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22 Luglio 2024 13:43
22 Luglio 2024 13:43

Arrestati dalla DIA di Palermo elementi di spicco di “Cosa Nostra”

Arrestato nuovamente questa mattina dagli investigatori del centro operativo Dia di Palermo il “boss” Gaetano Scotto, 68 anni, è stato che secondo i magistrati della DDA palermitana, dopo la scarcerazione era tornato a svolgere il ruolo di capo della famiglia mafiosa del quartiere Arenella, la zona dei Cantieri navali. Scotto è ritenuto da sempre l’uomo di tanti misteri palermitani, fra mafia e ambienti deviati delle istituzioni.

di Valentina Rito

ROMA – La DIA di Palermo questa mattina con l’operazione White Shark ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. presso il locale Tribunale nei confronti di  8 persone, ritenute a vario titolo, responsabili di associazione mafiosa, estorsione aggravata in concorso, intestazione fittizia aggravata ed altro.

Gli indagati sono ritenuti organici cioè contigui alla famiglia mafiosa dell’Arenella-Vergine Maria di Cosa Nostra di Palermo. Sette degli 8 arrestati sono stati tradotti in carcere. mentre per uno è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Il Giudice ha accolto la richiesta avanzata dal Procuratore Aggiunto Dr. Salvatore De Luca e Sostituti Dr.ssa Amelia Luise e Dr.ssa Laura Siani e Roberto Tartaglia (da qualche mese passato come consulente alla Commissione Parlamentare Antimafia ) della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo concordando sulle risultanze investigative e sulla univocità e gravità degli elementi probatori acquisiti, ha riconosciuto la fondatezza degli indizi raccolti nel corso delle indagini dal Centro Operativo della DIA di Palermo guidati dal colonnello Antonio Amoroso  .

Arrestato nuovamente questa mattina dagli investigatori del centro operativo Dia di Palermo  il “boss” Gaetano Scotto, 68 anni, è stato   che secondo i magistrati della DDA palermitana, dopo la scarcerazione era tornato a svolgere il ruolo di capo della famiglia mafiosa del quartiere Arenella, la zona dei Cantieri navali. Scotto è ritenuto da sempre l’uomo di tanti misteri palermitani, fra mafia e ambienti deviati delle istituzioni.

Quattro dei provvedimenti eseguiti riguardano anche altri esponenti della famiglia Scotto: i due fratelli , Pietro e suo figlio Antonino , Francesco Paolo. In particolare, Gaetano di recente è stato destinatario di un “avviso di conclusione indagini”, in quanto oggetto di investigazioni, svolte sempre dalla DIA di Palermo in altro procedimento, finalizzate all’identificazione dei mandanti e degli esecutori materiali del duplice omicidio dell’agente della Polizia di Stato Antonino Agostino e di sua moglie Giovanna Ida Castelluccio, avvenuto in agro di Villagrazia di Carini (PA) il 5 agosto 1989.

Scotto è accusato di essere stato mandante ed esecutore del delitto, assieme al capomafia di Resuttana Antonino Madonia, attualmente detenuto al 41 bis. Il procuratore generale Roberto Scarpinato aveva chiesto l’arresto di Scotto per il delitto Agostino, ma il gip aveva respinto la richiesta, l’accusa però va avanti, è stato sollecitato un processo per i due mafiosi e per un favoreggiatore. Secondo la procura generale di Palermo, Gaetano Scotto resta al centro di un intrigo che negli anni Ottanta avrebbe legato mafiosi e ambienti “deviati” dei Servizi Segreti.

Fin dai primi elementi raccolti era possibile constatare come Gaetano Scotto, subito dopo l’uscita dal carcere, avesse ripreso la guida della famiglia mafiosa dell’Arenella, una delle più rappresentative del mandamento di Palermo-Resuttana, capeggiato dai fratelli Madonia. Le attività tecniche di ascolto, corroborate da servizi di osservazione dinamica sul territorio, hanno consentito di ricostruire, nonostante tutte le cautele e le accortezze poste in essere da Scotto, la complessa ed articolata rete relazionale dallo stesso dispiegata nonchè le dinamiche interne al sodalizio mafioso di riferimento.

Nonostante il ricorso ad un atteggiamento prudente, dalle acquisizioni d’indagine la DIA poteva confermare un progressivo e cauto reinserimento di Scotto nel suo quartiere all’indomani della scarcerazione, con il pieno recupero del suo ruolo e della sua autorità all’interno di cosa nostra. Scotto dimostra di essere il referente per la risoluzione di ogni tipo di problema prospettatogli dalla popolazione del quartiere; ha il pieno controllo delle attività economiche che vi vengono esercitate; organizza e coordina le attività estorsive; mantiene rapporti con esponenti di altre famiglie mafiose; sostiene i parenti degli affiliati detenuti.

Scotto ha l’abitudine di dare risposte o impartire ordini in maniera si potrebbe definire “itinerante”: evitando ogni luogo al chiuso e camminando lungo le strade del quartiere; approfittando di incontri fugaci ed occasionali per impartire le proprie direttive senza mai nominare l’interlocutore e proferendo le parole strettamente necessarie per conferire un assenso (ad esempio all’apertura di un’attività commerciale) ovvero un diniego.

