Il Comitato per la tutela degli azionisti della Banca Popolare di Bari che a poche settimane dalla sua nascita conta già più di mille iscritti, rappresentato dalle associazioni dei consumatori Adusbef, Codacons, Codici, Confconsumatori e Unione nazionale consumatori , ed i vertici e legali della banca barese stanno cercando una soluzione per evitare un crack bancario che potrebbe travolgere entro la fine dell’ anno i risparmi di 69mila soci della Bpb. Ed è per questo motivo che le parti si sono incontrate nei giorni scorsi. I rappresentanti della banca hanno deciso di aprirsi al confronto per la prima volta per cercare di trovare delle soluzioni “di solidarietà per i soci che si trovino in difficoltà“.
La Banca Popolare barese si è manifestata disponibile con un comunicato anche “ad aderire alla raccomandazione Consob e quindi a soluzioni alternative per la negoziazione delle proprie azioni, che possano garantire la maggiore liquidabilità del titolo e a valutare soluzioni di moratoria dei finanziamenti, nonché a studiare la fattibilità della piena applicazione della norma che consente di sospendere il pagamento della sorte capitale dei mutui”. Ma cosa è successo per arrivare a questo punto ? Era soltanto lo scorso giugno quando Marco Jacobini l’ultimo erede della famiglia che da oltre mezzo secolo controlla la Popolare di Bari parlava di “sviluppo, crescita, espansione” e per allontanare incubi e fantasmi la banca si aggrappava a un’altra acquisizione:”Vogliamo CariChieti” la piccola banca abruzzese azzerata dal decreto del governo del novembre scorso, dichiarava Jacobini, candidando l’istituto che presiede all’acquisto .
A Bari, si cercava di confondere le acque per calmare gli azionisti. A fine aprile 2016 era arrivato il deprezzamento del valore delle azioni, con una perdita secca del 21 per cento in un sol colpo, con le azioni che crollavano da 9,53 a 7,5 euro, con. Un tracollo difficile da accettare per gli oltre 70 mila soci della Popolare di Bari, che con 385 filiali ed oltre 3 mila dipendenti, quasi 15 miliardi di attivi, rimane la più grande banca del Sud, una delle poche banche ancora indipendenti. Va ricordato che negli ultimi tre anni la Banca barese guidata da Jacobini aveva raccolto quasi 800 milioni piazzando titoli tra migliaia di risparmiatori.
Nel 2014 sono state vendute anche 200 milioni di obbligazioni subordinate, un investimento con un alto rendimento (6,5 per cento annuo) ma anche meno sicuro dei classici bond, come hanno scoperto nei mesi scorsi i clienti degli istituti liquidati a loro spese, primi tra tutti quelli di Banca Etruria. Il risultato fu che le fila dei soci di Popolare Bari si ingrossarono a gran velocità.Il capitale era diviso nel 2010 tra meno di 50 mila investitori, rispetto agli attuali 70 mila, con una differenza: le azioni dell’istituto barese non sono quotate in Borsa. Quindi un azionista che vuol vendere o comprare le azioni, deve pertanto rivolgersi in banca. Solo che il prezzo è fatto “ad hoc”, nel senso che di anno in anno la quotazione viene stabilita dagli amministratori e successivamente sottoposta al giudizio dell’assemblea per il via libera definitivo. In pratica lo stesso meccanismo che ha già dato una pessima prova di sé nelle recenti crisi della Banca Popolare Vicenza e di Veneto Banca, letteralmente travolte dalla fuga in massa degli azionisti.
A Bari fino al 2015 quasi tutto era andato bene, controllato dietro le quinte. Poi molti soci , avevano chiesto di liquidare in parte o completamente il proprio investimento dopo essere stati allarmati dalle varie crisi e dai ribaltoni esplosi nel settore bancario . Come risulta dagli stessi prospetti informativi degli ultimi aumenti di capitale della Popolare barese, il prezzo delle azioni messe in vendita negli anni scorsi venne calcolato in base a parametri di bilancio simili, anche se di poco inferiori, a quelli di altri istituti non quotati come le già citate banche in crisi che come ben noto non hanno dimostrato di poter fronteggiare le rispettive crisi. Nel corso del 2015 l’istituto bancario con sede a Bari per far fronte alle richieste, ha comprato azioni proprie per un controvalore di quasi 15 milioni, che erano state messe in vendita dai soci.
