Dalle prime ore di questa mattina, è in corso una vasta operazione dei Carabinieri della Compagnia di San Vito dei Normanni e Fasano in vari comuni della provincia di Brindisi , a San Vito dei Normanni, Mesagne, Carovigno, San Pancrazio Salentino, Torre Santa Susanna e Fasano, e nei capoluoghi di Foggia,, Lecce, Taranto e Trani , con il supporto in fase esecutiva dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Puglia” e del Nucleo Cinofili di Bari e Potenza, stanno dando esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso Tribunale di Lecce su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura di Lecce, nei confronti di 22 persone indagate, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al narcotraffico, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, violenza privata, lesioni personali, estorsione, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio ed autoriciclaggio, tutti aggravati dal metodo mafioso, produzione, coltivazione, spaccio e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e violazione degli obblighi inerenti la Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza.
L’indagine, condotta dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di San Vito dei Normanni (BR) e originariamente delegata dalla Procura della Repubblica di Brindisi, trae origine dal tentato omicidio di un sorvegliato speciale, avvenuto la sera del 5 luglio 2020 nel comune di Latiano. La vittima, per puro caso e grazie alla prontezza di riflessi, non venne attinta mortalmente dalla raffica di colpi calibro 9 esplosi, ma solo di striscio, trovando rifugio dietro le mura della propria abitazione.
L’attività investigativa proseguita sotto la direzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce sino al settembre 2022 attraverso intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche, tra presenti e telematiche, pedinamenti, osservazioni e ricognizioni aeree, ha consentito di acquisire un poderoso quadro indiziario a carico dei presunti esecutori materiali e del mandante del grave fatto delittuoso nonché di accertare con elevata probabilità che tale evento delittuoso fosse da ascriversi alle dinamiche relative al controllo del territorio da parte di una organizzazione di tipo mafioso capeggiata da Gianluca Lamendola, nipote del mesagnese Carlo Cantanna – condannato all’ergastolo, con sentenza della Corte d’Assise di Appello di Lecce del 26 giugno 2017 per l’omicidio di Tommaso Marseglia avvenuto il 22 luglio 2001 a San Vito dei Normanni (BR), al vertice di una frangia dell’organizzazione mafiosa denominata sacra corona unita.
L’indagine ha consentito di acquisire gravi indizi in ordine all’ascesa criminale di Gianluca Lamendola quale capo di un gruppo criminoso dai connotati tipicamente mafiosi avvenuta in modo violento, con l’uso della forza e delle armi. Sono stati acquisiti elementi investigativi di riscontro in ordine a numerosi episodi di pestaggi, sequestri di persona, agguati e tentati omicidi attraverso i quali appare probabile che gli indagati si siano imposti sul territorio determinando una condizione di assoggettamento ed omertà dei cittadini, tanto che non risultano presentate denunce e ricorrendo a condotte estorsive ai danni di esercizi commerciali.
L’attività investigativa ha consentito pertanto di fare luce su una verosimile sistematica attività di consolidamento del potere di controllo di territori già sottoposti al clan capeggiato da Carlo Cantanna, ma contesi da altri gruppi affermatisi nelle more della detenzione di questo, attuata attraverso condotte funzionali a riappropriarsi con metodo violento e minaccioso degli spazi , organizzando e partecipando ad una serie di agguati armati, pestaggi e sequestri di persona nei confronti degli infedeli o di coloro che osavano ostacolarne l’espansione o fossero entrati in contrasto con gli interessi dell’associazione.
Una volta consolidata la posizione su San Vito dei Normanni, affidata ad uno dei suoi referenti, appare probabile che gli indagati abbiano ampliato gli interessi dell’organizzazione affiliando altri referenti, nel comune di Brindisi e in quello di Fasano, i cui capozona di quel momento hanno dapprima tentato di opporsi per poi desistere sotto le violente azioni armate. Frizioni sono nate anche con altre famiglie criminali, operanti nei territori di Mesagne (BR), Torchiarolo (BR) e Squinzano (LE).
Le indagini preliminari, coordinate e dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e sviluppate in piena sinergia con la D.C.S.A. (Direzione Centrale per i Servizi Antidroga del Ministero dell’Interno), hanno permesso, altresì, di acquisire importanti elementi sulla presunta attività di traffico di sostanze stupefacenti, quale core business dell’organizzazione, attraverso cui sarebbero stati accumulati ingenti capitali che poi, oltre ad essere redistribuiti alle famiglie dei detenuti, sarebbero stati interrati nei fondi adiacenti alla masseria di contrada Mascava, principale base operativa dell’associazione, situata in territorio di Brindisi ai confini con quello di Mesagne, San Vito dei Normanni e Carovigno.
Sono stati, quindi, individuati canali di rifornimento della droga, proveniente dalle province di Bari e Foggia, e tracciati i flussi per un quantitativo superiore a 50 kg. di sostanza stupefacente, fra cocaina, eroina, hashish e marijuana, successivamente, immessa, tramite i referenti di zona, sulle piazze di spaccio di San Vito dei Normanni, Brindisi, Carovigno, Fasano, San Pancrazio Salentino e Corato. Anche la sostanza stupefacente, come le somme di denaro, veniva interrata nell’area rurale di Contrada Mascava, potendo contare sull’assoggettamento dei proprietari dei terreni.
