Armando Spataro,66 anni, tarantino, dal giugno 2014 è Procuratore Capo della Repubblica al Tribunale di Torino. Magistrato dal 1975 a Milano si è occupato delle principali inchieste sui sequestri di persona e sul terrorismo. Dal 1998 al 2002 è stato componente del CSM , il Consiglio Superiore della Magistratura a Roma, prima di rientrare in servizio a Milano.
“C’è l’interesse di certa parte della politica, non voglio generalizzare, a dare informazioni orientate, e su queste informazioni non si esercita sufficientemente la critica giornalistica” Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Torino, Armando Spataro, alla tavola rotonda su giustizia e informazione organizzata questa mattina al Palazzo di Giustizia Bruno Caccia dalla Camera Penale “Vittorio Chiusano”.
Secondo Spataro, nella relazione tra magistratura e media, c’è stato “un cambiamento di costume“». Ricorda: “Quando arrestammo Mario Moretti delle Br mi telefonò l’allora ministro dell’Interno. Avevo 31 anni, mi emozionai. Lui mi chiamò per dirmi: “Lei sa quanto è importante per noi diffondere la notizia dell’arresto di Moretti, ma deve essere lei a dirmi che posso farlo, perché prima vengono le indagini””.
“Oggi – osserva il procuratore – avviene esattamente il contrario: notizie di operazioni di terrorismo internazionale che vengono diffuse prima ancora che si realizzino, notizie che vengono riprese senza alcun potere critico da parte della stampa, come ad esempio quella sui terroristi che arrivano sui barconi dei migranti in Sicilia. Veicolare questa notizia interessa alla politica, possibile che non ci sia nessun giornalista che scriva che questa cosa non sta né in cielo né in terra?”.
E proprio a proposito del rapporto con il mondo dei giornali Spataro si è detto contento che “sia finita l’era di Mani Pulite. Rammento i giornalisti a frotte dietro i pubblici ministeri nei corridoi e devo dire che alla fine qualche collega era più convinto dell’importanza della notizia in prima pagina che non dell’esito del processo”
Ormai è da parecchi mesi, il Procuratore torinese Armando Spataro lo dice ogni volta che può, come ieri al convegno dell’ Ucpi sul rapporto tra giustizia ed informazione: “Non sopporto più i colleghi che a mò di Giovanna d’ Arco si propongono come gli unici eroi che lottano per il bene mentre tutto c’è il male, e nemmeno la tendenza a proporsi quali moralismi, come se toccasse ai magistrati moralizzare la società o ricostruire un pezzo di storia“
Spataro non contesta il diritto “il diritto e il dovere del magistrato di intervenire nel dibattito civile“, come tante volte egli ha fatto, ma “è giusto che si intervenga senza dare alcun segnale di dipendenza o vicinanza politica“. E giù invece il repertorio di una casistica togata: quel “collega che, di fronte a una sentenza che gli dava torto, dichiarò che se fosse stato un professore e il giudice uno studente, gli avrebbe messo un 4“. O quegli “altri pm che, a distanza di 20 anni dai primi processi di mafia al Nord, arrivano, nè cominciano uno, e dicono: “Finalmente si indaga sul fenomeno“.
Dipende, per Spataro, dalle “degenerazioni di ogni tipo che abbiamo in Italia: magistrati che sfruttano il processo famoso per curare la propria icona, avvocati che tendono a trasferire in tv i processi per autopromuoversi, giornalisti che non cercano riscontri ma inseguono misteri, e politici che inseguono slogan e telecamere“
E’ uno dei due di un’ideale statuto del magistrato. Perchè l’altro è il rischio di magistrati burocrati dell’aziendalismo giudiziario tanto di moda. Morbo il cui antidoto resta il Calamandrei evocato in febbraio dal presidente Mattarella proprio davanti ai giovani magistrati: “il pericolo maggiore che in una democrazia minaccia i giudici è quello dell’ assuefazione dell’indifferenza burocratica, dell’irrispensabilità anonima“.
E poi “«c’è il caso di quei pubblici ministeri che a distanza di 20 anni dall’inizio dei processi di mafia al nord, dicono “finalmente arrivo io e indago sulle infiltrazioni di mafia al nord” o i continui riferimenti a “entità esterne, ai poteri forti”. Per Spataro “il vizio più pesante” che affligge la categoria dei magistrati “è la tendenza a proporsi come moralisti o storici, come se toccasse ai magistrati moralizzare la società o ricostruire un pezzo di storia. Salvo poi passare, alcuni di loro, direttamente in politica”. Chissà se a Taranto in Procura qualcuno si farà un esame di coscienza…!
Parole pesanti, sincere, di autocritica come raramente se ne ascoltano nelle aule dei Tribunali. “Badate bene non sto contestando il diritto e il dovere del magistrato di intervenire nel dibattito civile – ha spiegato Spataro -. È giusto che si intervenga, senza però dare alcun segnale di dipendenza o vicinanza politica. Il ministro Rognoni parlò a suo tempo di protagonismo virtuoso, che vuol dire fornire il proprio contributo di tecnico della giustizia”.