Jacobini e i suoi collaboratori provarono a gettare acqua sul fuoco dichiarando “Tutto sotto controllo” . Ma non avevano fatto bene i conti con i propri azionisti, infatti lo scorso 18 marzo in una sola giornata passarono di mano oltre 2 milioni di azioni della Popolare. Un vero e proprio boom senza precedenti nella storia della Banca. Infatti nei primi due mesi dell’anno 2016 , tra gennaio e febbraio il “mercatino” interno riservato ai soci aveva aperto i battenti e negoziato solo cinque volte, con scambi irrisori: soltanto alcune decine di migliaia di azioni. La “sorpresa” per gli azionisti arrivò dopo l’asta del 18 marzo che è stata l’ultima occasione per poter vendere i titoli della Popolare di Bari al prezzo di 9,53 euro.
Gli scambi ripresero solo lo scorso 13 maggio. Solo che nel frattempo, il 24 aprile, l’assemblea fissò la nuova quotazione, che scese come detto, a 7,5 euro. In poche parole semplici, il numero dei soci in uscita esplose proprio alla vigilia del ribasso. Una circostanza a dir poco strana che bastò ed avanzò per alimentare legittimi sospetti e dubbi sull’identità dei fortunati venditori, i quali hanno incassato circa 20 milioni di euro in totale . A rilevare i titoli, secondo quanto spiegano alla Popolare di Bari, fu il gruppo assicurativo Aviva, che aveva siglato un’alleanza commerciale con l’istituto barese soltanto qualche settimane prima. Ma anche la posizione dei nuovi acquirenti risultò piuttosto singolare ed equivoc. In pratica Aviva d’accordo con i vertici della banca guidata dalla famiglia Jacobini , avrebbe comprato titoli che nel giro di un mese si sono svalutati del 20 per cento per decisione della banca stessa. Operazione che non sembrava un affare degno per poter sigillare e festeggiare l’intesa strategica appena firmata.
Infatti la Popolare di Bari alla fine dello scorso marzo ha annunciato il bilancio peggiore di tutta la sua vita: 475 milioni di perdite, scese a 297 milioni grazie ad alcune partite fiscali positive (ed “una tantum”) per 177 milioni. Un pesante ed evidente peggioramento rispetto al bilancio 2014, che si era chiuso con 24 milioni di profitti, in realtà generati in parte grazie alle rettifiche (271 milioni) sui valori di alcune attività in bilancio. Un esempio per tutti, la quota di controllo nella Cassa di Orvieto e una rete di filiali e sportelli comprati in precedenza e pagati a peso d’oro, ed oggi molto svalutati alla luce di una situazione di mercato molto più complicata. Anche nel portafoglio crediti arrivarono delle importanti “pulizie” contabili . Rispetto al 2014, gli accantonamenti sui prestiti a rischio erano più che raddoppiati, arrivando a 246 milioni.
Nel 2014 la Popolare barese è sbarcata in Abruzzo per scongiurare il “crac” di Banca Tercas, istituto con sede a Teramo, a sua volta distrutta da anni di gestione dissennata. Il salvataggio venne finanziato in parte dal Fondo interbancario di tutela dei depositi che ha modificato in corsa il suo intervento (con 265 milioni di contributi) dopo lo stop ricevuto dalla Commissione europea per un presunto aiuto di Stato. L’istituto barese aveva investito nell’operazione Terca, sino a quel momento circa 325 milioni , ma tutto procedeva ancora a rilento. L’anno scorso il bilancio si è chiuso in utile per 10 milioni soltanto grazie a 56 milioni di benefici fiscali straordinari.
Il presidente della banca Popolare di Bari, Marco Jacobini “controlla” un consiglio di amministrazione blindato composto fedelissimi, dopo essersi assicurato la successione con l’avvenuta discussa nomina dei suoi due figli: Gianluca, 39 anni, venne nominato condirettore generale mentre il fratello Luigi, diventò vicedirettore generale. Un vertice tutto in famiglia con un assetto del top management che non ha eguali nel variegato mondo del credito bancario . Nel 2015 il posto di amministratore delegato ricoperto in precedenza da Vincenzo De Bustis, un banchiere di lungo corso, partito dalla Banca del Salento per arrivare nel 2000 al vertice del Monte Paschi di Siena grazie alla benedizione politica di Massimo D’Alema, allora potentissimo , venne affidato ad un esperto manager, Giorgio Papa, 60 anni, una carriera con incarichi importanti nel gruppo Banco Popolare e successivamente in Finlombarda, la holding controllata dalla Regione Lombardia quest’ultima una nomina “politica”, decisa dalla giunta regionale lombarda di centrodestra nella gestione di Roberto Formigoni.