Le indagini hanno disvelato, inoltre, un collaudato meccanismo di copertura dei beni, o dei proventi, derivanti da delitto, attraverso l’investimento nell’acquisto di vetture da parte di concessionarie, riconducibili ai membri del sodalizio o ad esponenti in affari con l’organizzazione, in particolare nel traffico di sostanze stupefacenti. Tale finalità, ovviamente, non era solo connessa ad aspetti meramente elusivi, per beneficiare dei vantaggi fiscali che ne derivavano ma, soprattutto, per riciclare il denaro immesso nei circuiti legali dell’economia.
L’attività investigativa avrebbe consentito, peraltro, di riscontrare almeno cinque tentativi di estorsione in danno di imprenditori locali, che operano nel settore alimentare, della ristorazione e terziario, a cui era stata imposta la consegna di circa 500 euro mensili in cambio di protezione, cinque estorsioni consumate in danno di imprenditori, operanti nel settore della compravendita auto o commercio pellet, e di privati cittadini entrati in conflitto con gli interessi dell’organizzazione, per un totale di circa 19.000 euro.
Alcune estorsioni sono state commesse con modalità particolarmente violente e tutte caratterizzate da un atteggiamento scarsamente collaborativo delle vittime. Nessuna di loro, infatti, ha denunciato i fatti, rifugiandosi in condotte reticenti non favorendo, così, le progressioni investigative. L’associazione mafiosa, come ampiamente documentato, avrebbe integrato quelle tipiche condotte sia di affiliazione che di permanenza nel gruppo, nel rispetto di regole che il capo dell’organizzazione avrebbe imposto secondo il rigore che caratterizza le organizzazioni criminali mafiose e consistenti nei dettami dell’ inviolabilità del vincolo familiare, il divieto all’uso di droghe, la cautela nell’utilizzo della violenza nei riguardi di estranei ai circuiti malavitosi; il rispetto delle donne dei partecipanti all’ associazione che si trovano ristretti in carcere.
I comportamenti contrari alle regole risultavano sistematicamente sanzionati con l’irrogazione di punizioni corporali simboliche, come il taglio della schiena, alla presenza di altri affiliati, in grado di amplificare l’intimidazione interna. In un caso, ad uno degli affiliati, responsabile di aver fatto violentare la propria compagna, è stato imposto l’isolamento all’interno di una delle basi nella disponibilità dell’organizzazione, con sede in Fasano.
I risultati investigativi, riscontrati da numerosi arresti in flagranza di reato, sequestri di armi clandestine, fra cui pistole, fucili e sostanze stupefacenti, per un traffico accertato superiore a 50 kg. fra cocaina, eroina, hashish e marijuana, oltre al sequestro di una coltivazione di canapa indiana, costituita da circa 1.000 esemplari, individuata nell’area rurale tra San Vito dei Normanni, Mesagne e Latiano, riassunti nell’informativa dei Carabinieri e riportati nella richiesta di misura presentata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, hanno raccolto elementi indiziari nei confronti di 39 indagati.
La consorteria, infine, è accusata di aver detenuto, oltre a quelle sequestrate, altre armi comuni da sparo, e da guerra, come una pistola mitragliatrice Skorpion, occultate e prontamente disponibili. Nel corso delle indagini sono state riscontrate plurime violazioni della normativa antimafia, commessi dal presunto reggente dell’organizzazione sottoposto a Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza che avrebbe violato sistematicamente gli obblighi derivanti dalla misura di prevenzione.
Il giudice per le indagini preliminari di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti condividendo l’impostazione accusatoria ed emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui i militari dell’ Arma dei Carabinieri ha dato esecuzione nella mattinata odierna.
I nomi degli arrestati
La giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce, Maria Francesca Mariano, su richiesta del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, ha disposto la custodia in carcere per:
Gianluca Lamendola, 34 anni, di Brindisi;
Cosimo Lamendola, 51 anni, di Brindisi;
Rosario Cantanna, 49 anni, di Mesagne;
Luca Balducci, 29 anni, di Corato;
Roberto Calò, 40 anni, di San Vito dei Normanni;
Angelo Potenzo Cardone, 36 anni, di Fasano;
Pancrazio Carrino, 41 anni, di San Pancrazio Salentino;
Maurizio D’Apolito, 46 anni, di Torre Santa Susanna;
Adriano De Iaco, 33 anni, di San Vito;
Alessandro Elia, 30 anni, di Brindisi;
Domenico Fanizza, 41 anni, di Fasano;
Renato Loprete, 47 anni, di Fasano;
Bryan Maggi, 33 anni, di Brindisi;
Gionathan Manchisi, 42 anni, di Monopoli;
Adriano Natale, 41 anni, di Carovigno;
Domenico Nigro, 23 anni, di San Vito;
Giovanni Nigro, 54 anni, di San Vito;
Giuseppe Prete, 49 anni, di San Vito;
Giulio Salamini, 44 anni, di Taranto;
Francesco Turrisi, 47 anni, di San Vito.
Arresti domiciliari per Noel Vergine, 35 anni, di San Vito.