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22 Novembre 2024 06:02

Alcune considerazioni sui 5 carabinieri sott’inchiesta per il “caso Cucchi”

“La legge è uguale per tutti“ anche se indossano e disonorano una divisa amata e rispettabile come quella dei Carabinieri .
nella foto, Ilaria Cucchi
nella foto, Ilaria Cucchi

di Antonello de Gennaro

Volevo farmi del male – scriveva Ilaria Cucchi ieri su Facebook  – volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo. Le facce di coloro che lo hanno ucciso. Ora questa foto è stata tolta dalla pagina. Si vergogna? Fa bene” aggiungeva nello stesso post, pubblicando la foto, tra gli scogli e in costume da bagno, di uno dei cinque carabinieri della Stazione Appia di Roma, indagati nell’inchiesta bis avviata dalla procura sulle lesioni subite dal ragazzo che avrebbero provocato il suo decesso.

Il carabiniere però attraverso il suo legale fa sapere che denuncerà Ilariaper le sue affermazioni e per le numerose gravissime minacce ed ingiurie che sono state rivolte a lui e ai suoi familiari a seguito e a causa della signora Cucchi“. Tra i commenti arrivati sul social network ci sono infatti insulti pesanti. In molti, la stragrande maggioranza si schierano con la Cucchi, ma c’è anche chi critica però la decisione di svelare l’identità del carabiniere e chi le manifesta totale sostegno anche in questa scelta.

Nella società dell’immagine, della privacy violata dalle multinazionali del web, senza che le varie autorità garanti (privacy, comunicazioni) intervengano, dove la gente si mostra in qualsiasi posa ed in qualsiasi momento della propria giornata e talvolta anche intimità, nel  vano triste tentativo di dare così facendo un senso alla propria reale vita anonima, sperando di  raggiungere un’improbabile collocazione sociale, il concetto di “privacy” ha sicuramente subito qualche decisa variazione sul reale significato della parola così come del concetto di riservatezza.

Se tu stesso non rispetti la tua privacy, mostrandoti come meglio credi su un social network, quelle immagini diventano di libero utilizzo del social network (Facebook) come riportano i regolamenti di iscrizione e registrazione, in realtà di fatto restano pubbliche per tua volontà . Non è quindi strano comprendere ed accettare senza riserve la decisione di Ilaria Cucchi di postare un’immagine di Francesco Tedesco uno dei cinque carabinieri indagati nel nuovo processo a carico dei cinque militari. Non si tratta quindi di una foto “privata”, ancorché lo ritragga in costume da bagno, perché quella era la foto che il maresciallo aveva scelto come sua “immagine” per il suo profilo Facebook. L’aveva preferita a quella più adatta e tradizionale, cioè in divisa, per delle ragioni facilmente immaginabili. Un struttura fisica palestrato, esibita con soddisfazione.

CdG cc francesco tedesco

Quella fotografia era immediatamente scomparsa dal profilo del carabiniere soltanto dopo che il suo nome era apparso sui giornali nella lista degli indagati per la morte di Stefano Cucchi in seguito a “un violentissimo pestaggio”. Di cosa si vergognava il carabiniere per rimuoverla ? Oggi sono diversi i giornalisti, che peraltro conosciamo e stimiamo personalmente come Carlo Bonini de La Repubblica e come  Guido Ruotolo de La Stampa che criticano la decisione di Ilaria di pubblicare la foto del carabiniere.

Scrive Bonini sul quotidiano romano: “La famiglia Cucchi merita il rispetto del Paese. E alla famiglia Cucchi, da sei anni, è ancora dovuto l’unico risarcimento possibile da parte di uno Stato che si voglia e non si dica soltanto di diritto. L’accertamento delle responsabilità di chi uccise Stefano. Per questo motivo, la scelta di Ilaria Cucchi di postare sul proprio profilo Facebook la foto di uno dei carabinieri accusati nella nuova inchiesta della Procura di Roma della morte del fratello è stato un errore. Perché è il cedimento umano, ma esiziale, a quella forma di violenza intollerabile e contagiosa come la peste che consegna un individuo ad un processo sommario. La stessa di cui Stefano è stato vittima da vivo e continua ad esserlo da morto.

Schermata 2016-01-05 alle 21.51.09Guido Ruotolo si affida ad un commento sulla sua pagina Facebook, scrivendo : “Non ho apprezzato la sorella Cucchi e la foto su Facebook. Che siano i giudici a giudicare. La pratica della berlina (anche se oggi è sul web) è antica. Medioevale. E poi è offensivo parlare di omicidi di Stato. E chi lo sostiene è solo in malafede

Mi chiedo dove fosse questo bravi ed autorevole collega in questi sei anni quando la famiglia Cucchi veniva attaccata e vilipesa, con tanto di foto in ogni dove, e un gruppo di “uomini in divisa” accusati dalla magistratura di aver pestato un prigioniero fino a farlo morire?  Non ricordo di aver letto nulla. In molti dimenticano l’intercettazione agli atti, ormai famosa tra altri due dei cinque indagati, e commentano a sproposito  come i soliti “difensori d’ufficio” come Gasparri e Larussa che li definiscono “servitori dello Stato” con un’ evidente mancanza di rispetto verso le  leggi di questo stesso Stato. “Se ci cacciano, vado a fare le rapine agli orafi, quelli che portano a vedere i gioielli nelle gioiellerie” dicevano fra di loro i militari intercettati.