De Bustis, insediatosi nel 2011, dette le dimissioni ad aprile 2015 venendo liquidato con una buonuscita (nelle carte definito “incentivo all’esodo“) di 975 mila euro. Incredibilmente proprio nell’anno “nero” e peggiore della Popolare di Bari, tutti i manager al vertice hanno visto il loro stipendio lievitare, a partire dal presidente Marco Jacobini, che ha guadagnato 700 mila euro (50 mila in più rispetto al 2014. Busta paga ancor più pesante per i figli del presidente: il condirettore generale Gianluca ha guadagnato 453 mila euro ( 354 mila del 2014) mentre il fratello Luigi è arrivato a 410 mila euro, un aumento di oltre 50 mila euro rispetto all’anno prima. I manager, insomma, non potevano lamentarsi: più soldi per tutti. Ben diversa e più critica la situazione per i soci, le cui azioni valevano il 20 per cento in meno che videro i risparmi di una vita di fatto “bloccati” in banca. Migliaia di famiglie che non potevano attingere al loro tesoretto in titoli. Inutili le domande, suppliche, ricorsi, esposti in tribunale. Tutto va avanti così da mesi con un esercito di piccoli azionisti delusi e inferociti.
Ma dietro le quinte di questa storia di risparmio tradito, con i soci-azionisti della Popolare di Bari che non riescono più a vendere le loro azioni, in realtà c’è molto di più. Un intreccio complicato di prestiti incagliati, conflitti d’interessi, perdite in bilancio. E sullo sfondo l’ombra (in tutti i sensi) della Banca d’Italia, che dopo una lunga ispezione, già tre anni prima, aveva segnalato importanti “criticità“, per definirla con il garbato linguaggio della Vigilanza, sulla gestione dell’istituto barese. Eppure poche settimane dopo quella severa reprimenda, proprio da Bankitalia era arrivato a Bari nell’ottobre del 2013, l’invito a farsi carico di Tercas, la vecchia Cassa di Teramo che dopo un lungo commissariamento affondava sempre di più travolta dalle perdite. L’intervento di salvataggio grazie alla Popolare barese, avvenne con l’esplicito appoggio del governatore Ignazio Visco, si formalizzò e concretizzò . E così la banca gestita dai Jacobini si è trovata a gestire, non solo i propri crediti incagliati, ma anche quelli dell’istituto appena comprato con un investimento complessivo di 300 milioni. operazione che è stata scaricata sul bilancio 2015, chiusosi con 297 milioni di perdite, che come detto arrivano a 475 milioni escludendo alcune poste una tantum di natura fiscale.
Lo scorso ottobre ispettori della Banca d’Italia sono ritornati a verificare i conti e l’operato dell’istituto pugliese proprio mentre è in atto la trasformazione della Popolare in Spa, così come previsto dal decreto legge sul riordino bancario varato nel gennaio 2015 dal governo di Matteo Renzi. Una trasformazione che va effettuata, possibilmente, con i conti in regola.
Il settimanale L’ Espresso in una attenta e come sempre documentata inchiesta , riepiloga con ordine ed attenzione tutta la vicenda. Ritorniamo quindi all’inizio 2013, quando i funzionari della Vigilanza si presentarono al quartier generale della banca barese per restarci, nel corso di tre successivi interventi, quasi otto mesi. Va segnalato innanzitutto che il voto finale attribuito al termine dell’ultima ispezione alla Banca Popolare di Bari (cioè quella conclusasi ad agosto 2013) è stato pari a 4, che in una scala di punteggio che va da 1 (il massimo) a 6 corrisponde “parzialmente sfavorevole”. In pratica, la Banca d’Italia non sembrava affatto soddisfatta dell’operato di Jacobini e dei suoi manager. Dalle carte dell’ispezione, che il settimanale l’Espresso ha potuto consultare, vengono formulati pesanti rilievi alla gestione della Popolare di Bari.
