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22 Novembre 2024 01:29

Altro che non sapeva….ecco chi ha usato i soldi rubati da Bossi.

L’attuale leader della Lega ed il suo predecessore Bobo Maroni hanno utilizzato una parte dei 48 milioni di euro frutto della truffa orchestrata dal Senatur e dall’ex tesoriere. Lo dimostrano le carte del partito tra la fine del 2011 e il 2014 consultate un anno fa dal settimanale L'ESPRESSO. Ma la Lega ed il M5S hanno la memoria corta....

ROMA – Quando tutto iniziò cinque anni fa,  il “senatur” Umberto Bossi utilizzo un’immagine biblica per spiegare il suo intento e disse “Ho fatto come Salomone: non ho voluto tagliare a metà il bambino” mentre si apprestava a lasciare la guida del partito a Roberto Maroni. In quei giorni sulla stampa uscivano le prime rivelazioni giornalistiche sullo scandalo dei rimborsi elettorali leghisti, incassati “gonfiando” i bilanci mentre venivano usati per pagare le spese personali del “Senatur” e della sua famiglia, pagando la laurea comprata in Albania del figlio Renzo (detto “il Trota“) o le multe per gli eccessi del primogenito Riccardo noto per la sua arroganza.

Il significato utilizzato della metafora di Bossi era chiaro: invece di “spaccare” la Lega tra chi stava con lui e chi contro di lui, il Senatùr preferì lasciare pacificamente il potere al suo rivale storico. Dal quel giorno in avanti chi si è succeduto a Umberto Bossi, prima Maroni ed oggi Salvini, ha sempre cercato di differenziarsi, di creare delle nette separazioni tra il partito di Bossi e quello di oggi, al punto tale che nel 2017  in occasione del tradizionale raduno leghista di Pontida , non venne neanche concesso a Bossi il tradizionale discorso dal palco.

Il “nemico” erano diventati gli immigrati che presero il posto dei meridionali nel pensiero leghista , al posto del secessionismo arrivò il “nazionalismo” . Ed un nuovo marchio, “Noi con Salvini” costituito da punti di riferimento sparsi dal Centro al Sud, quasi sempre composto da personaggi della destra  come in Calabria, o da vecchi democristiani votati all’autonomia come in Sicilia. Nuovi volti (in realtà “riciclati”) e nuovi ideali sostenuti con forza,  parallelamente all’avanzare delle inchieste giudiziarie sui fondi elettorali della Lega.

Negli ultimi anni è cambiato molto all’interno della Lega, ma qualcosa che è rimasto invariato. E segreto. Mentre Roberto Maroni preferisce non parlarne, Matteo Salvini si defila e nega categoricamente. Insomma, gli eredi di Bossi  alla guida della Lega,  sostengono di non sapere nulla di che fine abbiano fatto quegli oltre 48 milioni, di cui si sono appropriati illegalmente Umberto Bossi ed il suo tesoriere Francesco Belsito. “Sono soldi che non ho mai visto“, sostiene e ripete come un disco incantato, l’attuale segretario federale commentando le decisioni concordi della Corte di  Cassazione e del Tribunale del Riesame di Genova, di sequestrare i conti correnti della Lega dopo la condanna per truffa inflitta a Bossi.

I documenti rintracciati dal settimanale L’Espresso dimostrano però che esiste un collegamento diretto tra la truffa firmata dal fondatore ed i suoi successori. Infatti, prima Maroni e poi Salvini tra la fine del 2011 e il 2014, hanno incassato ed utilizzato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore Umberto Bossi. E  tutto ciò accadeva quando ormai era chiaro a tutti che quei soldi rischiavano di essere sequestrati.

Matteo Salvini, Umberto Bossi e Roberto Maroni

Per capire i retroscena di questo “scandalo” leghista bisogna fare qualche passo indietro e tornare al 5 aprile 2012. Importante fissare e ricordare le date. Quel giorno, a poche ore dalla perquisizione della Guardia di Finanza nella sede della Lega di via Bellerio, a Milano, Bossi si dimetteva da segretario del partito. Fù la prima scossa di un terremoto che ha sconvolto tutti gli gli equilibri interni leghisti.

Un mese dopo interno alla  metà di maggio diversi quotidiani rivelarono  che ad essere indagato non era solo il tesoriere Francesco Belsito, ma anche il “Senatùr“. I magistrati ipotizzarono il reato di truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali.1 luglio 2012due mesi dopo, Roberto Maroni venne eletto nuovo segretario del partito,  e dopo quattro mesi, passa il 31 ottobre 2012, per la prima volta alla cassa della Lega. Lo certifica un documento inviato dalla ragioneria del Senato della Repubblica alla Procura di Genova:  quel giorno Maroni ricevette 1,8 milioni di euro cioè il rimborso elettorale che spettava alla Lega per le elezioni politiche del 2008, quelle che Berlusconi vinse contro Veltroni. Il primo bonifico di una lunga serie che arrivarono a Maroni provenienti dalla Camera dei Deputati.

