Paraolimpiadi o Paralimpiadi? Cosa sono? Chi le ha inventate? A che servono ? Partiamo dall’inizio. Paralimpiadi. Non Olimpiadi per paralitici, paraplegici o atleti afflitti da chissà quale “para” patologia. No. Semplicemente Giochi paralleli a quelli Olimpici. Questo sognava che fossero, “papà” Ludwig Guttmann, celebre neurologo tedesco, rifugiatosi in Gran Bretagna per sfuggire alle persecuzioni naziste, di fatto l’inventore dei Giochi Paralimpici che presero il via per la prima volta a Roma nel 1960.
Se vi raccontassimo che il suo sogno non muoveva da un ideale romantico, ma dalla razionalissima esigenza di mantenere in vita i soldati feriti in guerra per trasformarli in contribuenti, senza dubbio verremmo additati quanto meno di cinismo e bollati come very politically uncorrect. In realtà, se quest’ultimo fosse stato davvero l’intento originario, da un certo punto di vista rappresenterebbe – anche oggi – quanto di più aperto, inclusivo e antidiscriminatorio un pensiero completamente libero possa generare. Olimpiadi e Paralimpiadi.
Due piani che dal 1960 si affiancano apparentemente solo paralleli, ma che proiettati all’infinito, in una narrazione euclidea e romantica, potrebbero finalmente incontrarsi e persino coincidere, condividendo ogni singolo punto che li compone. Sì, un giorno forse capiterà. Ad oggi, però, piena coincidenza tra quei due piani ancora non c’è, perché come hanno brillantemente rilevato gli autori di “Rising Phoenix” uno dei più riusciti documentari sportivi degli ultimi anni : “Alle Olimpiadi vengono creati gli eroi. Alle Paralimpiadi arrivano gli eroi”.
Bebe Vio medaglia d’argento nel fioretto a squadre
Iniziamo dall’ultima medaglia in ordine di tempo, quella d’argento conquistata nel fioretto femminile a squadre. Bebe Vio, già medaglia oro nell’individuale, Andreea Mogos e Loredana Trigilia non ce l’hanno fatta a conquistare la vittoria venendo sconfitte in finale dalla Cina per 45-41. L’Italia, comunque migliora il precedente bronzo conquistato a Rio, dove aveva debuttato sconfiggendo nettamente gli Usa 45-5, poi vincendo sull’Ucraina per 45-24, su Hong Kong per 45-32 ed in semifinale, il successo sull’Ungheria per 45-27.
Barlaam, Trimi ed una staffetta d’oro
Il 21enne azzurro Simone Barlaam , sette volte campione del mondo, trionfa nei 50 stile libero dominando la gara in 24″71, nuovo record paralimpico, precedendo il russo Denis Tarasov e lo statunitense Jamal Hill. “Non ho ancora realizzato cosa ho fatto . Non è facile gareggiare con le aspettative di tutti sulle spalle, me la stavo facendo sotto, comunque è andata bene. – ha detto Barlaam dopo la gara – Cosa provo? Per ora sono stanco, ma anche euforico e carico per i prossimi giorni“.
Nella vasca del Tokyo Aquatics Centre la 34enne azzurra di Milano Arjola Trimi, conquista il gradino più alto del podio anche oro nei 50 stile dorso S3. L’azzurra, con il tempo di 51″34, ha preceduto la britannica Ellie Challis e la russa Iuliia Shishova. “Non mi aspettavo un tempo così basso – ha spiegato la 34enne nata a Tirana in Albania -, sono davvero tanto felice. Quest’oro significa tantissimo: ho fatto della resilienza il mio punto di partenza per affrontare ogni situazione e questo oro significa che ho fatto qualcosa di importante. L’acqua mi fa fare qualcosa di magico, l’acqua è libertà assoluta di esprimermi, mi sento libera di dare il massimo anche nei momenti più difficili. La mia famiglia mi è sempre stata vicina, senza di loro non sarei dove sono oggi”. A completare
La trionfale giornata azzurra è stata suggellata dalla staffetta femminile 4×100 stile libero 34 punti. La compagine azzurra, formata da Xenia Francesca Palazzo, Vittoria Bianco, Giulia Terzi e Alessia Scortechini, si era classificata con il tempo 4’24″85 al secondo posto, alle spalle degli Stati Uniti, aggiudicandosi la medaglia d’oro grazie alla squalifica delle avversarie.
