ROMA – Nell’incontro di ieri pomeriggio al ministero dello Sviluppo alla presenza del ministro Stefano Patuanelli, l’Ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli è stata come nel suo consueto stile, lapidaria, gelando i sindacalisti nel primo confronto formale, sottolineando la “coerenza” del percorso prima annunciato e così portato avanti per rescindere il contratto e “restituire” l’ex Ilva dal prossimo 4 dicembre ai commissari dell’ Amministrazione Straordinaria nominati l’anno scorso da Di Maio. E lo ha fatto puntando tutto su un argomento netto: dopo lo stop allo scudo penale, portare avanti il il piano di risanamento ambientale per l’acciaieria di Taranto “ora è un crimine”.
“Oggi abbiamo saputo dall’azienda – dichiara Rocco Palombella leader Uilm il sindacato con più iscritti all’interno dell’ ILVA – che il principale motivo che li ha portati a recedere dal contratto è stata la soppressione dell’immunità legale. Ora il Governo deve convocare di nuovo i Mittal, in presenza anche delle organizzazioni sindacali confederali Cgil Cisl Uil, per fare chiarezza definitivamente sulle loro intenzioni e se ci sono ancora margini di trattativa. Per noi – continua Palombella – esiste solo l’accordo del 6 settembre 2018, vogliamo e ne esigiamo il rispetto perché è stato il migliore possibile vista la situazione da cui si partiva e perché garantisce il risanamento ambientale, salvaguardia occupazionale e la continuità industriale”.
I sindacati arrivano a non escludere “un’insubordinazione dei lavoratori“ per non spegnere gli altiforni, come ha dichiarato Palombella dopo l’incontro al Mise, aggiungendo “I lavoratori dell’ex Ilva non spegneranno gli impianti perché non saranno loro che sanciranno la morte dello stabilimento e del loro futuro occupazionale. Da ora in tutti gli stabilimenti del gruppo inizieranno agitazioni e mobilitazioni da parte di tutti i lavoratori per chiedere rispetto accordo di un anno fa e contro un atto inaccettabile di una multinazionale che pensa di fare e disfare a suo piacimento”.
E ancora scontro fra ArcelorMittal ed il Governo. Il premier Giuseppe Conte non indietreggia ed attacca: pagheranno i danni. La Procura di Milano, in contemporanea, ha acceso i propri riflettori un faro aprendo un fascicolo esplorativo affidato ai pm Civardi e Clerici coordinati dal dr. Romanelli, scendendo in campo a difesa degli interessi pubblici anche nel giudizio civile (che dovrà decidere sul ricorso di ArcelorMittal per il recesso e sul controricorso presentato oggi dagli amministratori straordinari dell’ex Ilva). Adesso le Fiamme Gialle potranno presentarsi negli uffici italiani di ArcelorMittal e controllare una ad una tutte le carte, dal contratto di affitto a ordinativi, fatture, e via dicendo.
“Ben venga anche l’iniziativa della Procura”, ha commentato Conte, che alza i toni con l’azienda: “Il Governo non lascerà che si possa deliberatamente perseguire lo spegnimento degli altiforni”; “Arcelor Mittal si sta assumendo una grandissima responsabilità“, lasciare l’ex Ilva “prefigura una chiara violazione degli impegni contrattuali e un grave danno all’economia nazionale. Di questo ne risponderà in sede giudiziaria“, anche in termini di “risarcimento danni“, dice il premier.
Ma ArcelorMittal la pensa diversamente sostenendo che levando l’immunità “non sono stati rispettati i termini del contratto” – dice Morselli – come è anche per le prescrizioni della magistratura sull’altoforno Afo2: “Non era stato fatto niente” di quanto detto al momento dell’accordo. La sintesi è che se al momento del contratto erano state create le condizioni per una missione impossibile, da “bacchetta magica”, oggi per l’azienda quelle condizioni non ci sono più. Lasciando il tavolo Stefano Patuanelli sottolinea come Lucia Morselli abbia puntato tutto sul nodo dell’immunità penale, politicamente il meno gestibile tra le diverse anime del Governo, lasciando invece in secondo piano il tema del rallentamento del mercato (e quindi di frenare la produzione e gestire esuberi) su cui “fin da settembre c’era una disponibilità del Governo” ad accompagnare un percorso. I toni del dibattito politico restano accesi. “Non c’entra nulla lo scudo, c’entra il fatto che qui qualcuno vuole fare il furbo“, dice il leader del M5s, Luigi Di Maio, che però non chiarisce ancora una volta i suoi pregressi rapporti con la Morselli, allorquando era Ministro dello Sviluppo Economico.
Per Matteo Renzi l’ex Ilva va tenuta aperta “a ogni costo” garantendo il sostegno politico di Italia Viva alle iniziative del Governo per non far spegnere gli altiforni: “Sarebbe un disastro per Taranto, una follia“. Dal Pd diventato taciturno sulla vicenda parla solo il ministro Francesco Boccia dicendo che “la proprietà non deve assolutamente permettersi di spegnere la fabbrica. Non ne ha il diritto”. Ci vorrebbero 6 mesi per ripartire. E Anna Maria Bernini da Forza Italia replica al premier: “E’ un cortocircuito politico-giudiziario. Questo governo si sta dimostrando drammaticamente incapace”. E’ intervenuto anche il ministro al Sud, Peppe Provenzano (Pd ): “Non permetteremo lo stop degli impianti“, ha detto . “Lo Stato non permetterà che l’azienda fermi tutto col rischio di compromettere gli impianti. Mittal torni al tavolo, per salvare produzione, lavoro e ambiente“.
I sindacati mantengono la linea. Sostengono che ArcelorMittal non può esercitare un diritto di recesso, che il contratto va rispettato, ma che anche il Governo deve rispettare i patti alla base di quell’accordo: “Per nulla soddisfatti” di un confronto “non andato bene” i leader della Cgil Maurizio Landini, della Cisl Annamaria Furlan, e della Uil Carmelo Barbagallo, hanno lasciato il ministero chiedendo “l’avvio di un tavolo con la proprietà per trovare soluzioni” ma anche al Governo di uscire dall’impasse: deve “ripristinare lo scudo penale per togliere l’alibi ad ArcelorMittal”. E avvertono: “La mobilitazione prosegue, i lavoratori non si renderanno complici dello spegnimento dell’acciaieria“.
Secondo voci provenienti da Taranto, anche la procura jonica potrebbe aprire un fascicolo d’indagine. Nell’ incontro svoltosi in Prefettura, a Taranto, l’ 8 novembre scorso fra il procuratore capo Carlo Maria Capristo , affiancato dall’ aggiunto Carbone ed il premier Giuseppe Conte era emerso subito che la questione dello “scudo penale” in realtà è molto diversa da come viene raccontata. Sopratutto perché esiste già, e non solo sulla base dell’ articolo 51 del codice penale (“L’ esercizio di un diritto o l’ adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità“), ma sopratutto perché ne vige uno apposito per Taranto, previsto dal decreto Salva-Ilva del 2015.
La formulazione di quello scudo, come è stato spiegato dal procuratore Capristo al presidente del Consiglio, è chiara esplicita. “Le condotte poste in essere in attuazione del Piano di cui al periodo precedente – recita il decreto – non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del Commissario Straordinario, dell’ affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’ incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro“.