Maroni alla fine dell’ anno 2013   al termine del suo mandato di segretario della Lega avrà così ricevuto bonifici per  12,9 milioni di euro. quali rimborsi relativi alle elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, cioè quando al vertice del partito c’era Bossi e a gestire la cassa era Belsito. Soldi  che erano il “frutto” della truffa ai danni dello Stato.

Ma cosa cambiò quando Salvini subentrò a Maroni? Nulla, solo le cifre. Matteo “il Capitano” venne  eletto segretario della Lega a metà dicembre del 2013 . Ad inchiesta sui rimborsi elettorali in corso, ed infatti a giugno 2014 arrivarono le prime richieste di rinvio a giudizio: i magistrati chiedevano il processo per Umberto Bossi. Un mese e mezzo dopo esattamente, il 31 luglio 2014 , Matteo Salvini incassa 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Come fa adesso il segretario della Lega ed attuale vice premier e ministro dell’ Interno a continuare a sostenere con sfacciataggine che quei soldi lui non li ha mai visti? Ma se li ha visti, ed utilizzati, come poteva non essere a conoscenza dato il suo ruolo ricoperto nella Lega che erano frutto di truffa?

Salvini e la Lega due mesi dopo aver incassato gli oltre 800 mila euro, sentendosi vittime di un imbroglio, di una truffa che ha infangato il vessillo padano, si costituirono parte civile contro i loro stessi compagni di partito. Vogliono essere risarciti. Quindi la nuova dirigenza che fa riferimento al leader Matteo Salvini era pienamente consapevole dell’origine illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile, e cioè  il 27 ottobre 2014, Salvini fece qualcosa che appare in netta contraddizione con quella azione legale: preleva altri soldi. La somma questa volta è più piccola, poco meno di 500 euro: l’ultima parte del rimborso per le elezioni regionali del 2010.

La sostanza in realtà non cambia. Si trattava di denari incassati grazie alla rendicontazione “gonfiata” firmata da Francesco Belsito. A quel punto è dichiaratamente convinto anche Salvini che, due giorni dopo l’ultimo prelievo effettuato, riceve persino una lettera dall’ avvocato Matteo Brigandì, lo  storico legale di Umberto Bossi . “Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato, si leggeva nella missiva con la quale la vecchia guardia “bossiana” lanciava un messaggio forte chiaro al nuovo gruppo dirigente, della serie:  “voi ci accusate di aver rubato quattrini, allora sappiate che i soldi che avete in cassa sono il profitto della truffa, e usarli vuol dire diventare complici del reato“.

Altro che che l’ideologia… tra la gestione della Lega di Bossi, l’interregno di Maroni e la presente “leadership” di Salvini, il “collante” era il denaro . Tre generazioni del partito dei “duri”,  della Padania,  coinvolte in una vicenda che tutti vorrebbero superare in fretta. Con una fretta tale da arrivare  persino a ritirare la costituzione di parte civile davanti al giudice. Infatti Salvini  soltanto un mese dopo essersi dichiarato “vittima” della truffa targata Bossi-Belsito, fa retromarcia. Praticamente come per dire: chiudiamo tutto quì, dimentichiamo il passato e guardiamo avanti. Una decisione sofferta e non condivisa da tutti .

Infatti nei primi mesi del 2014 all’interno della Lega,  c’era chi voleva mostrare pubblicamente la rottura col passato. Mentre, invece, aktri parteggiavano per la politica della rimozione. In questo contesto prende piede e si concretizza  l’accordo di “conciliazione”con l’avvocato di Bossi, grazie al quale la Lega rinunciava a costituirsi parte civile contro il “Senatur”. Ad una condizione: l’avvocato di fiducia di Bossi avrebbe dovuto rinunciare ad ogni pretesa di denaro che il partito gli doveva, cioè circa 6 milioni di euro. Ed a Umberto Bossi sarebbe stato riconosciuto un cospicuo vitalizio.

Tutto concluso, dunque? Figuriamoci !  Salvini e Maroni non rispettarono l’accordo e dettero mandato all’avvocato Domenico Aiello, legale del’ ex-governatore lombardo, di procedere con la costituzione di parte civile. Un vero voltafaccia, uno smacco pesante al suo vecchio amico e mentore Umberto Bossi, al quale di lì a poco arrivò un altro colpo di scena. A novembre durante l’udienza preliminare contro Bossi e Belsito , l’ avvocato Aiello ritirò l’atto di costituzione. Cioè la Lega non richiedeva più un risarcimento dei danni per la truffa.

