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23 Novembre 2024 03:20

ARRESTATO IN INDONESIA IL BROKER MASSIMO BOCHICCHIO

Il finanziere da mesi in fuga è stato fermato ieri a Giacarta. Sparito nel nulla almeno mezzo miliardo di euro. Tra i suoi clienti gli allenatori Conte e Lippi, il calciatore El Sharawi e decine di imprenditori e professionisti tra Roma e Montecarlo

di REDAZIONE CRONACHE

Massimo Bochicchio, il consulente finanziario è stato arrestato ieri in Indonesia, a Giacarta, in un’inchiesta della sezione di polizia giudiziaria della Gdf di Milano e dei pm Paolo Filippini e Giovanni Polizzi. L’inchiesta riguarda l’accusa di riciclaggio internazionale. L’ordinanza, firmata dal Gip Chiara Valori del Tribunale di Milano, era pendente da mesi e Bochicchio era scappato dall’Italia dal luglio 2020. Il broker era indagato per riciclaggio internazionale dalla procura di Milano.

L’ingresso agli uffici della Procura di Milano

Nel decreto del febbraio scorso, firmato dal gip di Milano Chiara Valori, era scattato il sequestro di un immobile di pregio a Cortina, opere d’arte e conti correnti per un valore totale di 10,9 milioni di euro. L’ordinanza cautelare pendeva da mesi, tanto che, a quanto è stato riferito, gli investigatori cercavano Bochicchio, che lo scorso anno si era rifugiato a Dubai, almeno dall’estate dello scorso anno. Nell’inchiesta al broker di origini campane viene contestato di aver riciclato denaro dei suoi clienti. A lui erano stati sequestrati, sempre su ordine del gip Valori, tra le altre cose, un immobile di pregio a Cortina d’Ampezzo (Belluno), un vaso di Picasso e alcune opere di Giacomo Balla e Mario Schifano, foto di Richard Avedon, oltre che un milione di euro sui conti correnti e polizze.

Massimo Bochicchio e la moglie

Bochicchio dal 2011 in avanti, si legge negli atti, avrebbe “raccolto attraverso le società Kidman Asset Management e Tiber Capital” da lui create, controllate e guidate a Londra (città dove viveva con la seconda moglie e figli) “cospicui capitali dei propri clienti”. Soldi che avrebbe dirottato in investimenti “anche in Paesi a ridotta tassazione, massima tutela della riservatezza e bassa collaborazione giudiziaria, come Singapore, Hong Kong ed Emirati Arabi Uniti, promettendo alti rendimenti e, in caso di necessità, anche l’assoluta riservatezza (…), omettendo i controlli antiriciclaggio prescritti”.

A Londra c’erano i fondi d’investimento , sottoposti alla sorveglianza delle locali autorità di controllo, sotto l’ombrello di Tiber capital. Il lato oscuro del gruppo riportava invece alla società Kidman asset management, registrata alle BVI-British Virgin Islands. Al riparo di questo schermo offshore, il broker romano, 55 anni, figlio di un alto ufficiale dei Carabinieri, è riuscito a manovrare i patrimoni di decine e decine di clienti tra l’Italia, Londra e i Caraibi. Tutti soldi di cui è difficile tracciare con precisione il percorso. Bochicchio godeva di contatti e coperture di alto livello a Roma così come nella City londinese. Questa è la convinzione degli investigatori italiani. Finora però tutte le richieste di collaborazione inviate a Londra erano rimaste prive di risposta.

Bochicchio garantiva di avere un filo diretto con i vertici di Hsbc, l’istituto di credito che lo aveva assunto nel 2006 per poi dargli il benservito sei anni dopo. Solo millanterie? In realtà agli atti delle indagini della Guardia di Finanza (il pool di polizia giudiziaria della Procura di Milano) sono finiti alcuni appunti, scritti dallo stesso Bochicchio, in cui viene menzionato, in un elenco di clienti, anche Samir Assaf, già gran capo mondiale del trading di Hsbc.

A Londra, chi lo conosce bene sostiene che il broker sia arrivato ad accumulare fino a 600 milioni di euro. Poca cosa, comunque, rispetto all’enorme patrimonio che il finanziere era in grado di manovrare. Di certo il broker per anni non si è fatto mancare nulla. È noto che aveva preso casa nella capitale inglese in Holland park, il quartiere dei miliardari, ma il settimanale L’Espresso ha verificato che Bochicchio è proprietario anche di un appartamento da un milione di dollari a Miami, nel grattacielo MarinaBlue.

sulla destra il grattacielo Marina Blue a Miami

Non mancavano voli privati, auto di lusso, investimenti milionari in opere d’arte, gioielli e pezzi d’antiquariato. Una vita a tutta velocità, mentre la lista dei suoi clienti, ingolositi dalla promessa di guadagni stellari, oltre il 10 per cento l’anno, si allungava sempre di più.

Tra i truffati molti vip del mondo dello sport. Tra i nomi dei suoi clienti (non indagati) figurano pure il calciatore della Roma Stephan El Shaarawy, l’ex terzino della Juve Patrice Evra, Raffaele Trombetta, ambasciatore italiano nel Regno Unito, Marcello Lippi, ex ct della nazionale campione del mondo nel 2006, e il figlio Davide procuratore di importanti giocatori di calcio. Per la presunta truffa per circa 30,6 milioni  all’ allenatore Antonio Conte che aveva conosciuto il finanziere Bochicchio a Londra nel 2016, quando approdò al Chelsea di Roman Abramovich, l’indagine è gestita dalla Procura di Modena.

Non mancano importanti nomi dell’imprenditoria romana. Molti degli improvvidi investitori ormai rassegnati a contare le perdite provengono dal Circolo Canottieri Aniene di Roma, il club sportivo ad altissima densità di potere e denaro. Nella lista dei clienti truffati compare anche l’ambasciatore a Londra, Raffaele Trombetta, che ora fa parte del comitato dei creditori incaricato di sorvegliare la liquidazione della società.

Tra i clienti di Bochicchio compaiono anche un gran numero di evasori fiscali che si guardano bene dal denunciare di aver perso milioni mai dichiarati all’Erario. Altri ancora, invece, contano di evitare eventuali sanzioni perché da tempo residenti a Montecarlo. È il caso di Rodolfo Errani, imprenditore romagnolo che per almeno un decennio ha finanziato le imprese di Bochicchio, investendo una parte importante del denaro (almeno 200 milioni secondo i bene informati, come raccontava L’ ESPRESSO in una sua inchiesta) incassato con la vendita dell’azienda di famiglia, la Cisa di Faenza. Il progetto dell’amico broker lo aveva a tal punto convinto che Errani era entrato anche nel consiglio di amministrazione della Tiber capital, dove lavoravano entrambi i suoi figli. Adesso corre il rischio di essere chiamato a rispondere del crack della società londinese. .

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