di Gian Domenico Caiazza
Presidente UCPI – Unione Camere Penali Italiane
Fa notizia che un avvocato risulti indagato, in quel di Potenza, per avere osato chiedere il rinvio di una udienza in quanto malato, come da allegato certificato medico. Sull’abbrivio di questa notizia, il giorno dopo ne salta fuori un’altra: a Brescia il difensore chiede un rinvio perché gli è morta la madre, e il Tribunale manda i Carabinieri a verificare se la signora sia davvero nella bara. Chi dovesse stupirsi di simili notizie, sappia che si tratta invece di comportamenti abituali nelle aule di giustizia. Intorno alle ragioni di impedimento del difensore vige da anni, in ogni parte di Italia, una diffusa presunzione falsità, o almeno di insidiosa pretestuosità. Forse è un riflesso legato alle antiche conseguenze di tali richieste di rinvio delle udienze, quando cioè ancora esse determinavano il proficuo maturare della prescrizione del reato contestato all’imputato.
Ma non è più così sin dal 2005, quando l’art. 159 del Codice penale fu modificato prevedendo, tra le cause di sospensione del corso della prescrizione, i rinvii del processo determinati “per ragione di impedimento delle parti e dei difensori, ovvero su richiesta dell’imputato e del suo difensore” Ma come! direte voi: e tutta quella storia raccontata, ancora oggi, dai pifferai del populismo giustizialista, secondo la quale gli avvocati, soprattutto quelli di imputati ben paganti, inventano mille diavolerie per far maturare la prescrizione? Beh, peggio per voi che vi bevete le balle di Travaglio e compagnia.
Ma torniamo a noi. Sarà per questo, o per la radicata idea manzoniana dell’azzeccagarbugli, sta di fatto che di regola il giudice pensa che il difensore stia ordendo un inganno, sicché sono all’ordine del giorno poco edificanti storie come quelle di Potenza e Brescia. Il difensore è, di default, un sabotatore del processo, un potenziale intralcio al sereno corso della giustizia: questa è l’idea dell’avvocato assolutamente prevalente nel nostro Paese. Ma la cosa che pochi sanno è che in Italia tra le cause più diffuse del rinvio, e dunque della lentezza dei processi vi è l’impedimento del giudice, non quello del difensore. Dalla indagine statistica dell’Istituto Eurispes, commissionata dalle Camere Penali Italiane e riferite all’anno 2019, risulta che i rinvii dovuti alla “assenza del giudice titolare” sono il 3,3%; cui devono aggiungersi i rinvii dovuti a “precarietà del collegio” (0,3%), per assenza del P.M. titolare (0,2%), per un totale del 3,8%; contro il 2,1% dei rinvii per impedimento del difensore.
Con l’aggravante che questi ultimi, come si è detto, fermano il decorso dei termini di prescrizione, mentre i rinvii dovuti ad assenza di Giudici e PM no. Ovviamente nessuno sindaca le ragioni degli impedimenti dei giudici, che devono ritenersi giustificati e legittimi ex se, tanto quanto sono sospetti di strategie fraudolente quelli degli avvocati.Il quadro, poi, si è oggi ulteriormente aggravato, da quando i giudici medesimi hanno in via interpretativa scardinato la sacrosanta regola processuale che impone la ripetizione della istruttoria dibattimentale se in corso di processo cambia il giudice. Con una sentenza emblematica del potere del tutto fuori controllo che i giudici italiani si sono assegnati nell’interpretare le norme anche contro la evidenza della loro testualità, le sezioni unite hanno sancito di fatto l’abrogazione di quel principio, dando così corpo ad una antica loro ossessione che il legislatore non aveva voluto recepire. Il risultato è che ormai assistiamo ad un bailamme di giudici che cambiano in corso di causa ad ogni piè sospinto.
La motivazione formale starebbe nella tutela della ragionevole durata del processo, ma la sostanza è ben altra, ed è a tutto tondo di autoprotezione corporativa. Infatti, basterà chiedersi: ma perché il giudice cambia in corso di causa? La risposta è ovvia: cambia per ragioni di carriera. Vuole cambiare funzione, o Foro, o anche semplicemente sezione, e questo è del tutto legittimo; ma vuole poterlo fare senza vincoli ed intralci, e questo lo è molto meno. Questo profilo della questione non è minimamente indagato dalle severe Sezioni Unite.
Il problema delle conseguenze del cambio del giudice -che pregiudica il sacrosanto diritto dell’imputato ad essere giudicato dal medesimo giudice che ha assunto la prova – è stato dunque affrontato del tutto a prescindere da una indagine sulle cause di quel cambio. Non sia mai che si metta il naso nelle carriere del giudice. Non sia mai che si pretenda che questi attenda almeno di esaurire il ruolo delle proprie udienze prima di trasferirsi. State alla larga dai fatti nostri. Intanto, andiamo ad indagare sul certificato dell’avvocato di Potenza, o sulla effettiva dipartita della mamma di quell’avvocato di Brescia. Giusto, no?