Un’idea di Salvini, questa la motivazione ufficiale: “Non abbiamo né tempo né soldi per cercare di recuperare soldi che certa gente non ha“, disse l’europarlamentare appena eletto segretario della Lega. Una decisione che sorprese persino Roberto Maroni all’epoca dei fatti governatore della Regione Lombardia, che insieme ad Aiello aveva fatto tutto il possibile per richiedere i danni agli imputati leghisti.

La sensazione secondo chi il partito Lega lo frequenta da oltre venti anni è che si sia trattata di una ritirata “strategica”, per rimettere insieme le opposte fazioni del partito ed evitare rivelazioni scomode e pericolose. Soprattutto in relazione ai soldi lasciati in cassa da Umberto Bossi, cioè quelli finiti al centro delle inchieste di tre procure.

I bilanci della Lega parlano, meglio di qualsiasi dichiarazione politica spiegando cosa sia accaduto  in questi anni ai soldi dei “Lumbard”, o meglio i soldi di tutti i contribuenti italiani. Il primo dato che emerge è le cose andavano molto meglio, almeno dal punto di vista finanziario, quando al comando c’era Umberto Bossi. Infatti, con lui al vertice i bilanci degli ultimi anni si sono infatti chiusi sempre in attivo. Le cose cambiano quando nel 2012 subentra Maroni . La Lega per la prima volta chiude il bilancio con i conti in rosso, con una perdita di 10,7 milioni di euro. L’anno successivo, il 2013, il primo interamente firmato da Bobo Maroni, le cose vanno ancora peggio ed il bilancio chiude con una perdita di 14,4 milioni. effetto della diminuzione dei rimborsi elettorali e del drastico calo delle donazioni private, come si legge nei resoconti dei bialnci padani. Ma la causa non è solo questa.

I costi sostenuti dalla Lega aumentano nonostante diminuiscano i dipendenti. In maniera particolare alcune voci, come ad esempio indicata come “spese legali”, per le quali la Lega arriva a pagare tra il 2012 e il 2014 oltre 4,3 milioni di euro. Una somma cospicua, e peraltro senza neanche essersi costituiti parte civile nel processo contro Bossi e Belsito.

Ma com’è stato possibile aver uscito tutti quei soldi in spese legali? La lettura dei bilanci e documenti allegati non lo spiegano, ma un documento reperito dal settimanale L’Espresso aiutava a capire con più chiarezza come erano andate le cose. Lo documenta un contratto datato 18 aprile 2012. Due settimane prima Bossi si è dimesso e la Lega viene retta dal triumvirato Maroni-Dal Lago-Calderoli. Sono stati loro ad affidare la consulenza legale allo studio Ab di Domenico Aiello, già avvocato personale di Maroni ed in ottimi rapporti con Alfredo Robledo il magistrato milanese che stava seguendo l’inchiesta. Nel contratto si specifica che la consulenza riguarderà proprio i procedimenti penali che coinvolgono Bossi ed i rimborsi truccati. Si tratta delle indagini in corso a Milano, Napoli, Genova e Reggio Calabria, e ciascuna viene indicata con il relativo numero di fascicolo processuale.

Una consulenza legale molto ben pagata:  la tariffa per Aiello sarà di 450 euro all’ora, costo che lievita a oltre 650 euro quando si aggiungono – come da prassi – spese generali, contributi previdenziali e imposte. Niente male per l’avvocato calabrese che  Maroni qualche anno dopo piazzerà nel consiglio d’amministrazione di Expo, mentre sua moglie, Anna Tavano, finirà per un periodo a lavorare in Infrastrutture Lombarde, società controllata direttamente dalla Regione Puglia.

Va riconosciuto che l’ avvocato Aiello, così come sua moglie, hanno entrambi  un curriculum di tutto rispetto. Tra i suoi clienti più importanti, oltre a Roberto Maroni spicca l’ex presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Ma sopratutto ci sono gli incarichi negli organismi di vigilanza: Consip, Siemens, Conbipel, Veolia e la Banca Sparkasse di Bolzano. In quest’ultima banca il presidente del Consiglio di amministrazione si chiama Gerhard Brandstätter. Un brillante avvocato del Sudtirolo, che insieme a Domenico Aiello, nel 2011, ha fondato lo Studio Associato AB, lo stesso prescelto dalla Lega.

 Le camice verdi con Maroni segretario-traghettarore, aprirono anche un conto “easy business” e un conto deposito presso la banca altoatesina, depositando in totale qualche milione di euro, nel  periodo in cui si cercava di mettere al riparo il patrimonio del partito, non solo dalle “cordate” bossiane ma sopratutto anche dai giudici. E così prende piede l’idea, poi rimossa, di creare un trust in Sparkasse per “blindare” quasi 20 milioni.

