Dopo quasi 5 anni dal falso “scoop” giornalistico di Vittorio Feltri all’epoca dei fatti neodirettore de Il Giornale contro il direttore di Avvenire Dino Boffo, poco “gradito” al centrodestra per i suoi editoriali critici dei comportamenti del premier Berlusconi, finalmente ieri è arrivata una inattesa sentenza di condanna di primo grado, che rivela a sorpresa che il “killeraggio” giornalistico utilizzò in maniera distorta e taroccata il lavoro di una «talpa» giudiziaria di una Procura della Repubblica, quella di Santa Maria Capua Vetere. Adesso si è scoperto che fu un cancelliere in servizio al Casellario Giudiziario – che è stato per questo condannato ieri a 2 anni dalla giudice Paola Lombardi per “accesso abusivo a sistema informatico” in concorso con un mandante “allo stato ignoto” – ad estrarre illegalmente e cioè senza alcuna autorizzazione dell’ Autorità Giudiziaria il 12 marzo 2009 dalla banca dati nazionale la copia del certificato penale di Boffo, che venne poi diffuso e stampato sul quotidiano berlusconiano il 28 agosto 2009 con qualche cancellatura…… e attestante il decreto penale di condanna del 2004 del Tribunale Terni di Boffo a 516 euro di sanzione pecuniaria per la contravvenzione di “molestie alle persone” relativa ad alcune telefonate del 2001 (notizia che già Panorama aveva normalmente pubblicato).
Su questo documento, non ottenibile in quella modalità da nessuno e nemmeno su richiesta di un ente pubblico o persino dell’interessato, gli articoli de Il Giornale impiantarono a partire dal 28 agosto un’ informativa di polizia clamorosamente falsa ammiccante a degli inesistenti moventi sessuali. Quanto rendeva Vittorio Feltri sicuro di possedere “documenti al sicuro nei nostri cassetti” e quindi “prove chiare e inequivocabili” che “Boffo è privo dei requisiti morali per fare il moralista”, e “non lo affermiamo noi in base alle chiacchiere raccolte in portineria, ma il Tribunale di Terni. Ecco che cosa risulta dal casellario giudiziale (riportiamo letteralmente)”: invece erano tutte falsità letteralmente inventate contenute nell’editoriale e nelle cronache inesistenti nel procedimento reale di Terni sul direttore dell’ Avvenire che secondo il Giornale era “attenzionato dalla Polizia come noto omosessuale”, su “telefonate sconce“, su “intercettazioni telefoniche“, su “pedinamenti volti a intimidire” una donna “onde lasciasse libero il marito”.