ROMA – E’ finito agli arresti domiciliari Francesco Bellomo, 49enne barese, consigliere di Stato destituito dopo che nel 2017 scoppiò lo scandalo della sua scuola di preparazione per il concorso in magistratura. Bellomo viene accusato non solo dei maltrattamenti e delle estorsioni nei confronti di quattro giovani borsiste e di estorsione aggravata ai danni di una ricercatrice della Scuola di Formazione Giuridica Avanzata “Diritto e scienza” con sedi a Bari, Milano e Roma a cui imponeva anche il “dress code”, fatti questi risalenti al settembre 2017, ma anche per le calunnie e la minacce espresse nei confronti del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. La scuola secondo la gip Antonella Cafagna era “il teatro dei suoi adescamenti”, e l’assegnazione delle borse di studio “il veicolo per orientare i rapporti professionali verso derive sul piano personale”
L’arresto giunge al termine di un’indagine della Procura di Bari condotta dalla pm Daniela Chimienti e coordinata dal procuratore aggiunto dr. Roberto Rossi , con l’ordinanza firmata dalla dr.ssa Antonella Cafagna, Gip del Tribunale di Bari. Sono quattro le studentesse individuate come parti offese, per i reati di maltrattamenti e estorsione, alcune delle quali legate a Bellomo da relazioni sentimentali. Le indagini vennero avviate dalla Procura di Piacenza a seguito della denuncia di una studentessa, e si allargò subito dopo a Bari, città d’origine del Bellomo e dove è presente una sede della scuola “Diritto e scienza”, tuttora in funzione.
Nell’inchiesta barese si inserisce un nuovo filone giudiziario, che vede come parte lesa il prof. Giuseppe Conte attuale Presidente del Consiglio, in passato vicepresidente del Consiglio della presidenza della giustizia amministrativa, organo chiamato ad esercitare l’azione disciplinare nei confronti di Bellomo, subito dopo che erano emersi i primi illeciti a suo carico.
Il prof. Giuseppe Conte che all’epoca dei fatti, non era ancora diventato premier, insieme alla collega Concetta Plantamura (componente dello stesso organismo) vennero entrambi accusati da Bellomo che sosteneva avessero commesso illeciti nella trattazione del giudizio a suo carico e poi fece notificare loro un atto di citazione per danni trascinandoli davanti al Tribunale civile di Bari “incolpandoli falsamente” per aver esercitato “in modo strumentale e illegale il potere disciplinare“, compiendo “deliberatamente e sistematicamente una attività di oppressione” nei suoi confronti, secondo Bellomo “mossa da un palese intento persecutorio, dipanatosi in un numero impressionante di violazioni procedurali e sostanziali, in dichiarazioni e comportamenti apertamente contrassegnate dal pregiudizio“.
Alcuni giorni successivi alla notifica della citazione e nell’imminenza della seduta del Plenum della giustizia amministrativa, per la discussione finale del procedimento disciplinare a suo carico, Bellomo aveva depositato anche una memoria chiedendo “l’annullamento in autotutela degli atti del giudizio disciplinare per vizio di procedura” ed il proprio “proscioglimento immediato per evitare ogni ulteriore aggravamento dei danni ingiusti già subiti“.
Secondo la Procura di Bari, tale azione di Bellomo fu un’implicita minaccia, “prospettato oltre all’aggravarsi dell’entità del risarcimento chiesto, anche il possibile esercizio di azioni civili in caso di ulteriori danni” finalizzata a prospettare all’intero Consiglio il possibile esercizio di azioni civili nei confronti di Conte e Plantamura, come si legge nell’imputazione ” per turbarne l’attività nel procedimento disciplinare a suo carico ed impedire la loro partecipazione alla discussione finale, influenzandone la libertà di scelta e determinando la loro estensione, benché il CPGA avesse votato all’unanimità, ed in loro assenza, l’insussistenza di cause di astensione e ricusazione“.
Il gip del Tribunale di Bari dr.ssa Antonella Cafagna che ha disposto l’arresto, dell’ex giudice barese del Consiglio di Stato Francesco Bellomo, con concessione degli arresti domiciliari, nella sua ordinanza parla di “indole dell’indagato in seno al rapporto interpersonale in termini di elevata attitudine alla manipolazione psicologica mediante condotte di persuasione e svilimento della personalità della partner nonché dirette ad ottenerne il pieno asservimento se non a soggiogarla, privandola di qualunque autonomia nelle scelte, subordinate al suo consenso” analizzando quello che chiama “sistema Bellomo” nel quale “l’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione, fondato sulla concezione dell’agente superiore e sui corollari di fedeltà, priorità e gerarchia”.
Le vittime secondo “la concezione ‘bellomiana’ dei rapporti interpersonali” sarebbero state prima “isolate, allontanandole dalle amicizie”, e successivamente Francesco Bellomo avrebbe tentato una “manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento con successivo controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé”. È proprio una delle ragazze sue vittime a definire il rapporto con Bellomo “come se si fosse impossessato della mia testa“.
Una borsista della Scuola di Formazione dell’ex giudice Francesco Bellomo, confidandosi con la sorella, le raccontò di aver sottoscritto “un contratto di schiavitù sessuale...Non sai che cosa mi voleva far fare, hai presente 50 sfumature di grigio? “, mentre un’altra borsista sarebbe stata “punita” mediante la rivelazione di “dettagli intimi sulla sua vita privata” per aver violato secondo Bellomo, gli obblighi imposti dal contratto, finendo in una rubrica sulla rivista della Scuola “Diritto e scienza” .
