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22 Novembre 2024 09:38

LIBERTA’ DI STAMPA ED ETICA DEL GIORNALISMO

La Corte Costituzionale si riunisce, è una settimana importante per lo Stato di diritto. L’esito dell’udienza di oggi appare quasi scontato, visto che il pensiero della Corte Costituzionale emerge in modo nitido dalla lettura dell’ordinanza n. 132/2020

di GUIDO CAMERA*

È una settimana importante per lo Stato di diritto. Oggi, infatti, la Corte Costituzionale si riunisce per decidere se le norme del Codice penale e della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che prevedono la reclusione per il delitto di diffamazione a mezzo stampa (ma anche internet, radio e televisione), siano compatibili con le disposizioni della Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che salvaguardano la libertà di espressione, attribuendole il rango di diritto fondamentale dell’individuo.

È un appuntamento storico, soprattutto per il giornalismo italiano – non a caso la Corte ha giustamente ammesso l’Ordine Nazionale dei Giornalisti come parte nel giudizio costituzionale – che aspetta almeno da dieci anni una riforma dell’attuale disciplina, e che riveste nel contempo stringente attualità anche in considerazione delle polemiche che sono sorte intorno alla diffusione, da parte di alcuni media, del video del tragico disastro della funivia del Mottarone.

La Corte Costituzionale

Alla Consulta si sono rivolti, nel corso del 2019, i Tribunali di Salerno e Bari, lamentando che la previsione anche solo in astratto della pena detentiva sia eccessiva e sproporzionata rispetto al ruolo fondamentale che ha la libertà di manifestazione del pensiero, con particolare riferimento alla rilevanza della funzione sociale esercitata dall’attività giornalistica, a cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo attribuisce storicamente il ruolo di “cane da guardia” della democrazia (sentenza 27 marzo 1996, Godwin contro Regno Unito).

La prima udienza del giudizio costituzionale si è tenuta il 9 giugno 2020. All’esito della camera di consiglio, con l’ordinanza n. 132/2020, i giudici delle leggi hanno deciso di rinviare di un anno la decisione del merito delle questioni sollevate, in modo da consentire al legislatore di approvare una nuova, e omogenea, disciplina in linea con alcuni paletti nel tempo consolidati dalla giurisprudenza costituzionale ed europea, che hanno stigmatizzato l’effetto censorio (c.d. “chilling effect”) che ha la pena detentiva rispetto alla libertà di espressione, in particolare dei giornalisti. Pena detentiva che, secondo la richiamata giurisprudenza – condivisa dalla Consulta – deve essere riservata solo a quelle circostanze eccezionali in cui si determina una grave lesione di altri diritti fondamentali, come ad esempio in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.

Purtroppo il rinvio è stato infruttuoso, dato che il legislatore è rimasto inerte, nonostante l’attuale presidente della Corte, Giancarlo Coraggio, nei mesi scorsi avesse auspicato che “il Parlamento manifestasse una maggiore sensibilità per una questione che tocca uno dei fondamentali della democrazia”.

L’esito dell’udienza di oggi appare quasi scontato, visto che il pensiero della Corte Costituzionale emerge in modo nitido dalla lettura dell’ordinanza n. 132/2020.

Secondo la Consulta – all’epoca presieduta dall’attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia – “il punto di equilibrio tra la libertà di ‘informare’ e di ‘formare’ la pubblica opinione svolto dalla stampa e dai media, da un lato, e la tutela della reputazione individuale, dall’altro, non può essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatesi negli ultimi decenni”.

Di conseguenza, il bilanciamento sotteso all’attuale disciplina, oggetto del giudizio costituzionale, “è divenuto ormai inadeguato” e ciò esige una “rimodulazione” del medesimo in modo da “disegnare un equilibrato sistema di tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso – nei limiti della proporzionalità rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito – a sanzioni penali non detentive nonché a rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in primis, l’obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono l’autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema democratico”.

Lo scenario auspicato dalla Corte è dunque articolato, visto che si estende anche a una rivisitazione delle norme di natura deontologica e disciplinare – preclusa alla Consulta, in quanto compito del legislatore – in modo da evitare il rischio che, per effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale, si creino lacune di tutela effettiva per i contro-interessi in gioco, ovvero quelli di chi può subire un danno dalla diffusione di una notizia, un’immagine o un video

Per meglio comprendere la rilevanza e l’attualità di quest’ultimo passaggio, intorno al quale è incentrata l’etica del giornalismo – che deve essere adeguatamente presidiata sotto il profilo disciplinare, come ben ha spiegato la Consulta – bisogna avere sempre in mente che il suo cardine fondamentale è quello dell’ “essenzialità dell’informazione”. Si tratta di un principio saldamente fissato dall’articolo 6 del Codice deontologico dei giornalisti, che stabilisce quanto segue: “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell’originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonchè della qualificazione dei protagonisti”. Là dove la divulgazione della notizia, o dell’immagine, non sia indispensabile ai fini informativi, prevale dunque il diritto alla riservatezza di chi può subire un danno dalla diffusione.

Mi sembra il caso dei parenti delle vittime della tragedia del Mottarone, il cui dolore appare inutilmente acuito dalla diffusione pubblica del video del drammatico incidente in cui hanno perso la vita i loro cari; diffusione peraltro avvenuta in violazione delle norme del codice di procedura penale che ne impedivano la divulgazione al di fuori delle parti del processo.

Sono convinto che l’opinione pubblica avrebbe potuto comprendere quanto accaduto senza necessità di vedere il video, grazie all’attività di mediazione intellettuale – tra fatto e opinione pubblica – in cui consiste l’attività del giornalista: un mestiere che è prezioso per la società democratica, ed è svolto davvero bene, quando riesce a narrare i fatti essenziali senza divulgare particolari non indispensabili e potenzialmente lesivi di diritti altrui, come mi sembrano le immagini – solamente sensazionalistiche e scioccanti – dell’ultima corsa mortale della funivia del Mottarone.

*Avvocato cassazionista, Presidente di Italiastatodidiritto

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