ROMA – La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per otto carabinieri, tra cui alcuni ufficiali, nell’ambito dell’inchiesta sui depistaggi che seguirono alla morte di Stefano Cucchi. Richiesto il processo tra gli altri per il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti al vertice del Gruppo Carabinieri Roma, e per il colonnello Lorenzo Sabatino, già capo del Nucleo operativo del Comando Provinciale di Roma. Le indagini sono state svolte dei poliziotti della Squadra Mobile, coordinata dalla Procura della Capitale, gira tutto intorno alle note di servizio falsificate sulle condizioni di salute del geometra romano. I reati contestati, a seconda delle posizioni, sono di falso, omessa denuncia, favoreggiamento e calunnia.
La richiesta di processo è stata firmata dal Procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal sostituto Giovanni Musarò fanno riferimento anzitutto a quelle condotte che portarono a modificare le due annotazioni di servizio, redatte all’indomani della morte di Cucchi e relative allo stato di salute del ragazzo quando, la notte tra il 15 e 16 ottobre 2009, a pestaggio avvenuto, venne portato alla caserma di Tor Sapienza, ed alla mancata consegna di quei documenti in originale che la magistratura aveva sollecitato ai Carabinieri nel novembre del 2015, quando era appena partita la nuova indagine e i tre agenti della polizia penitenziaria, all’inizio della vicenda accusati e finito sotto processo per le botte, erano stati definitivamente assolti dalla Cassazione.
Attualmente è in corso davanti alla Corte d’Assise il processo a cinque militari, tre dei quali rispondono di omicidio preterintenzionale per essere stati gli autori del pestaggio, poi confessato mesi fa al pm e ribadito in aula da uno degli imputati poi diventato “superteste” (il vicebrigadiere Francesco Tedesco) che ha chiamato in causa i colleghi, anche loro a giudizio, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. E ieri Tedesco alla fine della sua deposizioneha stretto per la prima volta la mano a Ilaria Cucchi, dicendole: “Mi dispiace“.
Coinvolti nell’indagine anche il colonnello Francesco Cavallo (all’epoca dei fatti tenente colonnello e capoufficio operazioni del comando del Gruppo Roma), il colonnello Luciano Soligo (all’epoca maggiore e comandante della Compagnia Montesacro Roma) da cui dipendeva il comando di Tor Sapienza (dove Stefano Cucchi venne portato dopo essere stato picchiato al Casilino), il luogotenente Massiliano Colombo Labriola (all’epoca maresciallo e comandante della Stazione di Tor Sapienza Roma), il carabiniere scelto Francesco Di Sano (all’epoca in servizio a Tor Sapienza) in servizio presso Tor Sapienza , il capitano Tiziano Testarmata (comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo) e il carabiniere Luca De Cianni militare autore di una nota di polizia giudiziaria, cui sono attribuiti il falso e la calunnia ai danni del collega Riccardo Casamassima.
Secondo i magistrati romani ad orchestrare i “falsi” sarebbe stato il generale Casarsa allora a capo del Gruppo Carabinieri Roma .Nel capo di imputazione infatti si legge che “Casarsa, rapportandosi con Soligo, sia direttamente sia per il tramite di Cavallo, chiedeva che il contenuto della prima annotazione (redatta da Di Sano) fosse modificato nella parte relativa alle condizioni di salute di Cucchi“. E da questo falso nascono tutti gli altri. Proprio Cavallo, dal canto suo, “rapportandosi direttamente sia con Casarsa sia con Soligo chiedeva a quest’ultimo che il contenuto di quella prima annotazione fosse modificato”.
Il generale Casarsa ed il colonnello Cavallo, a differenza del colonnello Soligo, hanno prima risposto alle domande dei pm quando furono convocati nella qualità di indagati, fornendo versioni considerate non convincenti dagli inquirenti, ma poi hanno scelto di avvalsi del diritto di non parlare quando sono stati chiamati a deporre davanti alla corte d’assise che sta processando altri cinque carabinieri per la morte di Cucchi.
Sempre secondo i magistrati della procura romana , il maggiore Soligo “veicolando una disposizione proveniente dal Gruppo Roma ordinava a Di Sano, anche per il tramite di Colombo Labriola, di redigere una seconda annotazione di servizio, con data falsa del 26 ottobre 2009 nella quale si attestava falsamente che «Cucchi riferiva di essere dolorante alle ossa sia per la temperatura fredda/umida che per la rigidità della tavola del letto ove comunque aveva dormito per poco tempo, dolenzia accusata per la sua accentuata magrezza omettendo ogni riferimento alle difficoltà di deambulare accusate da Cucchi».
La frase: “Io muoio ma a te ti levano la divisa”
“Vorrei ringraziare l’avvocato Lampitella, difensore di D’Alessandro, che ci ha fornito un ulteriore e rilevante elemento. Stefano in auto con i carabinieri al rientro dalla stazione Casilina avrebbe detto ‘io muoio ma a te ti levano la divisa’. Stefano era stato appena picchiato e stava proprio male” ha scritto ieri su Facebook Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, in merito ad una domanda formulata in aula dal legale della difesa. E oggi in aula, davanti alla Corte d’Assise, il legale ha chiesto al carabiniere Francesco Tedesco se Stefano avesse pronunciato la frase in questione. La risposta di Tedesco è stata negativa.
“Sarò felice di avere l’Arma dei Carabinieri al mio fianco contro coloro che depistarono e scrissero le perizie che davano a Stefano tutta la colpa della sua morte ancor prima che venissero poi partorite dai medici legali del processo precedente“. E’ stato il primo commento di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, alla notizia della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di otto carabinieri.