Nel 2018 una porzione dei suoli della lottizzazione selvaggia nei desiderata del “re” della spazzatura pugliese, il rag. Antonio Albanese era stata sottoposta a sequestro preventivo poichè l’area in questione , secondo il pm della procura di Bari dr. Baldo Pisani, sarebbe stata contaminata da idrocarburi e metalli pesanti fuoriusciti dalle vicine officine delle Ferrovie Sud-Est e finiti nella falda. Un particolare questo non di poco peso che ha influito nella stima del valore dei terreni. Secondo il perito che per conto del tribunale ha esaminato il valore dei suoli, sul mercato l’area, che si trova in una zona in espansione e che è edificabile, varrebbe infatti 12milioni 600mila euro e quindi molto di più dei 5 milioni sborsati da Albanese.
All’asta Albanese era stato l’unico partecipante a presentare un’offerta, riuscendo così ad entrare in possesso dei terreni tramite procedura fallimentare del Tribunale di Bari vinta dalla Phitotech srl versando poco più di cinque milioni di euro. La storia dei terreni tra via Caldarola e via Oberdan è più che complessa: l’accordo secondo il quale il Comune di Bari avrebbe dovuto dare semaforo verde al cantiere non si è mai definito poichè nel frattempo la società Immoberdan, che era proprietaria originariamente dei suoli, è stata coinvolta nella procedura fallimentare prima e successivamente in una inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica.
Settecento morti. Per mesotelioma pleurico, un tumore provocato dalle fibre di amianto. Tutti operai o residenti nella zona dove sorgeva la Fibronit, ribattezzata a Bari e in tutta Italia, la “fabbrica della morte”. Fabbrica che ha fatto paura per anni, anche dopo la chiusura nel 1985: perché l’amianto era ovunque. Nei capannoni, nel terreno, nell’aria. Ovunque. Ed era mortale. Il Comune di Bari ha quindi portato avanti negli anni una prima bonifica e una seconda permanente. Per eliminare migliaia di tonnellate del materiale. Ultimo passo è stato l’abbattimento dei capannoni, conclusosi nel 2018. Da allora della Fibronit è rimasta solo una spianata, sulla quale dovrebbe sorgere il tanto atteso parco della “rinascita”, dedicato alle vittime della fabbrica della morte, ma del quale non si vede ancora nulla.
L’ex stabilimento FIBRONIT è un sito industriale dismesso nel quale si svolgeva un’attività di produzione di manufatti contenenti amianto, terminata nell’anno 1985. Occupa un’area compresa tra via Caldarola, la sede ferroviaria delle Ferrovie Sud Est, il sovrappasso Padre Pio (via Omodeo) ed aree di proprietà privata, a margine di una zona urbana densamente abitata. Ha una superficie complessiva di circa 140.000m2, di cui 39.000m2 coperti da edifici industriali, magazzini e fabbricati in genere.
L’ex Fibronit è stata inserita nell’elenco dei siti inquinati di interesse nazionale allegato al D.M. Ambiente e Tutela Territorio 18/9/2001 n. 468 “Regolamento recante: Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale”. A tutela della salute pubblica è stata messa in sicurezza l’intera area dello stabilimento. Obiettivo dell’Amministrazione comunale di Bari è la messa in sicurezza permanente del sito e la successiva realizzazione di un parco urbano, che sarà il più esteso del Comune di Bari. Il progetto preliminare del “parco della Rinascita”, il parco polifunzionale che sorgerà nell’area bonificata della ex Fibronit, è stato approvato nel 2019. L’importo dei lavori ammonta a 14 milioni 945 mila euro.
Nel gennaio del 2022 è poi arrivato il certificato di avvenuta bonifica da parte della Città Metropolitana. “Con questo atto ufficiale si mette definitivamente la parola fine alla lunga storia della bonifica della ex Fibronit – dichiarò il sindaco Antonio Decaro -. Una storia tormentata che ha conosciuto l’impegno e la determinazione di tante donne e uomini di questa città che hanno lottato per arrivare fino a qui e che, nonostante tutte le difficoltà, politiche e burocratiche, non si sono mai arrese perché fermamente convinte che Bari dovesse liberarsi per sempre di questa brutta pagina della nostra storia che purtroppo è costata la vita a centinaia di persone“.
“Quel parco rappresenta una rinascita civile e morale di tutta la città – ha più volte dichiarato Nicola Brescia, il presidente del comitato Fibronit che ha anche organizzato delle visite per raccontare la storia dell’ex “fabbrica della morte” – . Civile perché è una battaglia dei cittadini e morale perché è l’unico modo che abbiamo per restituire dignità a chi ha sofferto o pagato con la vita“. I lavori erano previsti da concludersi entro il 2026. Ma a febbraio 2024 non sono ancora partiti.
Albanese vorrebbe costruire con una società Opera Prima srl , insieme al gruppo Marseglia di Monopoli un grattacielo di 120 metri in via Caldarola, ad angolo con via Oberdan, alle spalle dell’ex Fibronit, zona che è stata fortemente colpita all’inquinamento tossico, sui terreni di 20 mila metri quadri che facevano parte della lottizzazione “Pue Seven 41”, che diventerebbe il palazzo più alto di Bari, al confine tra i quartieri Madonnella e Japigia, quartieri che al momento non hanno sicuramente un elevato appeal commerciale e residenziale.
Un mega complesso la cui progettazione è stata affidata allo studio milanese ACPV Architects, fondato e diretto dagli architetti Antonio Citterio e Patricia Viel che hanno firmato importanti progetti a Roma, Milano, Miami ecc “pensato” per metà a uso residenziale e la restante parte a uso commerciale e uffici per complessivi 100mila metri cubi tra uffici, una sala conferenze e un hotel con parcheggi interrati. Ma per realizzare tutto ciò è necessaria una variante al piano regolatore che è stata richiesta all’ufficio tecnico del Comune di Bari.
Nel frattempo gli stipendi ai circa 60 dipendenti fra giornalisti e poligrafici posti in cassa integrazione a zero ore, della Edime srl, società editrice del quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno, (partecipata al 50% da Albanese ed al 50% dalla famiglia Miccolis), glieli pagano i contribuenti.
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