di Antonello de Gennaro
Mentre la Procura di Potenza continua nel suo comportamento poco chiaro nei confronti sopratutto delle difese dell’ex procuratore capo di Taranto Carlo Maria Capristo e dell’ ex-commissario straordinario dell’ ILVA in AS prof. Enrico Laghi, cercando di conferire un valore aggiunto alle fantasie del calunniatore seriale Piero Amara, i magistrati lucani sono arrivati al punto addirittura di “pilotarlo” interpretando a proprio piacimento ed utilizzo le sue dichiarazioni a verbale. Ma è Matteo Renzi il vero “obiettivo” del procuratore capo Francesco Curcio . Ancora una volta certa magistratura và alla ricerca dei titoloni ad effetto, e di visibilità personale attaccando chiunque non si alleni alle loro posizioni manifeste sopratutto nella corrente più estremista sinistrorsa della magistratura italiana, cioè quella di Area.
La Procura di Roma che per prima aveva scommesso sull’ avvocato-faccendiere siciliano Amara e sulle sue confessioni fiume, adesso ha vivisezionato e fatto a pezzi le sue false dichiarazioni, con una richiesta di archiviazione dello scorso 10 giugno 2021 a firma del procuratore aggiunto Ilaria Calò e di ben tre pm Rosaria Affinito, Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, avvenuta per coincidenza proprio due giorni dopo l’arresto di Amara disposta dalla procura di Potenza. La richiesta di archiviazione della Procura capitolina è stata accolta a settembre dal Gip del Tribunale di Roma.
Indagato nel procedimento romano insieme ad Amara, una toga eccellente, il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi che era stato accusato “di induzione indebita a dare o promettere utilità“. Il fascicolo era stato aperto a seguito di un esposto presentato da un altro magistrato Dauno Trebastoni, giudice del Tar Lazio (che era stato colpito disciplinarmente da Patroni Griffi) il quale aveva sostenuto nella sua segnalazione che vi sarebbero stati dei comportamenti a suo parere che “avrebbero potuto concretizzare reati”. Le accuse strumentali sostenevano che il presidente del Consiglio di Stato avrebbe preteso che l’ avvocato Piero Amara, socio di studio di Giuseppe Calafiore che sarebbe stato la presunta fonte del giudice Trebastoni “continuasse il rapporto di lavoro in essere tra la Dagi srl (amministrata da Amara) ed una tale Giada Giraldi con la quale il presidente (Patroni Griffi n.d.r.)asseritamente intratteneva una relazione sentimentale”.
Come racconta il quotidiano La Verità, Amara nell’ultimo interrogatorio del 2018 aveva sfiorato la questione in termini molto vaghi, ritrova la memoria descrivendo la Giraldi come “una donna di un’arroganza spaventosa che pretendeva 10.000 euro al mese“. Il faccendiere siciliano aggiungeva che l’imprenditore-lobbista Fabrizio Centofanti, dopo aver ricevuto una perquisizione domiciliare, gli aveva chiesta la cortesia di assumerla “perchè era l’amante di Patroni Griffi”. I magistrati della Procura di Roma, hanno convocato Giada Giraldi, ma le sue dichiarazioni secondo gli inquirenti “costellate da gravi falsità”, verificando però che la donna avrebbe incassato 2.500 euro netti al mese a partire dal novembre 2016 per soli 9 mesi. Grazie a questa scoperta i magistrati hanno ritenuto carta straccia le dichiarazioni di Amara e Calafiore che parlavano di una busta paga mensile da 4-5.000 euro.
Pochi mesi dopo l’assunzione Amara avrebbe deciso di licenziare la Giraldi, a condizione che la sua decisione non risultasse sgradita a Centofanti e sua moglie, ed in particolar modo al presidente Patroni Griffi. I magistrati romani hanno ricostruito che è stato proprio a questo punto che “secondo Amara e Calafiore, Patroni Griffi si premurò di avvicinare il primo mentre si trovava con il suo socio nel ristorante “Gusto” per chiedergli di non licenziare la Giraldi“. Il presidente del Consiglio di Stato avrebbe fatto sapere all’ avvocato-faccendiere “non può dubitare di considerare l’eventuale licenziamento della donna un grande sgarbo“. Ma la Procura di Roma pur non credendo che il dialogo sia avvenuto nei termini raccontati da Amara ed il suo socio Calafiore, ammette che “non può dubitarsi che si sia trattata di una vera e propria calda raccomandazione come emerge da una registrazione” .
