ROMA – L’ ex presidente dell’associazione siciliana degli industriali Antonello Montante, ex vicepresidente nazionale ed ex delegato alla legalità di Confindustria, è stato posto agli arresti domiciliari insieme ad altre cinque persone, con la pesantissima accusa a suo carico di avere organizzato una rete di “talpe” ed informatori al suo servizio, per spiare un’altra indagine della Procura di Caltanissetta, in cui lo stesso Montante era accusato concorso in associazione mafiosa.
Una vicenda che ricorda quella dell’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro, condannato per una singola fuga di notizie avvenuta in un contesto, quello delle “Talpe in Procura”, in cui Cuffaro e altri personaggi credevano di poter salvarsi da indagini di mafia grazie a uomini infedeli delle forze dell’ordine, tramutatisi in informatori a “libro paga”. La procura ha iscritto nel registro degli indagati una ventina di persone, tra cui politici, generali, dirigenti di Polizia ma anche docenti universitari. Oltre a Renato Schifani, senatore di Forza Italia ed ex presidente di Palazzo Madama, compare il generale della Guardia di Finanza Arturo Esposito, ex direttore del servizio segreto civile (AISI ex Side) oggi in pensione. E ancora Andrea Grassi, ex dirigente in della Polizia di Stato in servizio presso lo SCO, il Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, ed il professor Angelo Cuva, persona molto nota a Palermo.
Ma il confindustriale Montante ha fatto sicuramente di peggio infatti la nuova inchiesta, condotta dal procuratore Amedeo Bertone, dal procuratore aggiunto Gabriele Paci e i sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso della Procura di Caltanissetta, accantona delle vicende di mafia abbastanza datate e dalla dubbia consistenza giudiziaria, per le quali l’imprenditore siciliano due anni e mezzo fa ricevette un avviso di garanzia e delle perquisizioni. La mafia ha però procurato ugualmente guai in qualche modo a Montante ed alle altre persone coinvolte, poste come lui agli arresti domiciliari, con l’accusa di “associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di esponenti delle forze dell’ordine”.
Le nuove misure cautelari riguardano l’ex capocentro della Dia di Palermo, oggi nei Servizi, Giuseppe D’Agata, pure lui agli arresti in casa, altri tre poliziotti e un finanziere. I tre appartenenti alla Polizia di Stato sono Diego Di Simone, ex sostituto commissario della squadra mobile di Palermo ed attualmente capo della sicurezza dell’industriale; Marco De Angelis, sostituto commissario prima alla questura di Palermo ed ora in servizio alla Prefettura di Milano (entrambi ai domiciliari) e Giuseppe Graceffa vice sovrintendente della polizia in servizio a Palermo, sospeso dal servizio per un anno. Il finanziere arrestato è Ettore Orfanello, precedentemente in forza al Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Palermo. Agli arresti anche Massimo Romano, titolare della catena di supermercati Mizzica-Carrefour, molto presente ed attiva in tutta l’Isola, che avrebbe dato una mano all’amico Montante per rintracciare notizie teoricamente riservate.
Secondo la Squadra mobile di Caltanissetta che ha effettuato le indagini disposte dalla Procura Il network di informatori dell’ex paladino dell’antimafia gli avrebbe consentito di ricevere informazioni di prima mano sull’indagine per concorso esterno in cui venivano ipotizzati legami e comuni affari tra Montante e il suo testimone di nozze Vincenzo Arnone, “boss” di Serradifalco, paese della provincia di Caltanissetta e figlio del capomafia Paolino Arnone, morto suicida in carcere nel 1992. Gli infedeli appartenenti delle Forze dell’ ordine corrotte, sarebbero state ripagate con regali e assunzioni di familiari.
Le perquisizioni nelle residenze e nelle sedi delle aziende dell’imprenditore che vive ed opera tra la Sicilia e Milano avevano portato alla luce non tanto riscontri alle accuse di collusione per le quali l’indagine non è ancora conclusa, ma le moltissime preoccupazioni del diretto interessato e la sua rete di “talpe” che avrebbe dovuto dargli la possibilità di uscirne sempre indenne. Ma così non è stato. In una stanza occultata nella sua villa di Serradifalco, Antonello Montante custodiva “dossier” su magistrati, politici, colleghi imprenditori, personalità che come lui facevano parte dell’antimafia ufficiale.
Montante è stato uno degli esponenti di punta della battaglia antimafia di Confindustria: in viale dell’Astronomia era stato indicato quale responsabile nazionale per la Legalità dell’associazione degli imprenditori. Nel 2015 il governo lo aveva scelto come componente dell’Agenzia dei beni confiscati, l’ente che gestisce le proprietà immobiliari confiscati ai boss di Cosa nostra. Ma l’avviso di garanzia ricevuto a gennaio 2016 aveva gettato più di un’ombra sul suo operato.
Quattro i collaboratori di giustizia che hanno messo a verbale dichiarazioni contro Montante: Carmelo Barbieri, Pietro Riggio, Aldo Riggi e Salvatore Dario Di Francesco. Ed indagando su quei presunti legami dell’imprenditore con gli uomini di Cosa nostra, gli investigatori si sono resi conto che la loro attività veniva monitorata da altri colleghi. Era la rete che sarebbe stata costruita da Montante per proteggersi dalle indagini di mafia. Lui che sosteneva di avere dedicato ogni sforzo alla lotta alla mafia…!
Informazioni riservate raccolte grazie ad una vera e propria attività illecita spionaggio, con la quale l’ex vicepresidente di Confindustria riteneva di poter intercettare e deviare eventuali colpi contro di sé, accompagnando la diffusione di notizie riservate a eventuali ricatti e minacce di divulgare, ad esempio, richieste di raccomandazioni e “segnalazioni” ricevute.