Nel corso delle indagini si è evidenziato il ruolo carismatico di Gaetano SCOTTO, il quale ha dimostrato (come peraltro riconosciutogli anche da altri uomini d’onore appartenenti addirittura ad altri mandamenti palermitani) di saper gestire il ruolo riconosciutogli e la sua influenza territoriale ponendosi al di fuori delle ordinarie dinamiche di cosa nostra, evitando incontri, riunioni ed altre relazioni suscettibili di sovraesposizione. In particolare, sono state documentate proposte per investirlo di alte cariche di vertice più prestigiose all’interno dell’organizzazione, in realtà sempre declinate da Scotto, in attesa di chiarire le proprie vicende giudiziarie pendenti: ”…mi hanno chiesto di fare il capo mandamento …ma sono pazzi! Io devo ringraziare il Signore di essere uscito …non se ne parla proprio…!”.

Attraverso un’oculata e sagace gestione della “propria famiglia di appartenenza, Scotto è tornato ad occupare quel ruolo di vertice  che in realtà non ha mai abbandonato negli anni, venendo gestito, in sua assenza, dai fratelli Francesco Paolo e Pietro, ma anche da altri uomini d’onore, fedeli alla sua persona, che hanno retto il sodalizio mafioso durante la sua assenza. Gaetano Scotto infatti, era certo di essere rispettato nella sua borgata anche per la conduzione della famiglia mafiosa, secondo la percezione degli abitanti del posto “gestita in maniera oculata ed equilibrata”.

Gaetano Scotto, detenuto presso la Casa Circondariale di Roma-Rebibbia, era stato scarcerato il 21 gennaio 2016. Al suo rientro all’Arenella ha trovato un intero quartiere ad attenderlo, pregno di devozione e di rispetto, documentati, ad esempio, nel corso della festa di Sant’Antonio da Padova, patrono della borgata marinara dell’Arenella, tenutasi il 13 giugno 2016.

Scotto nel corso di un colloquio telefonico intercettato con l’allora fidanzata Giuseppina Marceca, interrompeva la conversazione affermando che lo avevano avvisato che per fare passare il Santo “aspettavano lui”. Come se non bastasse, i due fidanzati salivano a bordo di un peschereccio, a bordo del quale veniva posizionata la cosiddetta “vara del Santo” per essere trasportata via mare secondo le regole della processione che, peraltro, vietano in maniera categorica che a bordo dell’imbarcazione possano salire persone diverse dal sacerdote che officia la funzione e dalla banda musicale.

Il “boss” confidava sempre alla sua fidanzata come tutti fossero contenti del suo modo di agire:”…tutti sono contenti perché io vengo nel giusto…”, lasciando intendere che tutti coloro che pagano il pizzo, lo fanno come una sorta di atto dovuto nei confronti di quest’ultimo, dal momento che non approfitta delle condizioni economiche, magari disagiate, degli esercenti di attività commerciali.

Non a caso Scotto non ha mai avuto bisogno di avvalersi delle tipiche tecniche intimidatorie di natura estorsiva, limitandosi solamente a ricevere quello che i commercianti, per il solo rispetto del potere derivantegli dal rango rivestito, erano disposti a versare a titolo di “pizzo”.

L’attività investigativa svolta dalla DIA con il coordinamento della Procura Distrettuale di Palermo ha consentito di provare la posizione direttiva in ambito criminale di Gaetano Scotto attraverso i suoi rapporti con soggetti italo-americani, rappresentanti delle più potenti famiglie di cosa nostra d’Oltreoceano, era già oggetto di indagini da parte della agenzie federali americane F.B.I. e D.E.A.. In uno degli incontri con Leonardo Lo Verde, quest’ultimo riconosceva la scaltrezza e l’abilità con le quali Scotto si è defilato, allontanando da sé ogni attenzione investigativa, e definisce entrambi “mafiosi di rango superiore”.

Le indagini della DIA hanno permesso di evidenziare, inoltre, un importante spaccato sulla gestione delle concessioni e sul controllo di alcune attività imprenditoriali nel corso degli anni da parte della famiglia dell’Arenella, in grado di “autorizzare ed indirizzare” l’apertura di imprese commerciali e persino la gestione del commercio ambulante. Il carisma di cui gode Scotto all’interno di cosa nostra palermitana, lo hanno portato ad essere influente nei riguardi di altre famiglie mafiose, anche se appartenenti a mandamenti diversi. come le indagini svolte hanno consentito di portare alla luce gli stretti rapporti intrattenuti con altri uomini d’onore.

La DIA ha proceduto altresì al sequestro preventivo del White club, un pub alla moda situato in via cardinale Guglielmo Massaia n. 7, cioè all’interno del rimessaggio “Marina Arenella” di Palermo, che secondo le indagini che era gestito dal nipote di Scotto, il quale sarebbe il reale proprietario.

Gaetano Scotto è una delle dieci persone accusate ingiustamente della strage di via D’Amelio e adesso parte civile nel processo sul depistaggio che è in corso a Caltanissetta. Anche, Pietro, tecnico di una società di telefonia, è stato coinvolto nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino. Era stato accusato di aver captato la chiamata con cui il magistrato comunicava alla madre che stava per andare a farle visita nella sua abitazione di via D’Amelio. Pietro Scotto, condannato in primo grado, era stato poi assolto in appello

 

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