Ma i magistrati romani sulla base delle chat presenti nel cellulare del Presidente del Consiglio di Stato, hanno anche evinto che il rapporto tra Patroni Griffi e la Giraldi non è mai diventata una vera relazione amorosa: “Sulla scorta di tali evidenze, si può escludere che i predetti siano stati amanti contrariamente a quanto aveva sostenuto Amara ed insinuato da Calafiore. E’ evidente che la Giraldi abbia ricambiato le manifestazioni di stima ed affetto con un marcato distacco amichevole, seppure fortemente interessata, per finalità lavorative, alla vasta rete di relazioni intrattenute da Patroni Griffi“. All’esterno quell’amicizia così stretta “certamente poteva suscitare l’idea di un rapporto intimo” ed “è il loro apparire che Amara ha usato per dirsi certo che i due fossero amanti, ma tale dichiarazione è stata smentita dalla prova documentale rappresentata dai messaggi intercorsi fra i due“.
Per i pubblici ministeri della Procura di Roma “le dichiarazioni di Amara e Calafiore sul punto, appaiono meritevoli di forti perplessità, se non proprio di risultare artefatte“. Ed a indurli in errore non possono essere state le menzogne della Giraldi che “non aveva alcun interesse a inimicarsi una persona che le aveva mostrato affetto e dalla quale si attendeva certamente un ritorno“. Per i magistrati romani “le dichiarazioni di Amara non reggono il vaglio di attendibilità” in particolar modo perchè “contraddicono quelle rese nell’interrogatorio reso ai pubblici ministeri” nel 2018.
Prima di richiedere l’archiviazione del procedimento avviato nei confronti di Patroni Griffi, i magistrati della Procura di Roma hanno concentrato la propria massima attenzione investigativa sul rapporto intercorrente fra la Giraldi ed il presidente del Consiglio di Stato. “prescindendo dall’inverosimile di quest’ultima (la quale ha ridotto la conoscenza a pochi incontri casuali)” scrivono i pm nella loro richiesta di archiviazione “e dalle dichiarazioni di Patroni Griffi volte a minimizzare l’intensità del suo interesse, si ha vivida consistenza del rapporto dall’esame della memoria del telefono della donna“.
Il presidente del Consiglio di Stato dal novembre 2015, come ricostruito dai pm romani, e per tutto il 2016 “ha manifestato un persistente interesse sentimentale per la Giraldi con la quale ha intrattenuto un’intensa corrispondenza, quasi giornaliera, di pensiero/messaggi e un’abituale e varia commensalità e frequentazione pubblica“. Patroni Griffi in sede di interrogatorio ha confermato di aver presentato la Giraldi a Centofanti. Secondo la Procura di Roma non vi è prova che Amara ed il presidente Patroni Griffi si conoscessero o avessero avuto un rapporto che rendesse plausibile la ruvida interlocuzione al ristorante. L’avvocato-faccendiere Amara ed il suo “sodale” Calafiore, sempre secondo la Procura di Roma, sarebbero addirittura arrivati a precostituirsi delle prove false “per superare tale evidente incoerenza“.
Infatti i due faccendieri avevano addirittura consegnato un video in cui si vede Calafiore dentro un locale pubblico avvicinarsi a Patroni Griffi per salutarlo, filmato che non ha convinto però i magistrati della Procura di Roma per i quali “Gli atteggiamenti documentati dal filmato non indicano alcuna particolare confidenza che Patroni Griffi conceda al suo improvvisato interlocutore, la cui invadenza egli appare subire, tanto da restare seduto, non presentare la propria compagna e limitarsi a non rifiutare una stretta di mano“. Per i pm romani “l’iniziativa di Calafiore è suggestiva di aver preparato una prova da usare contro Patroni Griffi“. In poche parole altro non si trattava che di un maldestro e mal riuscito tranello contro il presidente del Consiglio di Stato.
Circostanze che hanno indotto la Procura ed il Gip del Tribunale di Roma ad archiviare il procedimento. Un comportamento ed una decisione sicuramente più professionali, approfondite e serie rispetto all’operato dei magistrati di Potenza, dove da mesi si da invece credibilità alle dichiarazioni, che definire fantasiose è un’offesa alla fantasia, di Amara e Calafiore, che sembrano ormai dei circensi in giro per l’Italia a diffondere falsità e calunnie si misura, strumentali ai loro interessi ed alle loro situazioni processuali.