Ha fatto bene, a mio parere, Ilaria Cucchi, sempre nella serata di domenica, a decidere di rompere il silenzio, dimostrando ancora una volta un gran coraggio : “Sto ricevendo numerose telefonate anche di giornalisti su questa fotografia. La prima domanda che mi pongo è: se fosse stato un comune mortale, cioè non una persona in divisa, non ci si sarebbe posto alcun problema. La cronaca nera e piena di ‘mostri’ rei o presunti tali di efferati ed orrendi   delitti sbattuti in prima pagina.  Sto passando le mie giornate ascoltando quelle intercettazioni. Leggo sul sito del Fatto Quotidiano le infamanti ricostruzioni del mar. Mandolini che si permette di offendere me e la mia famiglia raccontando le sue presunte verità dopo aver taciuto per sei anni e dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere di fronte ai pubblici ministeri.”

“Non sono ipocrita. Questa foto – continua  Ilaria non è uno scatto rubato in violazione della privacy del soggetto ritratto ma è stata addirittura postata dallo stesso sui social network. Questa foto io non l’avrei mai pubblicata ma l’ho fatto solo perché la ritengo e la vedo perfettamente coerente col contenuto dei dialoghi intercettati e con gli atteggiamenti tenuti fino ad oggi dai protagonisti. Per sei anni si è fatto il processo a Stefano e a noi membri della sua famiglia.  Il mar. Mandolini incurante di quanto riferito sotto giuramento ai giudici sei anni fa e non curandosi nemmeno della incoerente scelta di non rispondere ai magistrati ha avviato un nuovo processo a Stefano e a noi, che abilmente sarà di una violenza direttamente proporzionale alla quantità di prove raccolte contro di loro dai magistrati. E quindi io credo che non mi debba sentire in imbarazzo se diventeranno pubblici anche i volti e le personalità di coloro che non solo hanno pestato Stefano ma pare se ne siamo addirittura vantati ed abbiamo addirittura detto di essersi divertiti”

“Di fronte al possibile imbarazzo che qualcuno possa provare – aggiunge la Cucchi – pensando che persone come queste possano ancora indossare la prestigiosa divisa dell’arma dei carabinieri io rispondo che sono assolutamente d’accordo e condivido assolutamente questo imbarazzo. Ma non è un problema o una responsabilità di Stefano Cucchi o della sua famiglia. Non è stata una scelta di Stefano Cucchi quella di subire un ‘violentissimo pestaggio’, come lo hanno definito i magistrati, per poi morirne. Non è stata una scelta della famiglia Cucchi quella di essere processata insieme al loro caro per sei anni. Quella di avere invece pestato Stefano è stata una scelta degli autori del pestaggioQuella di nascondere questo pestaggio e di lasciare che venissero processato altri al loro posto è stata una scelta di altri. Così come quella di farsi fotografare in quelle condizioni e di pubblicarla sulla propria pagina Facebook è stata una scelta del soggetto ritratto.  Io credo  – conclude Ilaria Cucchi – che sia ora che ciascuno sia chiamato ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Accollandosene anche le conseguenze. E il fatto che questo qualcuno indossi una divisa lo considero un aggravante non certo un attenuante o tantomeno una giustificazione.

CdG ilaria_stefano cucchi

E’ l’ennesima polemica sul “caso Cucchi”. Pochi giorni fa era emerso l’audio di un’intercettazione telefonica contenuta negli atti dell’inchiesta bis in cui l’ex moglie di Raffaele D’Alessandro, un altro dei cinque militari indagati, lo accusava: “Poco alla volta arriveranno a te… Hai raccontato a tanta gente quello che hai fatto. Hai raccontato che vi siete divertiti a picchiare quel drogato di m… “. E poi l’esplicita volontà di cercare di ottenere la sospensione della pena perché la prospettiva, quasi una certezza, è quella di prendere  “5 anni” in primo grado. C’è infine anche l’ipotesi di fare un libro “così facciamo due soldi”; scriviamo “la vera storia… facciamo il primo capitolo e lo portiamo a Mondadori”.

