L’operazione, denominata «Spartacus Reset» condotta dai Carabinieri della Compagnia di Casal di Principe, è stata coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai sostituti Luigi Landolfi e Giovanni Conzo, ed ha visto impiegati circa 200 militari, elicotteri e unità cinofile, vede fra i destinatari dei 40 provvedimenti eseguiti oggi dai militari dell’ Arma, nei confronti di persone ritenute affiliate alla “fazione Schiavone” del clan dei Casalesi fra i quali figurano anche Carmine e Nicola Schiavone, figli dell’ex boss Francesco, soprannominato Sandokan, che sono tutti e tre sono già in carcere.
Le misure cautelari sono state emesse dal Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. Le accuse ipotizzate, a vario titolo, sono di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni, detenzioni di armi e ricettazione, reati tutti aggravati dal metodo mafioso. Gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Caserta, Napoli, Avellino, Benevento, Terni, L’Aquila, Lecce, Cosenza, Cuneo, Prato, Frosinone, Trapani, ed a Taranto nei confronti del pregiudicato Franco Bianco del ’73, nato a Casal di Principe, il quale si trovava già rinchiuso in carcere nel capoluogo jonico.
E’ stato sequestrato dai Carabinieri nel corso delle indagini che si sono concluse con la notifica di 42 ordinanze di custodia cautelare anche il libro paga della “fazione Schiavone” prevedeva 1.500 euro al mese ai “soldati semplici”, 2500 euro ai “sottufficiali”. Somme queste, ha sottolineato amaramente il procuratore di Napoli, Giovani Colangelo, “sono superiori al guadagno di un maestro e anche di un insegnante di scuola superiore“. I nomi e gli importi come ha accertato una perizia calligrafica, venivano trascritti da Carmine Schiavone, 32 anni, figlio di «Sandokan», che è tra i destinatari del provvedimento. Successivamente all’arresto del fratello Nicola, era lui a gestire gli enormi affari del gruppo: affari che, secondo i calcoli dei carabinieri, gli garantivano fino a 300.000 euro al mese. Carmine Schiavone attingeva alla cassa del clan, per pagare il “mensile” agli affiliati, liberi o detenuti che fossero.