Dalla lettura degli atti nelle mani dei difensori degli indagati della Procura di Potenza, si evince la volontà dei magistrati inquirenti persino di “suggerire” le affermazioni a verbale agli indagati, nel tentativo di utilizzarle poi strumentalmente per i propri teoremi processuali. Comportamenti questi che si evincono anche dal continuo ostacolare il corso della giustizia, ed i diritti delle difese, con una valanga di “omissis” ingiustificati, il mancato deposito delle intercettazioni (che hanno causato proprio ieri l’ennesimo rinvio processuale) che già a sua volta era stato rinviato al 29 novembre su eccezioni della difesa del prof. Laghi in quanto ancora una volta mancava il deposito da parte della Procura di Potenza degli atti necessari ai difensori per difendere al meglio i propri assistiti. Un foro giudiziario quello di Potenza che sembra essere diventato il “porto delle menzogne” e non “delle nebbie” come tanti anni fa veniva appellato il Tribunale di Roma.
Senza dimenticare l’incombenza di qualche “ventriloquo” sotto mentite spoglie di giornalista, “pilotato” o meglio, “gestito” a distanza, che senza aver mai messo piede negli uffici giudiziari di Potenza, pubblica sui soliti giornali al servizio permanente effettivo delle procure amplificando delle autentiche “follie” giudiziarie e distilla teoremi per i quali nei loro confronti sono partite non poche denunce per diffamazione.
A Potenza i magistrati della locale procura hanno inoltre dimenticato qualcosa e cioè che finora l’ avv. Giuseppe Calafiore ha patteggiato una condanna a 11 mesi a Messina in continuazione con i 2 anni e 9 mesi già concordati con la Procura di Roma . Il patteggiamento a Messina dell’avvocato Calafiore è stato annullato e tornerà dinnanzi al Tribunale di Messina per un nuovo processo (o un nuovo accordo con la Procura) nell’ambito del “Sistema Siracusa”. La Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso della Procura generale di Messina annullando la definizione della posizione di Calafiore che, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, aveva ottenuto a novembre la pena concordata di undici mesi di reclusione, in continuazione con la condanna a due anni e nove mesi inflitta a febbraio del 2019 dal Gup del Tribunale di Roma.
Piero Amara a sua volte ha patteggiato 3 anni a Roma 1 anno e due mesi di reclusione e 89 mila euro di multa a Messina ed attualmente è detenuto nel carcere di Orvieto per scontare una pena residua di 3 anni e 10 mesi di reclusione. Amara, ex avvocato esterno dell’Eni, al centro di una complicata rete composta da depistaggi, ricatti e tangenti, è stato già condannato per corruzione in atti giudiziari e protagonista del caso dei verbali in cui parla di una presunta loggia chiamata Ungheria, è peraltro nuovamente indagato. La Procura di Milano, infatti, ha aperto un fascicolo per comprendere se questi abbia calunniato, insieme all’avvocato Giuseppe Calafiore, il magistrato Marco Mancinetti, ex componente del Csm, additato dallo stesso Amara nel novero degli affiliati a Ungheria.
Il fascicolo nasce dalle indagini di Perugia che, dopo aver archiviato Mancinetti dall’accusa di istigazione alla corruzione (e inviato l’archiviazione al Csm per i profili disciplinari), ha invitato i colleghi milanesi a comprendere come e perché sia stata “costruita” e “offerta” l’accusa di corruzione nei riguardi del magistrato. Lo scorso 4 maggio il Procuratore capo Raffaele Cantone ed i Sostituti Gemma Miliani e Mario Formisano della Procura di Perugia ha chiuso le indagini e contestato all’avvocato Piero Amara i reati di “concorso in millantato credito” e “traffico di influenze illecite”. La Procura contesta all’avvocato la consegna, insieme all’altro legale Giuseppe Calafiore, di 30mila euro all’ex funzionario dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (Aisi) Loreto Francesco Sarcina come presunto prezzo della mediazione illecita dell’ex agente dei Servizi vero pubblici ufficiali.
Se questi sarebbero i testi “eccellenti” della Procura di Potenza nei processi contro Capristo e Laghi allora è proprio il caso di dire: “Povera giustizia….!”