I bilanci non confermano solo questo, in quanto spiegano anche perché oggi i conti del partito non quadrano e nascondono la strategia adottata per sfuggire al sequestro effettivo dei soldi. Nel 2015, quando il leader è Matteo Salvini, la solidità economica della Lega crolla in maniera esponenziale. Il patrimonio netto da 13,1 milioni dell’anno precedente scende a 6,7 milioni. La motivazione viene illustrato chiaramente nella relazione sulla gestione finanziaria: i soldi del partito sono stati trasferiti alle 13 sezioni locali,  dotatesi nel frattempo di codici fiscali autonomi.

Ad esempio  la sezione Lombardia, fino ad allora sprovvista di risorse finanziarie, due giorni prima di Natale diventa beneficiaria di una liquidità di 2,9 milioni di euro. depositati prevalentemente su conti correnti bancari e postali. quali l conseguenze? Al termine del 2016 la Lega aveva una disponibilità liquida di appena 165mila euro, mentre le sue 13 sezioni locali messe insieme registravano somme per 4,3 milioni. Questa nuova architettura finanziaria, non è bastata per impedire ai magistrati di sequestrare i fondi della Lega. Come ha dichiarato a suo tempo lo stesso Matteo Salvini,  non è stato bloccato il conto corrente della Lega nazionale, ma quelli delle sezioni locali.

Ma c’era ancora una questione da risolvere. Il tribunale del Riesame di Genova, in un primo momento aveva deciso di bloccare il sequestro. I giudici avevano annunciato di aver congelato poco meno di 2 milioni. Eppure, sui conti della Lega c’erano 4,3 milioni. All’appello mancavano quindi oltre 2 milioni. Possibile che la Lega li abbia spesi nel 2017 ?  O anche che siano stati trasferiti su altri conti ?  Tutto ciò era impossibile da verificare. Perché “Noi con Salvini”, il movimento creato quattro anni fa dal nuovo leader del Carroccio per conquistare il Centro-Sud, non ha mai pubblicato un bilancio.

Non sono pochi i dubbi e gli interrogativi sollevati dai rivali interni del leader leghista. Salvini potrà continuare a dire che a lui certe questioni “politichesi” non interessano e che preferisce parlare di immigrazione, euro, lavoro. Ma all’interno del suo partito i bossiani hanno buona memoria. E i problemi interni iniziano a diventare veri e propri tumulti silenziosi.

Del resto nella Lega non è facile disfarsi del passati del “Senatur” Bossi, che fu il primo a dare avvio a una tipica abitudine leghista: scaricare i compagni di partito che osavano discutere la sua leadership . Bossi lo attuò con il prof.  Gianfranco Miglio l’ideologo della secessione . E con  lo stesso “stile” lo hanno ripagato prima Maroni ed ora Salvini. Chi sarà il prossimo ?

Adesso a seguito della decisione della Corte di Cassazione, in linea con il Tribunale del Riesame di Genova sul sequestro dei fondi del partito del ministro dell’Interno Matteo Salvini vanno sequestrati 48,9 milioni di euro  su tutti i conti della Lega, ovunque essi siano, È questa la decisione del tribunale di Genova, che ha depositato la tanto attesa sentenza . Ha accolto, quindi confermando, le richieste della procura di Genova, che chiedeva il sequestro dei 49 milioni frutto della truffa ai danni dello Stato commessa tra il 2008 e il 2010. Al momento sono stati sequestrati circa 3 milioni di euro, trovati sui conti della Lega nazionale e della varie sezioni regionali.

L’attività investigativa si era interrotta e non erano stati toccati i conti correnti riconducibili alle organizzazioni legate al Carroccio, come  società e associazioni contigue al partito di Salvini. La sentenza della Cassazione e la conferma del tribunale del Riesame di Genova danno la possibilità di aggredire anche questo denaro. Infatti la sentenza della Cassazione aveva  stabilito che andava sequestrata qualunque somma di denaro riferibile al partito “ovunque venga rinvenuta fino a raggiungere 48,9 milioni“.

All’epoca della sentenza della Cassazione Salvini aveva definito “politico” il verdetto dei giudici della Suprema Corte. Qualche ora fa nel corso di una conferenza stampa al Viminale il ministro degli interni e leader della Lega ha detto: “È un processo che non mi turba minimamente. Si tratta di fatti risalenti a 8-10 anni fa. Se vogliono ci tolgano tutto. Facciano quello che credono, noi abbiamo gli italiani con noi. ‘Temete l’ira dei giusti’. Lavoro per la sicurezza degli italiani e mi indagano per sequestro di persona, lavoro per cambiare l’Italia e l’Europa e mi bloccano tutti i conti correnti. Se qualcuno pensa di fermarmi o spaventarmi ha capito male, io non mollo e lavoro con ancora più voglia. Sorridente e incazzato

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