Sono iniziati questa mattina alle 13 nella Casa Circondariale di Trani gli interrogatori di garanzia delle cinque persone arrestate e tradotte ieri in carcere nell’ambito di un’indagine della Procura di Trani sul caporalato. Le indagini sul fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori nelle campagne venne avviata dopo la morte avvenuta nel luglio 2015 della bracciante agricola Paola Clemente.
Le accuse contestate ai sei arrestati sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il cosiddetto caporalato, e la truffa a danni dello Stato, reati per i quali sono previste pene fino a otto anni di reclusione. Saranno interrogati in carcere il responsabile dell’agenzia interinale per cui lavorava Paola Clemente, Pietro Bello, di 52 anni, direttore dell’ Agenzia di Lavoro interinale INFORGROUP e i suoi due collaboratori-dipendenti, Oronzo Catacchio, di 47 anni , e Gianpietro Marinaro, di 29 anni ; assieme a loro sono finiti in carcere Ciro Grassi, di 43 anni, titolare dell’agenzia di trasporto e sua moglie Maria Lucia Marinaro, di 39 anni, la quale percepiva indebiti contributi pubblici per la “disoccupazione agricola” e la “indennità di maternità e congedi” risultando falsamente presente nei campi quale bracciante agricola, . Nei prossimi giorni verrà fissato l’interrogatorio di garanzia della sesta persona arrestata, Giovanna Marinaro, di 47 anni.
Quello che maggiormente colpisce dalla lettura delle 302 pagine del provvedimento restrittivo è la straziante confessione di alcune braccianti, sfruttate e sottopagate dall’agenzia interinale. Una donna racconta agli inquirenti che un giorno, sul pullman, nel momento in cui venivano distribuite le buste paga, “alcune donne si sono lamentate dei giorni mancanti e G. ha detto che noi lo sapevamo, quindi, non dovevamo lamentarci. Nessuna ha più parlato, anche perché si ha paura di perdere il lavoro, anche io adesso ho paura di perdere il lavoro e di essere chiamata infame. Ho un mutuo da pagare, mio marito lavora da poco, mentre prima stava in Cassa integrazione. Dovete capire che il lavoro qui non c’è e, perderlo, è una tragedia. Quindi, se molte di noi hanno paura di parlare è comprensibile“.
Un’altra fa mettere a verbale al pm Alessandro Pesce che “se fai la guerra perdi, perché il giorno dopo non vai più a lavorare“. E una sua collega aggiunge: “Per noi 32 euro al giorno sono necessari per sopravvivere“. Testimonianze coraggiose che commuovono il procuratore di Trani, Francesco Giannella: “Nell’indagine è emerso – spiega – che il caporalato moderno si è concretizzato esclusivamente attraverso l’intermediazione di un’agenzia interinale. E’ una forma più moderna e più tecnologica rispetto a quella del passato“.
Ma il motore che lo alimenta lo sfruttamento del lavoro nelle campagne è sempre lo stesso: “l’assoluta povertà delle braccianti che vedono nei caporali i loro benefattori”, anche se questi le sorvegliano pure quando vanno in bagno e bacchettano se non lavorano bene. In ballo – ha quantificato la Guardia di finanza – c’è una paga di 30 euro al giorno a fronte di 12 ore di lavoro, compresi gli spostamenti dei braccianti in pullman per centinaia di chilometri da Taranto e Brindisi fino alle campagne di Andria, Barletta e Canosa. Contratto collettivo alla mano, la Gdf ha quantificato che le lavoratrici avrebbero dovuto percepire 86 euro al giorno, cioè quasi il triplo, e che in tre mesi l’agenzia interinale non ha pagato 943 giornate lavorative”
Emblematico il pensiero della presidente della Camera, Laura Boldrini auspicando che la nuova legge sul caporalato, la legge Martina, entrata in vigore dopo i fatti contestati agli indagati “si dimostri una risposta efficace per debellare una forma di schiavismo intollerabile” .