A parlare sono i Carabinieri finiti nel mirino della Procura per la morte di Stefano Cucchi, fermato il 15 ottobre 2009 e morto dopo una settimana all’ospedale Pertini dopo “un pestaggio violentissimo”. Sono loro i protagonisti dell’inchiesta bis sulle violenze subite dal 31enne che era in custodia delle forze dell’ordine. Sono di questi uomini, ancora in divisa, le voci intercettate dagli uomini della Squadra Mobile di Roma sull’auto di servizio. Questa e altre conversazioni sono agli atti della nuova inchiesta partita solo qualche mese fa e che progredisce giorno dopo giorno. Subito dopo la pubblicazione dell’audio, sempre Ilaria, in una intervista a “Repubblica“, si era chiesta: “Perché chi ha pestato mio fratello è ancora nell’Arma?”. Come si fa non darle ragione ?

CdG Stefano Cucchi
nella foto, Stefano Cucchi

L’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi è nata dopo un esposto presentato dalla sua famiglia e alla luce di quanto scritto nelle motivazioni della sentenza dai giudici d’appello. I magistrati di secondo grado avevano, infatti, scritto che l’uomo “fu sottoposto ad una azione di percosse e “non può essere definita una ‘astratta congettura’ l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”. Nel nuovo fascicolo sono state poi depositate le testimonianze – raccolte dall’avvocato dei Cucchi di due militari dell’Arma dei Carabinieri che dopo le assoluzioni hanno deciso di collaborare con la Procura nell’indagine avviata dal procuratore capo  Giuseppe Pignatone e dal sostituto Giovanni Musarò, in cui sono indagati cinque militari della stazione Appia: si tratta di Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco (tutti indagati per lesioni personali aggravate e abuso d’autorità), nonché di Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini (per falsa testimonianza e, il solo Nicolardi anche di false informazioni al pubblico ministero). In particolare, ai primi tre si contesta, dopo avere proceduto all’arresto di Cucchi per detenzione di droga e dopo aver eseguito una perquisizione domiciliare “spingendolo e colpendolo con schiaffi e calci, facendolo violentemente cadere in terra“, di avergli cagionato “lesioni personali, con frattura della quarta vertebra sacrale e della terza vertebra lombare”.

Oggi stiamo assistendo ad un ennesimo capovolgimento delle parti, in quanto Ilaria Cucchi rischia di dover difendere se stessa e la sua famiglia in un eventuale Tribunale (proprio loro che in tribunale vanno chiedendo giustizia per Stefano, da sei anni) dall’annunciata querela per diffamazione dell’uomo accusato dell’omicidio di suo fratello. Ha ragione Carlo Bonini quando scrive su La Repubblica che “È uno spettacolo avvilente. Che dimostra cosa accada quando uno Stato di diritto non è in grado di spiegare a una famiglia per quale motivo le ha ammanettato un figlio sano per riconsegnarlo cadavere

Bonini aggiunge: “L’Arma e il suo comandante generale Tullio Del Sette. Il 12 dicembre, il generale Del Sette ha usato parole di vicinanza per i Cucchi, di condanna per quanto accaduto, salvo dirsi preoccupato per la “possibile delegittimazione di migliaia di carabinieri“. Sarebbe stato più utile ( ed io sono d’accordo con il collega Bonini   – n.d.a.) e forse avrebbe fermato la mano di Ilaria – chiedere pubblicamente scusa (lo fece ad horas il Capo della Polizia Antonio Manganelli per Federico Aldrovandi e Gabriele Sandri, dimostrando di aver compreso la lezione del G8 di Genova). E non certo per anticipare o condizionare l’accertamento delle responsabilità da parte di un tribunale. Ma per le oscenità, le falsità e la consapevolezza dell’impunità documentate dalle intercettazioni a carico dei carabinieri oggi accusati dell’omicidio di Stefano”

“Sarebbe stato più utile – continua Bonini informare il Paese e la famiglia Cucchi se quei Carabinieri siano stati o meno sospesi dal servizio e per quali motivi il maresciallo Roberto Mandolini, dopo aver coperto i propri uomini e mentito in corte di assise inquinando la ricerca della verità, possa ancora oggi discettare sul proprio profilo Facebook su chi fosse Stefano Cucchi e cosa accadde la notte in cui cominciò a morire in una caserma dell’Arma“.

Sono d’accordo con Carlo Bonini quando sostiene che Facebooknon è e non deve diventare né un tribunale, né una gogna“. Così come sono d’accordo che “chi veste un’uniforme, una toga o un camice bianco non si nascondano dietro il post di una donna che chiede solo di sapere chi le ha portato via il fratello“. C’è da augurarsi che il pubblico ministero che deciderà sull’ignobile strumentale denuncia del maresciallo Mandorlini ( all’epoca dei fatti il vice comandante della Stazione Carabinieri di Tor Sapienza a Roma) ad Ilaria Cucchi, si ricordi cosa riporta la scritta che campeggia in tutti i Tribunali d’ Italia: “La legge è uguale per tutti“.

Anche se indossano e disonorano una divisa amata e rispettabile come quella dei Carabinieri .

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Grazie, Antonello de Gennaro

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