di Marco Follini
Gli occhi di Berlinguer che ci guardano dalle tessere del Pd, appena stampate, ci ricordano che la ‘questione morale‘ è ancora attuale (e controversa), come a quei tempi. E per chi fosse tentato di rimuovere l’argomento, provvede la cronaca quotidiana dei nostri giorni a segnalarci come il malaffare abbia affermato ormai un suo paradossale diritto di cittadinanza nelle contrade della nostra vita pubblica.
Non passa giorno senza che le cronache politico-giudiziarie ci raccontino la criticità di questa situazione. Certo, occorrerebbe sempre attendere l’esito dei processi per decretare innocenze e colpevolezze. E sarebbe il caso di non dimenticare le troppe volte in cui agli annunci e ai sospetti abbia poi fatto seguito un certo numero di assoluzioni. Resta il fatto però che dagli episodi di questi giorni promana nell’insieme un sentore di malcostume che non sembra certo deporre a favore della limpidezza della politica.
Dunque, attendiamo pazientemente l’esito di tutte queste vicende. Imparando a distinguere un caso dall’altro e possibilmente evitando di fare di ogni erba un fascio. Ma senza lasciarsi andare né a un’eccessiva indulgenza né a un eccessivo ottimismo.
Nel frattempo converrà forse chiedersi come mai anni e anni di prediche e di denunce ci abbiano lasciato infine al punto di prima. Quasi che una certa disinvoltura negli affari pubblici sia un destino a cui il nostro paese non trova mai il modo di sottrarsi. Magari passando da una parte all’altra a seconda di come di volta in volta cambiava il vento elettorale.
Personalmente non ho mai creduto che la corruzione, o almeno la disinvoltura, fosse il dubbio privilegio di una parte piuttosto che dell’altra. Galantuomini e faccendieri si distribuiscono da tempo lungo tutto l’arco delle posizioni politiche. E se una volta si poteva pensare che il destino di governo degli uni e di opposizione degli altri, secondo i canoni di una democrazia senza ricambio, scavasse una sorta di differenza etica, ora di quella differenza non c’è traccia. Semmai si può segnalare come la gran parte degli amministratori finiti sotto il tiro delle indagini si siano messi in mostra anche per l’estrema disinvoltura con cui, negli anni, sono passati da un partito all’altro portando in dote i loro voti ma anche, si teme, i loro affari. O almeno, le loro clientele.
Lasciamo da parte, quindi, gli argomenti che hanno segnato il destino della prima repubblica -che pure non meritava affatto il vituperio di cui è stata oggetto. E cerchiamo piuttosto di capire perché la seconda e la terza edizione della nostra esperienza repubblicana non si sono rivelate affatto migliori -anzi, tutt’altro. Il fatto è che anni e anni di predicazione antipolitica, anni e anni di questioni morali malamente invocate e utilizzate con spirito di parte, anni e anni di sospetti diffusi a piene mani, anni e anni improntati ad una estrema sfiducia verso quanti si dedicavano alla cosa pubblica, insomma anni e anni così come li abbiamo vissuti e soprattutto raccontati, invece che migliorare le cose hanno prodotto risultati ancora peggiori. Segno che magari il giustizialismo non arreca maggiore giustizia e che il moralismo non contiene maggiore morale. Il minimo che se ne possa dire è che la descrizione della politica come sentina dei vizi del paese non ha affatto prodotto quella virtù che andavamo cercando non si sa bene dove.
Piuttosto dovremmo considerare che forse c’era qualcosa di sbagliato proprio in alcuni dei rimedi che andavamo cercando. Lo spirito antipolitico che ha improntato questi ultimi tempi ci ha portato infatti verso due esiti assai discutibili, tutti e due. Da un lato ci ha fatto pensare che l’attività pubblica fosse una cosa disdicevole in sé e per sé, spingendo molte persone lungo la china del disimpegno. Dall’altro ci ha convinto che il rimedio migliore fosse quello della semplificazione e verticalizzazione della catena di comando, generando infine l’illusione che le leadership solitarie e assertive che ormai vanno di moda fossero l’unico modo per sbrogliare tutta questa matassa.
Così, con le migliori intenzioni, abbiamo finito per peggiorare le cose. La cronaca di questi giorni ce lo ricorda in modo perfino impietoso