Ennesima figuraccia della Procura di Taranto: annullata la sentenza del processo “Ambiente Svenduto”, sull’inquinamento ambientale che si riteneva essere stato provocato dall’Ilva di Taranto va quindi a Potenza. E dovrà ripartire dall’inizio. E’ quanto ha stabilito la sezione distaccata di Taranto della Corte di Assise d’Appello presieduta dal giudice Antonio Del Coco con a latere il giudice Ugo Bassi, che ha accolto le istanze formulate da alcuni legali degli imputati a giudizio, annullando la sentenza di primo grado nei confronti a carico dei 37 imputati e 3 società per il presunto disastro ambientale causato dall’ex Ilva negli anni di gestione dei Riva, che in primo grado aveva portato a 26 condanne.
Annullata quindi la sentenza di primo grado con cui il 31 maggio del 2021 vennero condannati i vertici dell’ex Ilva, in particolare i due membri della famiglia Riva, Fabio e Nicola, figli dell’ex patron Emilio, all’epoca scomparso, oltre a ex direttori di stabilimento, manager e politici coinvolti nell’inchiesta ‘Ambiente Svenduto’ sul presunto disastro ambientale provocato negli anni dallo stabilimento siderurgico del capoluogo jonico.
Gli avvocati della difesa, Pasquale Annichiarico, Giandomenico Caiazza e Luca Perrone nel corso delle prime udienze in corte d’appello avevano contestato e portato alla luce la circostanza che molti magistrati del foro jonico risiedono negli stessi quartieri nei quali sono residenti numerose delle vittime che hanno ottenuto un risarcimento nel processo di primo grado , ed anche perchè i giudici tarantini, togati e popolari, che hanno emesso la sentenza di primo grado, a loro volta sarebbero da considerare ‘parti offese’ del disastro ambientale.
A nulla sono valse le repliche dei pubblici ministeri Giovanna Cannarile , Remo Epifani e Raffaele Graziano, che insieme al procuratore generale Mario Barruffa, si erano opposti citando una recente sentenza della Cassazione che aveva chiarito che è da considerare parte di un processo chi sceglie di attivare un’azione di diritto.
Lo stop al pagamento delle provvisionali
Nei mesi scorsi, prima della pausa estiva, c’era già stato un colpo di scena: il presidente Antonio Del Coco aveva sospeso il pagamento delle provvisionali da parte degli imputati del processo “Ambiente Svenduto” nei confronti delle parti civili costituite in giudizio, ben 1.500 tra cittadini di Taranto e associazioni. Le provvisionali (ciascuna da 5.000 euro), da intendersi come primi risarcimenti, erano state disposte a maggio 2021 con la sentenza della Corte d’Assise.
“La decisione di primo grado annovera numerose criticità”, aveva scritto il presidente Del Coco nell’ordinanza di sospensione delle provvisionali, emessa su istanza di alcuni imputati, tra cui Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e gestori dell’Ilva, Salvatore Capogrosso, ex direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo, ex dirigente Ilva, i ‘fiduciari’ dei Riva – figure delegate dalla proprietà al controllo della produzione e degli impianti -, la Regione Puglia, attraverso il suo presidente e gli ex presidenti di Regione Puglia (Nichi Vendola) e Provincia di Taranto (Gianni Florido).
Con “l’estensione della responsabilità civile attinente alle contestazione ad imputati raggiunti da singole contestazioni di reati contro la P.a., o, viceversa, nemmeno correlati tra loro da contestazioni di concorso o norme di raccordo, la nozione di danneggiato dal reato è stata estesa in maniera pressoché illimitata”, aveva scritto in merito il presidente del collegio, evidenziando come fosse stata prevista la “liquidazione di somme di denaro anche per reati già prescritti in primo grado o a parti che non hanno concluso nei confronti di imputati o di responsabili civili”. Inoltre, per il presidente del collegio di appello, è stata riscontrata “la mancanza di qualsiasi motivazione del provvedimento di liquidazione in ordine alla indicazione della categoria di danno e delle somme ritenute oggetto di accertamento“.
L’avvocato Annicchiarico lo sosteneva sin dal 2016, portando nell’aula bunker la mappa degli indirizzi delle abitazioni di giudici, pm, avvocati e parti civili. I magistrati di Taranto si adirarono, gli dissero con tono minaccioso “di non farlo più. Mai piu” e rigettarono la richiesta di trasferimento del processo. Solo che la corte di appello ha stabilito che in realtà aveva ragione l’avvocato Annicchiarico. Il processo è quindi da rifare ripartendo da zero a Potenza, perché i giudici di Taranto notoriamente non erano e spesso non sono imparziali. Se avessero accolto la richiesta del legale, si sarebbero persi solo 6 mesi, e non 10 anni, col rischio di prescrizione dietro l’angolo. Ma tanto loro non pagano mai per i loro errori !
Rivive il ricordo di quel tentativo di patteggiamento ex 231 proposto dalla procura sotto la guida del procuratore Capristo che opportunamente avrebbe sollevato le sorti di Ilva e tarantini con milioni di euro da incassare senza problemi. Ma “qualcuno” voleva solo togliergli la poltrone a mandarlo sotto processo per fare a sua volta carriera..
Conclusione: sentenze azzerate, e la maxi inchiesta della procura di Taranto sul presunto disastro ambientale causato dallo stabilimento siderurgico adesso si avvicina sempre di più alla prescrizione. “Leggeremo le motivazioni di questa decisione” il laconico ed inutile commento rilasciato dal procuratore capo di Taranto Eugenia Pontassuglia. La decisione di ieri, però, porta fuori Taranto il processo, e lo colloca nelle mani del tribunale di Potenza. Nel frattempo vite umane e carriere manageriali, imprenditoriali e politiche sono andate distrutte. Chi li rimborserà ? E sopratutto , chi pagherà per questo processo tarantino che non andava celebrato nel capoluogo jonico ?