Ad esempio la relazione degli ispettori della Vigilanza contestava “eccessiva correntezza” nei crediti verso alcuni gruppi. La “correntezza” nel linguaggio bancario, è la velocità con cui viene sbrigata una pratica. In pratica, alcuni prestiti importanti e di rilievo sarebbero stati erogati senza le dovute adeguate verifiche sulla solidità del cliente. Gli ispettori hanno segnalato il caso dei gruppi Fusillo e Curci, che controllano insieme la holding Maiora group. Nelle carte si evince e legge che in favore di questa società, sono stati accordati finanziamenti per importi notevoli “non sempre sufficientemente vagliati” e neanche “esaustivamente rappresentati al consiglio“. In poche parole, denaro “facile” ed allegro….. E non a caso alla fine del 2013 la holding Maiora group, aveva già accumulato debiti con la Banca Popolare di Bari per 131 milioni di euro.
Chiaramente tutto ciò sul quotidiano regionale La Gazzetta del Mezzogiorno, non è venuto mai alla luce. ed è facile capire il perchè ! I Fusillo, che controllano il 50% metà del capitale sociale della holding Maiora group, nel capoluogo pugliese sono costruttori ben noti e sopratutto influenti, A partire da Nicola Fusillo, ex parlamentare del centrosinistra, candidatosi alle regionali nel 2015 nelle liste del candidato vincente, Michele Emiliano. Gli altri componenti della famiglia Fusillo solo per citare le iniziative più importanti è cresciuto a gran velocità realizzando centri commerciali, villaggi turistici, un grande polo della logistica a Rutigliano . Va ricordata tra le attività dei Curci, invece, la partecipazione del 30 per cento nel capitale sociale della Edisud s.p.a. società editrice del quotidiano di Bari “La Gazzetta del Mezzogiorno”, . Al momento questa quota risulta ceduta in pegno alla Banca Popolare di Bari guidata da Jacobini. Coincidenza…che spiega il silenzio assordante sulla vicenda !
Gli ispettori di Banca d’Italia segnalano nel loro rapporto anche “la prassi di sottoscrivere quote di fondi comuni che investono in immobili venduti da clienti finanziati dalla banca stessa“. Operazione, questa, che di fatto rende possibile all’istituto di credito barese di azzerare la propria esposizione trasformandola, in parole povere, in quote del fondo. Tra quelli citati dalla Vigilanza vi è un esempio eclatante. Sin dal 2011, Banca Popolare di Bari, aveva sottoscritto tutte le quote del fondo Tiziano, “comparto San Nicola”, che è gestito dal gruppo romano Sorgente, cioè lo stesso fondo che ha poi acquistato proprio dalla società Fimco (controllata dai Fusillo,come abbiamo visto grandi debitori della Popolare di Bari, il “Grande Albergo delle Nazioni”, uno degli immobili storici del capoluogo pugliese, affacciato sul Lungomare Nazario Sauro. La banca barese guidata dai Jacobini ha quindi sostituito i propri crediti con le quote dei veicoli d’investimento targati Sorgente. La stessa Fimco ha successivamente ceduto al Fondo Donatello, gestito anche questo da Sorgente, un altro palazzo di pregio come l’Hotel Oriente, ubicato nel centro storico del capoluogo di regione.
Analizzando i bilanci alla mano, l’investimento in fondi immobiliari costituisce una presenza e partecipazione non indifferente del portafoglio titoli della Banca Popolare di Bari, voce questa nei conti del 2015, che vale 122 milioni e rispetto all’anno precedente ha già provocato perdite per 13 milioni questa voce . La presenza della famiglia Fusillo, ricorre anche nella triste vicenda della Banca Popolare di Vicenza, annientata da perdite ben superiori al miliardo e che da mesi è al centro di un’indagine in corso della magistratura. Alcune società della famiglia dei costruttori Fusillo in passato hanno ricevuto da fondi offshore con base a Malta finanziamenti milionari . Finanziamenti a loro volta “sponsorizzati” e sostenuti dalla banca veneta all’epoca dei fatti guidata da Gianni Zonin. Le strane coincidenze ed intreccio di interessi però non finiscono qui. Vincenzo De Bustis, da fine 2011 ad aprile 2015 direttore generale della Popolare di Bari ha ceduto nel 2013 una sua società personale alla holding Methorios, partecipata dall’ex candidato sindaco di Roma, Alfio Marchini. E guarda caso anche Methorios è stata finanziata da quegli stessi fondi maltesi che sono intervenuti per sostenere i Fusillo grandi clienti della Popolare di Bari.