Arrivano dal nuoto altri due argenti e un bronzo
Dalla piscina arrivano anche due argenti e un bronzo. La 26enne milanese Giulia Terzi , alla prima partecipazione paralimpica, già medaglia argento nella staffetta 4×50 mista, ha chiuso in 5’06″32 finendo alle spalle della statunitense McKenzie Koan (5’05″84) vincendo la medaglia d’argento nei 400 stile S7. Stesso piazzamento e medaglia anche per Giulia Ghiretti nei 100 rana SB4. Nei 50 stile libero S13 medaglia di bronzo per Carlotta Gilli in 27″07.
Conferma per Achenza nel triathlon
Nel triathlon PTWC il 50enne Giovanni Achenza ha conquistato il bronzo, analogo risultato di cinque anni fa a Rio de Janeiro in Brasile. L’atleta sardo ha terminato le tre prove con il tempo complessivo di 1:02.05, giungendo alle spalle del vincitore, l’olandese Jetze Plat (57:51), e dell’austriaco Florian Brungraber (59.55). L’account Twitter del Comitato Italiano Paralimpico, ha salutato con un “grande Giovanni!!” il successo del 50enne atleta sardo. Nel judo medaglia di bronzo per Carolina Costa nella categoria +70kg.
Eroi o supereroi
Quelli che corrono veloci, sì, ma per scappare. Dal ricordo degli orrori che i loro occhi di bambini hanno dovuto subire. Quelli che nuotano con l’eleganza di un cigno, perché, il loro vivere perennemente in equilibrio su un unico arto, in acqua magicamente si trasforma in un armonioso danzare. Quelli che fanno canestro senza usare le braccia o centrano un bersaglio senza vedere. O che saltano, in lungo e in alto, solo per cadere e poi rialzarsi, come può succedere a tutti nella vita, ma come solo pochi sanno fare.
Sì. Guttmann aveva visto bene. Aveva intuito il potere magico e riabilitativo che lo sport riesce a trasmettere e regalare e sapeva perfettamente con quanta forza e a che distanza il messaggio portato da un grande evento sportivo riesce ad arrivare. Qualcuno potrebbe definirla retorica, altri trasformarlo in bieco cinismo, ma per chi scrive invece si tratta di pura visione. Guardatela una gara paralimpica, ma non solo con gli occhi, quelli quasi dimenticateli. Lasciatevi guidare dalla testa e alla fine statene certi che sentirete il vostro cuore. Scoprirete che dalle Paralimpiadi non si impara molto sulla vittoria. Si impara sull’umanità.
Non si impara come battere un avversario, ma come sfidare se stessi. Non c’è posto per gli stereotipi, para o normali. Nessuno spazio a tragiche e compassionevoli litanie. Alle Paralimpiade non è mai, in nessun caso, neppure nei più drammatici, la fine. È sempre soltanto un’inizio, come la prima pagina di un libro da leggere. Come una prima riga da scrivere su un diario, o un foglio bianco su cui colorare. L’alba di una nuova vita. “Una figata“, insomma, come l’ha definita Bebe Vio.
Se è anche vero che tutti noi abbiamo una storia da raccontare, le Paralimpiadi sono la più grande raccolta biografica umana universale. Il miglior manuale di auto conservazione della specie che un uomo abbia mai saputo redigere e letteralmente inventare, per imparare l’unica regola davvero importante per esistere: andare avanti e vivere. Noi che non siamo atleti paralimpici, ma semplicemente solo esseri umani, semplici persone, davvero lo sappiamo fare?