Con un’altra studentessa, oggi diventata sostituta procuratrice in una città toscana, nel momento in cui cercò di allontanarsi dal direttore della scuola cominciò a ricevere insulti e minacce “Ora la tua carriera la fai da sola e dubito che ci riesca” le disse Bellomo “Non mi faccio restituire i soldi perché sei una pezzente. Al concorso Tar non accederai neppure, ringrazia se non ti buttano fuori dalla magistratura” arrivando a pretendere ” Ti devi inginocchiare e chiedermi perdono” per avere violato regole del contratto.
Molto peggio andò ad un’altra borsista minacciata di farle aprire a suo carico un procedimento penale . “Era un’ipotesi spaventosa, perché ero in procinto di entrare in magistratura — dichiarò a verbale — Mi rivolsi spaventata a Gianrico Carofiglio ( ex-magistrato, poi ex parlamentare ed scrittore di successo n.d.r.), allora mio amico e in servizio alla Procura di Bari, e lui mi consigliò di rivolgermi a un penalista. Poco dopo mi chiamò Bellomo furente e mi disse di essere stato contattato da Carofiglio, che gli diceva che io gli stavo prospettando una violenza privata“.
Le borsiste della Scuola di Formazione dell’ex giudice Francesco Bellomo, arrestato per maltrattamenti e estorsione, erano tenute ad “attenersi ad un dress code suddiviso in ‘classico‘ per gli ‘eventi burocratici’, ‘intermedio‘ per ‘corsi e convegni’ ed ‘estremo‘ per ‘eventi mondani’ e dovevano curare la propria immagine anche dal punto di vista dinamico (gesti, conversazione, movimenti), onde assicurare il più possibile l’armonia, l’eleganza e la superiore trasgressività’ al fine di pubblicizzare l’immagine della scuola e della società“.
Questi sono alcuni passaggi contenuti del contratto imposto alle borsiste e riportati nell’ordinanza di arresto firmato dal Gip del Tribunale di Bari dr.ssa Antonella Cafagna. L’abbigliamento “estremo” prevedeva “gonna molto corta (1/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida + maglioncino o maglina, oppure vestito di analoga lunghezza“. Quello “intermedio” contemplava l’uso di “gonna corta (da 1/3 a ½ della lunghezza tra giro vita e ginocchio), sia stretta che morbida + camicetta, oppure vestito morbido di analoga lunghezza, anche senza maniche”; quello “classico” prevedeva “gonna sopra il ginocchio (da ½ a 2/3 della lunghezza tra giro vita e ginocchio) diritta + camicetta, oppure tailleur, oppure pantaloni aderenti + maglia scollata. Alternati“.
Il “dress code” previsto da Bellomo (che deve avere qualche problema…) imponeva anche “gonne e vestiti di colore preferibilmente nero o, nella stagione estiva, bianco. Nella stagione invernale calze chiare o velate leggere, non con pizzo o disegni di fantasia; cappotto poco sopra al ginocchio o piumino di colore rosso o nero, oppure giacca di pelle. Stivali o scarpe non a punta, anche eleganti in vernice, tacco 8-12 cm a seconda dell’altezza, preferibilmente non a spillo. Borsa piccola. Trucco calcato o intermedio, preferibilmente un rossetto acceso e valorizzazione di zigomi e sopracciglia; smalto sulle mani di colore chiaro o medio (no rosso e no nero) oppure french”.
Le indicazioni sull’abbigliamento da osservare erano la minima parte di quello che le borsiste dovevano sottostare, in quanto Bellomo imponeva loro persino di mettere fine ai rapporti con i fidanzati e di non sposarsi, di non uscire la sera e non frequentare amici. L’ orami ex-consigliere Bellomo instaurò con la maggior parte di loro relazioni sentimentali ( anche in contemporanea), imponendo loro di allontanarsi perfino dalle famiglie. Una ragazza ha raccontato ai Carabinieri “Fui costretta spesso a mangiare da sola, perché mi impediva di chiudere le telefonate e sedermi a mangiare, mi ero allontanata da tutti. Mi diceva che ero una poco di buono, la cosa peggiore che gli fosse capitata. Rimanevo vestita, in casa, nell’attesa di vederlo“.
Il lato triste della vicenda è che praticamente quasi nessuna delle sue vittime, impaurite, denunciò Bellomo. Praticamente tutte le ragazze ascoltate dalla polizia giudiziaria hanno però confermato l’atteggiamento di sopraffazione, che per la Gip Cafagna “si perpetuava identico in ogni rapporto amoroso e con modalità tali da mettere a repentaglio l’integrità fisica delle fidanzate”. “Sono terrorizzata — diceva una corsista — non so come uscirne“
La tesi difensiva sostenuta da Bellomo, che è già imputato in un processo simile dinnanzi al Tribunale Penale di Piacenza insieme con Davide Nalin, ex pm di Rovigo e suo braccio destro alla scuola, era che le sue fidanzate erano coscienti delle condizioni del contratto, e che era stato firmato senza alcuna costrizione. Ma la Procura di Bari la pensa diversamente ed insiste sulla circostanza non indifferente che Bellomo quale direttore della scuola si trovasse in una condizione di superiorità rispetto alle borsiste e quindi in grado di poter esercitare su di loro una sudditanza psicologica. Al punto tale da far finire una ragazza dallo psichiatra e poi in ospedale per una forte anoressia