Un intreccio di prestiti e affari, su cui indagano i magistrati a Roma e a Vicenza, può riservare non poche sorprese. L’ex candidato sindaco di Roma Alfio Marchini infatti è stato indagato dalla Procura di Roma nell’inchiesta che ha portato nei giorni scorsi a 19 perquisizioni nelle sedi di società collegate proprio alla Methorios Capital spa, società a lui riconducibile. Il reato contestato dai pm della Capitale è quello di “concorso in false comunicazioni sociali” delle società quotate in ordine ai bilanci (consolidato e di esercizio) della Methorios chiusi al 31 dicembre del 2014 e del 2015.
Fin dal 2013, la Vigilanza di Banca Italia aveva preso atto dei crediti a rischio dell’istituto pugliese, e gli aspetti critici della gestione erano stati sintetizzati in un giudizio, quel “parzialmente sfavorevole”, che avrebbe dovuto stroncare sul nascere i progetti di espansione di Jacobini e del suo direttore generale , e gli aspetti critici della gestione erano stati sintetizzati in un giudizio, quel “parzialmente sfavorevole”, che avrebbe dovuto stroncare sul nascere i progetti di espansione della Popolare di Bari e del suo direttore generale De Bustis.
Ma Tercas andava salvata in ogni caso. Alla fine del 2013 la Banca d’Italia era alla ricerca di un compratore per l’istituto abruzzese, solo che nessun banchiere però intendeva accollarsi gli oneri cioè i costi dell’operazione, che erano pari ad almeno 600 milioni. E’ stato proprio A questo punto si è fatto avanti Jacobini con la Popolare di Bari . Siamo nell’ottobre 2013 quando si è appena conclusa, l’ispezione con esito negativo della Vigilanza. A quanto pare nessun problema …. E nell’ agosto 2014 la Popolare di Bari si prese la Tercas con tutto il suo carico di debiti incagliati . L’operazione viene pagata per metà dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt), quindi finanziato da tutte le banche nazionali. Ma il salvataggio di sistema non bastava per chiudere l’operazione. E fu così che la Popolare Bari non trovò di meglio che farsi finanziare dai propri soci, piazzando nel novembre 2014 azioni per 300 milioni ed obbligazioni subordinate per circa 200 milioni di euro.
Nella primavera del 2015 andò in porto un altro collocamento da 50 milioni. I risparmiatori aderirono in massa. I soci della banca superavano a fine 2013 di poco quota 60 mila, e due anni dopo diventarono circa 70 mila. Ma le cattive notizie arrivano ad aprile di quest’anno. La Popolare Bari prima annuncia la maxi perdita nei conti del 2015 dovuta in buona parte agli oneri del salvataggio Tercas, ed anche il valore delle azioni viene tagliato , stabilito di anno in anno dalla banca stessa con una procedura già oggetto di molte critiche, come nei casi della Banca Popolare Vicenza e di Veneto Banca, e ribassato circa del 20 per cento : da 9,53 scende a 7,5 euro.
Soltanto qualche mese prima, migliaia di investitori avevano sottoscritto l’aumento di capitale pagando le azioni 8,95 eur. I titoli non sono quotati in Borsa e la Banca Popolare di Bari, che in autonomia gestisce un mercato “ad hoc”, viene travolta dalle domande di vendita. Le aste mensili soddisfano richieste per poche migliaia di azioni. Quasi tutto fermo . La banca si impegna a ristabilire quanto prima “la fluidità del mercato”, ma nel frattempo la protesta cresce giorno dopo giorno. Alcune decine di soci, giovedì 20 ottobre hanno protestato e manifestato in piazza a Bari con striscioni e altoparlanti. Morale della storia: il conto salato del salvataggio Tercas è stato pagato dai piccoli azionisti della Popolare. E la Banca d’Italia, che poteva intervenire per tempo, per ora resta a guardare. Allo sciopero di protesta dei soci della Banca ha fatto seguito la denuncia all’autorità giudiziaria presentata da numerosi soci che chiedono di conoscere la verità; un passaggio giusto e doveroso per cercare di evitare o limitare le conseguenze gravissime determinate dalle consistenti perdite subite dalla banca ed in particolare la perdita in un sol colpo di tutti i propri risparmi.