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23 Novembre 2024 03:08

Sequestro beni nei confronti di Antonio Piromalli

Le indagini patrimoniali svolte hanno disvelato, allo stato degli atti e salve le successive valutazioni fino al passaggio in giudicato della sentenza, il controllo esercitato dalla cosca Piromalli di parte della filiera commerciale agricola reggina, condizionata tramite un consorzio colpito dal provvedimento ablativo, attraverso il quale ingenti quantitativi di agrumi venivano inviati verso il mercato ortofrutticolo di Milano per la successiva vendita.

I Carabinieri del R.O.S. coadiuvati da quelli dei Comandi Provinciali di Reggio Calabria e Milano, hanno dato esecuzione ad un Decreto di Sequestro beni emesso dal Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione – di Reggio Calabria su proposta della Direzione Distrettuale Antimafia della Repubblica di Reggio Calabria nei confronti di Antonio Piromalli cl.’72  figlio del patriarca Pino detto “Facciazza” . L’attività condotta dal R.O.S. è originata dagli esiti dell’operazione “PROVVIDENZA” coordinata dal pm Roberto Di Palma, conclusa nel 2017 ed a seguito della quale Piromalli ha riportato una condanna in appello a 19 anni e 4 mesi di reclusione (per la quale è ricorrente in Cassazione) in quanto ritenuto responsabile di associazione mafiosa, riciclaggio, intestazione fittizia di beni e truffa aggravata.

Antonio Piromalli

Una consorteria quella dei Piromalli che gode del supporto delle donne che hanno un ruolo centrale nella filiera comunicativa tra Antonio Piromalli e il patriarca “Facciazza” che, sebbene detenuto al 41 bis, non ha mai rinunciato ad esercitate il proprio comando e ad influenzare e coordinare l’agire del figlio. Nell’inchiesta, infatti, sono coinvolte la moglie e le figlie del boss che curavano in particolare l’aggiornamento di Pino Piromalli sulle vicende di principale interesse e garantendo l’efficacia delle comunicazioni padre-figlio. Gli arrestati per comunicare utilizzavano i pizzini e un linguaggio criptico che consentiva a “Facciazza” di impartire ordini agli affiliati e al figlio Antonio nonostante il carcere duro a cui è sottoposto da circa 20 anni.

Le indagini patrimoniali svolte hanno disvelato, allo stato degli atti e salve le successive valutazioni fino al passaggio in giudicato della sentenza, il controllo esercitato dalla cosca Piromalli di parte della filiera commerciale agricola reggina, condizionata tramite un consorzio colpito dal provvedimento ablativo, attraverso il quale ingenti quantitativi di agrumi venivano inviati verso il mercato ortofrutticolo di Milano per la successiva vendita.

Analogamente veniva confermata, sempre allo stato degli atti, l’operatività della cosca Piromalli all’interno del mercato ortofrutticolo di Milano dove è stata censita la riconducibilità all’organizzazione mafiosa di un’impresa (parimenti sottoposta a sequestro) che gestisce un posteggio di rivendita all’ingrosso di frutta e verdura.

Tale impresa, da quanto emerso dalle risultanze investigative e processuali veniva, inoltre, impiegata da Antonio Piromalli , a prezzi e condizioni da lui stesso decisi, per commercializzare una partita di agrumi di scarsa qualità che non era stata accettata da nuovi clienti dell’Est Europa. Nell’hinterland milanese è stata inoltre individuata un’impresa di import-export formalmente di proprietà di una società la “Global Freight Service inc.” con 10 dipendenti ed un fatturato di alcuni milioni di dollari, avente sede negli Stati Uniti d’America e risultata invece riconducibile direttamente sempre al Piromalli.

Quest’ultima impresa, la cui branch italiana è stata colpita dal decreto di sequestro, era stata in particolare utilizzata, insieme ad altre società operative nel territorio statunitense, per perpetrare una frode alimentare in danno di società americane che operano nel settore della grande distribuzione, attività illecita questa che avrebbe permesso alla cosca, secondo le risultanze allo stato degli accertamenti a fondamento del provvedimento in esecuzione, di realizzare un guadagno complessivo compreso tra i 1,5 ed i 2 milioni di euro.

Le società del gruppo operative negli Stati Uniti, infatti, avevano acquistato – tramite l’intermediazione fornita da Antonio Piromalli ed il supporto logistico prestato dalla impresa oggetto del sequestro – diversi container, spediti dal porto di Gioia Tauro, contenenti una miscela di olio di sansa d’oliva che era stata poi rivenduta negli Stati Uniti ad operatori rilevanti della grande distribuzione come olio extra-vergine d’oliva.

Per aumentare l’operatività del sistema, Piromalli era inoltre intervenuto personalmente nell’affare illecito immettendo fondi di origine ignota che consentivano, così, l’acquisto di ulteriori partite di olio di sansa dall’Italia, da rivendere sempre negli Stati Uniti come pregiato olio extra-vergine. I beni sequestrati, che hanno un valore complessivo pari a circa 1.000.000 di euro, sono localizzati nelle province di Reggio Calabria e Milano e sono costituiti da 3 complessi aziendali e varie disponibilità finanziarie.

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