suo carico. Una posizione molto chiara e ben diversa dall’atteggiamento collaborativo che sta tenendo con altre Procure.
Secondo la Procura di Potenza si tratterebbe di “una strategia delle mezze verità, che depistano più di quelle vere “ dall’esame delle dichiarazioni rese dall’avvocato Amara alle procure di Messina, Roma e Milano, nelle quali avrebbe ammesso ciò che non poteva negare ma nascosto parte rilevante dei fatti e circostanze importanti”. A noi al momento l’attuale impianto accusatorio riportato nell’ordinanza del Gip, ricorda invece un analogo “teorema giudiziario” del procuratore Curcio (all’epoca dei fatti soltanto sostituto procuratore) sull’ inchiesta sulla presunta P4 condotta insieme al pm Heny John Woodcock , che nel corso del giudizio in Tribunale si è dissolta come neve sotto al sole.
“Una associazione segreta a delinquere fatta da una sola persona. La terribile P4” – scriveva Luca Fazzo su IL GIORNALE – “l’associazione che infettava il paese, “organizzata e mantenuta in vita allo scopo di commettere un numero indeterminato di reati contro la pubblica amministrazione e la amministrazione della giustizia”, “interferendo su organi costituzionali”, trafficando notizie segrete e manovrando nomine, non esisteva. L’unico condannato, l’uomo d’affari Luigi Bisignani (che ha patteggiato la pena a un anno e sette mesi) era evidentemente associato solo con se stesso. Una auto-associazione a delinquere“.
In quell’occasione vennero incriminati come “sodali” di Papa e Bisignani persino il capo di Stato maggiore Michele Adinolfi e il generale Vito Bardi comandante in seconda della Guardia di Finanza (ora presidente della Regione Basilicata n.d.a. ) . Tutti e due poi archiviati, quando ormai le carriere erano finite in discarica.
Nel frattempo, Papa sopravviveva a Poggioreale, pressato dai pm perché scegliesse di collaborare. Alla fine perse la pazienza, e scrisse una lettera a un amico senatore: «Il pm Woodcock mi ha fatto sapere che sarebbe disponibile a farmi scarcerare se ammettessi almeno uno degli addebiti e rendessi dichiarazioni su Berlusconi e Lavitola e almeno su Finmeccanica». Papa non accontentò i pm, e quando venne scarcerato dal giudice preliminare la Procura fece (invano) ricorso per rispedirlo in carcere.
“Dopo nove anni, tutto finisce in niente. – scriveva IL GIORNALE – Certo, rimane la condanna patteggiata “per gravi motivi familiari» da Luigi Bisignani, unico colpevole di una associazione inesistente. «Mi dispiace – diceva Bisignani – che mia madre non ci sia più. A quasi novant’anni aveva subito una perquisizione corporale alla ricerca di floppy disk. Ovviamente come mi consente la legge, chiederò la revisione: che arriverà, mi dicono, fra molti anni».
Sulle presunte pressioni e contatti con la presidente del Senato Elisabetta Casellati, all’epoca componente del Csm, per arrivare alla nomina di Capristo riportate negli atti del Gip e della procura, lo stesso procuratore di Potenza Francesco Curcio con una nota diffusa ieri (ma non pervenuta al nostro giornale) ha precisato che non è “confermata la circostanza che l’allora componente del Csm, Elisabetta Casellati, (attuale Presidente del Senato) abbia avuto un incontro diretto e personale con l’avvocato Piero Amara“ evidenziando che la precisazione è stata fatta “per garantire una informazione aderente alle attuali emergenza investigative, ferme restando la perdurante sussistenza delle circostanze di fatto e diritto poste a sostegno della ordinanza cautelare adottata contro gli indagati”.
Ma il procuratore Curcio evidentemente non deve essersi informato molto bene con i suoi colleghi e compagni di corrente di Area al Csm. Se lo avesse fatto avrebbe scoperto, che la Casellati non è stata relatore della proposta di nomina di Capristo a procuratore di Taranto. Ed avrebbe scoperto tante altre cose che di fatto scagionano l’ex procuratore capo di Trani e Taranto dalle ipotesi accusatorie lucane.