Caro direttore,
oggi lascerò il gruppo parlamentare di Forza Italia e mi iscriverò al Gruppo Misto. Lo lascerò con riconoscenza verso Silvio Berlusconi, che mi ha dato l’opportunità di entrare in politica e mi ha a lungo sostenuto nel mio impegno. Lo lascerò con stima per tanti colleghi che condividono il disagio di questo momento. Lo lascerò per senso di responsabilità verso i cittadini e le imprese che dal 20 luglio si fanno, ci fanno, una domanda semplice: perché, insieme con M5S e Lega, Forza Italia ha staccato la spina al governo Draghi, chiudendo prematuramente l’esperienza di un esecutivo non solo utile ma necessario, mentre emergenze nazionali e internazionali mettono a dura prova le sicurezze dei cittadini e la resistenza delle democrazie occidentali?
In questa legislatura, dal voto sull’elezione di Ursula von der Leyen alla battaglia su vaccini e Green Pass, Forza Italia era stata ben attenta a distinguersi da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. La revoca della fiducia al governo Draghi ha segnato una radicale inversione di marcia e una evidente sottomissione all’agenda della destra sovranista, che chiedeva di anticipare il voto per incassare subito una probabile vittoria. Le prime proposte elettorali su pensioni ed extra-deficit, nonché la grancassa dell’immigrazione che ricomincia a suonare, confermano una cifra demagogica che contraddice qualunque seria responsabilità di governo.
Insomma, il voto di sette giorni fa ha cancellato, insieme con il patto di salvezza nazionale garantito da Mario Draghi, l’imprinting moderato che il centrodestra aveva conservato per quasi un trentennio, malgrado il progressivo ridimensionamento di Forza Italia. Le conseguenze sono oggi chiare a tutti: la destituzione del premier più ascoltato e prestigioso d’Europa, l’interruzione della “messa in sicurezza” del Paese, la fuga degli investitori (ne abbiamo ogni giorno notizia), l’immagine dell’Italia che torna instabile e inaffidabile.
Tutto questo di sicuro non risponde alle aspettative di un elettorato moderato stanco di avventure, di fuochi d’artificio dialettici e di una visione delle grandi emergenze italiane – l’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione clandestina, il debito pubblico, le mancate riforme, il lavoro povero e il calo del potere d’acquisto delle famiglie – fondata sulla propaganda anziché sul coraggio di affrontare i problemi e risolverli. Sono convinta che le imprese e le famiglie, dopo i 17 mesi di Mario Draghi e del governo della responsabilità e della serietà, chiedano protezione e tranquillità, non nuove e false rivoluzioni: il Paese ha già dato più di quello che poteva permettersi con i due governi a guida grillina, e sappiamo tutti come è finita.
Ieri nel secondo Cdm, il ministro dell’Economia Daniele Franco ci ha illustrato la relazione sull’assestamento, il documento che certifica lo stato del bilancio pubblico. Nei primi sei mesi dell’anno, nonostante la situazione internazionale, si è registrato un miglioramento rispetto alle previsioni: l’indebitamento per il 2022 al momento risulta inferiore di 0,8 punti di Pil rispetto alle stime. Sono 14,3 miliardi di maggiori entrate “guadagnati” dal Paese, che consentiranno di estendere a un numero maggiore di cittadini e aziende il nuovo decreto aiuti.
Questa è la politica efficiente e pragmatica che personalmente voglio continuare a difendere: una politica che produce risultati e non illusioni, vantaggi per le persone e non polemiche quotidiane. Non sono la sola, siamo in tanti a vederla nello stesso modo. Sappiamo tutti che c’è una larga parte dell’elettorato che non si rassegna alla prevalenza degli estremismi, ma non mi nascondo la difficoltà di trasformare questa visione in scelta politica, in un sistema che praticamente obbliga alle coalizioni e condanna all’irrilevanza chi non si associa. E tuttavia questo sforzo andrà fatto. Questo percorso dovrà essere avviato. Bisogna cominciare a guardare le cose con gli occhi di oggi e di domani, non con quelli di ieri. Tutto è cambiato, le “casacche” che indossavamo – per usare una orribile espressione – non raccontano più la verità, non definiscono più i campi, anzi confondono le idee. Bisognerà cominciare a cucire un nuovo abito per l’Italia moderata, europeista, liberale, garantista, fedele al patto occidentale e alla parola data agli elettori.