A disposizione oltre un milione di metri quadri per accogliere merci senza l’applicazione di imposte indirette come l’Iva o le accise, che in definitiva non pagano dazi . In pratica le merci in transito dal porto di Taranto pur potendo essere lavorate, trasformate non vengono sdoganate e quindi sono esportate su altri mercati extra UE, cioè che non siano paesi e mercati europei . In tal quel caso le imposte vanno pagate. Il porto di Taranto ha inaugurato oggi la prima zona franca doganale del nostro Paese che diventa ” offshore” , sulla scia del porto di Trieste in cui viene applicata una particolare disciplina conseguente agli accordi successivi alla seconda guerra mondiale.
La parola magica per capire questa potenziale rivoluzione alle porte è “piattaforma”. Una sede per la raccolta e smistamento merci per l’Europa continentale e le Americhe, assumendo un nuovo ruolo strategico , dato che sinora la parte degli “antesignani” è stata recitata dalle città di Amburgo (Germania) e Rotterdam (Olanda) , location in apparenza penalizzate dalla loro posizione geografica eppure diventate fra le più apprezzate ed utilizzate sedi della logistica mondiali. Non è quindi un caso che sia stata proprio Taranto a proporsi per prima, grazie sopratutto alle pressioni (ma anche i disagi e danni sinora subiti) dei suoi soci investitori di maggioranza che hanno in concessione dall’autorità portuale da ormai dieci anni il locale terminal, che chiaramente non sono italiani. Gli investitori di riferimento e maggioranza del porto di Taranto sono la società taiwanese Evergreen e quella cinese di Hutchinson e conseguentemente indirettamente anche la società Psa di Singapore a seguito dell’avvenuta fusione societaria avvenuta con l’azienda di Hong Kong, a seguito della quale è sorto il più grande operatore di porta-container al mondo.
A 20 anni dall’entrata in vigore del regolamento comunitario che consente una sospensione fiscale nelle attività di import/export è stata Taranto, la città in cui ha sede il più importante stabilimento siderurgico d’Europa, il primo porto del genere. “Uno strumento formidabile – spiega Massimo Fabio, partner di Kmpg ed esperto di diritto doganale – perché significa poter attrarre merci ed investimenti esteri finora impensabili». La richiesta dell’attivazione di zona franca è stata presentata circa un anno fa dall’Autorità Portuale di Taranto e ha avuto il recente via libera da parte dell’Agenzia delle Dogane. Uno schema potenzialmente “clonabile” anche dagli interporti, quindi persino da operatori privati basta che abbiano grandi spazi a disposizione e raggiungano una certa soglia di fatturato.
Massimo Fabio, di Kmpg spiega che queste piattaforme “offshore” potrebbero costituire degli strumenti interessanti anche per i distretti del pronto-moda, come quello di Prato, del Triveneto e delle Marche che potrebbero vedere abbassarsi il costo sociale della delocalizzazione manifatturiera, grazie ad un particolare regime di fiscalità privilegiata sperimentato con successo anche dai governi di Croazia e Bulgaria. Tutto ciò perchè potenzierebbe l’indotto dei servizi di facchinaggio, cioè posti di lavoro. Gli stessi posti che sono a rischio proprio nel porto di Taranto in conseguenza degli enormi incomprensibili ritardi di adeguamento delle infrastrutture che recentemente hanno indotto gli azionisti di Evergreen ad un’azione clamorosa da parte , scrivendo qualche giorno fa sul loro sito aziendale «Nessuna linea oceanica farà più scalo a Taranto» protestando per i mancati lavori di adeguamento delle banchine e dei fondali, fermi per alcune decisioni della magistratura amministrativa a seguito di ricorsi e contro-ricorsi delle aziende in gara per la realizzazione delle opere. E stiamo parlando di una linea di traffico che raggiunge i porti di Vancouver, Tokyo, Shanghai, Hong Kong, Colombo, Alexandria ed attracca a Taranto trasportando sulle loro navi tonnellate di prodotti. Basterà quest’ estremo tentativo di “zona franca” per convincerli a un ripensamento ? La città e chi lavora nel porto lo spera. Anche noi.
Nel frattempo è scontro tra l’Autorità portuale di Taranto e la società Tct – Taranto Container Terminal nello stesso momento in cui è partita una nuova protesta dei lavoratori che hanno effettuato un presidio davanti alla sede dell’Authority la quale, preoccupata dello stop operativo annunciato da Tct e dalla compagnia Evergreen conseguentemente ai lavori, pretende che la stessa Taranto Container Terminal consenta una minima movimentazione di container anche durante il periodo di cantiere presentando una proposta “blindata” con una serie di condizioni. La Tct ha risposto con fermezza contestando all’ Authority i ritardi e inadempienze sul mancato adeguamento dell’infrastruttura, affermando che allo stato attuale in cui versa il terminal container non offre le condizioni funzionali richieste dal mercato e dalla concorrenza nella portualità, soprattutto nell’area del Mediterraneo. Adesso si vuole tentare con una mediazione tra Prefettura di Taranto e presidenza del Consiglio – che già in passato si è occupata del terminal – di mediare il conflitto e trovare una via d’uscita.
Tutto è partito nei giorni scorsi, quando Tct ha annunciato che, essendo prossimo l’avvio dell’intervento alla banchina, nel giro di un mese e mezzo avrebbe fermato il terminal, attivo tra alti e bassi (più i secondi che i primi) dal 2001. Contestualmente Evergreen – che con Hutchinson è azionista della stessa Tct – ha reso noto che da questa settimana il porto di Taranto esce dalle rotte oceaniche della compagnia perchè la compagnia adesso ha navi nuove il cui attracco richiede fondali più profondi che Taranto non ha (è previsto il loro dragaggio per portali a 16,50 metri). È così scattata una prima protesta dei sindacati che hanno indetto lo stato di agitazione del personale di Tct, poi sospeso perchè nel comitato portuale le parti hanno avanzato una proposta alla società del terminal. Oltre alla garanzia del mantenimento operativo, il comitato ha chiesto anche il ritorno del traffico a Taranto non appena le condizioni saranno migliorate.